Magari anche no. Il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, da sempre impegnato nell’azione di contrasto contro la ‘ndrangheta, la mafia calabrese (e per questo costretto a vivere sotto scorta dal 1989), sostiene che l’operazione “Rinascita-Scott” che coordina, “numericamente è la seconda operazione dopo il primo maxiprocesso di Palermo di Falcone e Borsellino”. Dimentica (lo si comprende) un’altra “operazione”, quella denominata “Venerdì nero della camorra”. L’imputato più celebre, quell’Enzo Tortora tirato in ballo pur essendo palesemente estraneo a ogni accusa, in effetti fa dimenticare l’intera inchiesta, che – ironia – si sviluppa in parallelo a quella del maxi-processo palermitano; si “pentono” killer spietati come Pasquale Barra detto ‘o animale; psicopatici come Giovanni Pandico; personaggi che solo a guardarli ti accorgi che sono inattendibili, come Gianni Melluso detto “cha-cha”, per l’abitudine di parlare a schiovere. Sulla loro parola 1040 indiziati, 850 arresti, 630 rinvii a giudizio… All’inizio; perché quel teorema nei tre gradi di giudizio, crolla progressivamente; e non a causa della prescrizione o per “trucchi” degli avvocati difensori. E’ proprio il castello accusatorio che poggia le sue fondamenta sulla sabbia.
Non così il maxi-processo di Palermo. Il lavoro del pool coordinato da Antonino Caponnetto (Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, coadiuvati da Giuseppe Ayala, in aula pubblico ministero), regge fino al terzo e finale giudizio, quello della Cassazione. Quello che rende definitivo l’ergastolo per boss come Totò Riina e Bernardo Provenzano, e segna la fine del loro dominio e del loro potere.
C’è da augurarsi che l’operazione coordinata da Gratteri abbia il “sapore” palermitano, e non quello partenopeo. Perché troppe volte s’è assistito a “operazioni” simili alle annunciate montagne che finiscono col partorire piccoli topi. Lo stesso Gratteri è “inciampato” in numerosi di questi “incidenti”.
Chi ha una briciola di memoria, ricorda la notte del 12 novembre 2003: un migliaio di carabinieri circondano Platì, paese vicino Reggio Calabria; centinaia di persone arrestate. In testa il sindaco del paese, sembra la scena di un film, questa interminabile fila indiana, e non manca nessuno, neppure il medico, neppure lo scemo del villaggio, che piange, si dispera. Per calmarlo gli fanno intendere che lo portano il pellegrinaggio da padre Pio. Di quell’operazione, battezzata “Marine”, ne parlano tutti, “New York Times” e “BBC” compresi. Passa il tempo, si arriva alle sentenze: centododici gli imputati iniziali; tre i condannati. Un’altra operazione, quella denominata “Stilaro”, vede arrestati gli allora sindaci di Camini e Monasterace, assieme a un imprenditore olandese, e un centinaio di altre persone. I sindaci non arrivano neppure a processo, la posizione viene stralciata e poi archiviata dal Giudice per le Indagini Preliminari; prosciolto l’imprenditore olandese.
Questi episodi (e altri se ne potrebbero agevolmente citare), li si ricorda solo per rammemorare come più i procedimenti sono complessi e tentacolari, più si impone cautela, prudenza, attenzione. Se in un maxi-processo di duecento persone anche “solo” un dieci per cento risulta estraneo ai fatti contestati, un pensiero occorre farlo e farselo. Non si può accettare supinamente la logica del “raccolto rosso” di dashiellhammettiana memoria.
