Per farsi un’idea del livello di miopia e burocratica dismissione del ragionare che domina nell’apparato giudiziario italiano si può usare, a mo’ di esempio, qualche episodio che si ha ragione di credere non isolato. Forse cose simili accadono anche in altri Paesi. La burocrazia miope, come gli imbecilli, non ha nazionalità, E’ eterna: ieri come oggi e domani. Questo non attenua; anzi, aggrava, che due mali non si annullano, si sommano.
Il primo “esempio” viene da Torino. Un uomo (ma all’epoca dei fatti era poco più che ragazzo), è protagonista di una bravata: spara con un fucile ad aria compressa ad un piccione, peraltro mancandolo. Fortunato il piccione che se l’è cavata; censurabile la bravata, e ben meritata la sanzione pecuniaria. Il fatto accade nel 1974; e la si tenga ben a mente, la data.
Il tempo passa, il diciannovenne diventa uomo. La passione per la caccia gli resta, e questa volta fa le cose in regola. Nel 1984 consegue un regolare porto d’armi, appunto per dare sfogo a questa sua passione.
E qui torna il passato, che pur passato, non passa. Sotto forma di quel piccione mancato. I guai si presentano non tanto per un tentato maltrattamento sull’animale; piuttosto per l’utilizzo della carabina ad aria compressa fuori norma; con conseguente condanna. Reato da nulla, ma pur sempre reato, ben impresso nella fedina penale. L’occhiuta autorità amministrativa, che pure in precedenza non vi aveva fatto caso e puntualmente rinnovato il porto d’armi, un certo giorno si accorge di quella “macchia”. Cosicché il porto d’armi non è più concesso. L’uomo, trovando assurda la decisione, ricorre al Tribunale Amministrativo Regionale. Niente da fare, il porto d’armi non può essere concesso. Qui conviene lasciar parlare l’ampolloso burocratese, meglio non si potrebbe esprimere il surreale di cui un apparato dello Stato è capace: “La condanna per quanto remota e superata dal provvedimento ricognitivo dell’estinzione del reato non perde la sua rilevanza in senso assoluto”. Che si può fare? Presentare una cosiddetta istanza di “riabilitazione”, il cui fascicolo allegramente transita da un ufficio all’altro. In attesa di essere accolta, lo sparatore un tempo diciannovenne ha superato da un po’ i sessant’anni.
Sempre meglio, si dirà, di quella signora di 104 anni in causa contro le Poste e il Tesoro, che si è vista rinviare l’udienza di due anni…
Per strappare un melanconico sorriso, si può andare nel mastodontico e tetro palazzone che ospita la Corte di Cassazione a Roma. C’e’ una sentenza, la n. 41601, secondo la quale un condomino è responsabile penalmente dei canti dei suoi galli. Caso degno di una pochade: Eugene Ionesco o Georges Feydeau ne avrebbero ricavato qualcosa di irresistibile.
La Corte di Cassazione, dunque, dichiara inammissibile il ricorso di un condomino contro la sentenza di condanna a 20