Per tornare all’operazione “Rinascita-Scott”: porta all’arresto di 334 persone sparse tra l’Italia e l’estero; gli investigatori fanno sapere che di fatto si sono decapitate tutte le cosche che operano nella zona di Vibo Valentia; e sono emersi gli intrighi tra cosche, colletti bianchi, logge massoniche. Gli atti dell’inchiesta descrivono un inquietante, fitta ragnatela del malaffare che opera con l’efficienza di una Spectre di bondiano sapore. Non c’è affare che sfugga a questo implacabile intreccio criminale. Le logge massoniche sono le “potenti autostrade universali”. Così le definisce un arrestato eccellente, l’avvocato Giancarlo Pittelli, già senatore di Forza Italia; per gli investigatori è l’anello di congiunzione tra i politici, professionisti, ’ndrangheta, mondo massonico. Un “Giano bifronte”, viene definito. Vai a capire: è uno che secondo gli stralci di conversazioni registrate e rese note, elogia il potente capo cosca dei Mancuso di Limbadi, Luigi, per il suo carisma: “…in più di un’occasione la sua presenza sul territorio da ‘uomo libero’ assicura gli equilibri e garantisce la pax mafiosa…”. Personaggio di straordinaria caratura, a dar credito a quanto si apprende: Pittelli avrebbe “aderito a un metodo”, anzi direttamente partecipato “all’attuazione degli obiettivi della cosca di ‘ndrangheta”; e messo “a disposizione le sue conoscenze sparse in Italia e fuori dall’Italia onde consentire il radicamento e la forte penetrazione della ‘ndrangheta in ogni settore della società civile: nelle università, negli ospedali più rinomati, all’interno degli stessi servizi segreti, nella politica, negli affari, nelle banche, così da consentire ai Mancuso di rafforzare il proprio potere criminale”. In cambio, “nomine nei grossi processi, avanzamento il politica, ambizione di essere eletto membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura, utilizzando la potenza criminale di Mancuso e degli altri boss e vertici della ‘ndrangheta per i quali spende le sue amicizie…”.
Un simile personaggio è così sventato da esprimersi nel modo in cui ci dicono, incurante di possibili intercettazioni? Vero è che spesso si viene afferrati da arroganti deliri di onnipotenza che fanno commettere incredibili imprudenze. Ad ogni modo, nessuna sorpresa. E’ accaduto di vedere, in Italia, e in giro per il mondo, questo e molto altro. Pittelli, per gli investigatori, ha un ruolo chiave: già parlamentare del centrodestra per tre legislature, ex coordinatore regionale di Forza Italia, negli anni ’90 democristiano.
Altro personaggio di spicco Nicola Adamo, storico esponente della sinistra in regione, lunga militanza nel PCI, poi nel PDS, nei DS, infine nel PD. Adamo, consigliere regionale per quattro legislature in più occasioni, assessore; molto vicino al governatore uscente Mario Oliverio. Il suo percorso si intreccia anche con quello di un altro dirigente politico calabrese coinvolto nell’inchiesta: Luigi Incarnato, segretario regionale del PSI, consigliere regionale per due legislature, è il coordinatore della coalizione che sostiene la ricandidatura di Oliverio alle prossime elezioni regionali. Non sorprende che possa esserci in Calabria (solo in Calabria?) una realtà che “conferma l’unitarietà della ‘ndrangheta”, e al tempo stesso svela un universo di reati che spazia dall’omicidio al tentato omicidio, e poi estorsioni, violenze, minacce; un’inchiesta che consente di ricostruire “assetti, gerarchie e affari di dieci locali di ‘ndrangheta, facendo luce su quattro omicidi consumati e tre tentati, arrivando fino alle commistioni tra clan, politica, massoneria”: un coacervo, per usare i termini dell’ordinanza “di relazioni tra i boss della ’ndrangheta e vertici della massoneria”, inseriti in strutture strategiche: dai tribunali agli ospedali, passando per le forze armate e gli istituti bancari.
Si vedrà in tribunale. Quello che al momento è dato sapere è che questi legami sono stati ricostruiti da diversi “collaboratori di giustizia”: al “pentito” Andrea Mantella si deve la ricostruzione della “zona d’ombra” nella quale si addensano tutti i più alti interessi. Cosimo Virgiglio, altro “pentito” autodefinitosi massone maestro venerabile, sostiene che “la città di Vibo Valentia è l’epicentro della massoneria sia legale che di quella cosiddetta deviata”; che l’avvocato Pittelli avrebbe avuto una doppia appartenenza: quella “pulita” con il Grande Oriente d’Italia, del distretto catanzarese; l’altra, “occulta” legata alla Loggia di Petrolo di Vibo. Ogni affare, da quelli più semplici a quelli più complicati, sarebbe stato risolto, o affrontato, attraverso questo canale. Da questo circuito non erano esenti le elezioni: “Nelle competizioni elettorali i candidati “massoni” venivano appoggiati dagli appartenenti segreti chiamati “Sacrati sulla Spada”, ovvero dei criminali che facevano catalizzare su di loro i voti”.
Le cifre di questa inchiesta: tre anni e mezzo di indagini; alla fine tremila carabinieri impegnati nella maxi-operazione. Le indagini hanno una data d’inizio il 16 maggio 2016, giorno dell’insediamento di Gratteri alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro:
“Il giorno del mio insediamento ho pensato di smontare la Calabria come un treno Lego, e poi rimontarla piano piano, e poi ricostruire un ufficio, cambiando uomini e mezzi, fare sinergia e mettere a frutto l’intelligenza e professionalità dei miei ragazzi. Il 16 maggio 2016 ho detto che voglio fare e raggiungere questo target, mi hanno guardato come un marziano, ma ci ho creduto, li ho contagiati e infettati. E il giorno dopo, il 17 maggio eravamo con il collega Falvo a Rebibbia per interrogare Mantella: siamo partiti da quella traccia. Il coordinatore dell’indagine è stato Giovanni Bombardieri, magistrato di grande livello, poi il lavoro è montato e lievitato come un panettone”.
Passiamolo in cavalleria questo aver voluto smontare la Calabria come un treno Lego per poi rimontarla. A voler cercare il pelo nell’uovo, non è proprio questo il compito di un magistrato, anche se si occupa di un’organizzazione spietata e pericolosa come la ‘ndrangheta. Ma va certamente concessa l’attenuante dell’enfasi e dell’entusiasmo; l’aver voluto cercare una frase ad effetto che “giustifica” un titolo; anche se si sarebbe preferito un “banale”: “combattiamo la ‘ndrangheta con gli strumenti della legge e del diritto”. Ma forse a molti colleghi che fanno i titoli sarebbe apparsa, nella sua “normalità”, qualcosa di insipido, poco “notizia”. Il magistrato che “smonta” e “rimonta”, è suggestivo. Anche se le storie recenti consigliano di andarci piano.
Lasciamolo dunque perdere, il “pelo”, occupiamoci dell’“uovo”; è in queste frasi, sempre di Gratteri:
“Fino all’ultimo dei nostri giorni dobbiamo lottare e non rassegnarci, bisogna dire basta e avere il coraggio di occupare gli spazi che questa notte vi abbiamo dato. Da oggi dovete andare in piazza, dovete occupare la cosa pubblica, dovete impegnarvi in politica, nel volontariato, in tutto quello che è possibile fare, andare oltre il vostro lavoro. Altrimenti continueremo a parlarci addosso. Questo è il cambiamento da oggi, a parte le chiacchiere, altrimenti continuiamo a piangerci addosso e ci facciamo prendere per il naso una volta dall’uno una volta dall’altro”.
Un appello che si auspica venga raccolto. Lo rivolge un magistrato. Ecco, dopo il plauso (e beninteso, senza ombra di critica al magistrato). Quando accadrà che lo stesso appello (e concreto agire, subito dopo), verrà da un politico, da esponenti e rappresentanti delle istituzioni? Quanto si dovrà attendere perché non debba essere un magistrato a colmare questi “vuoti”?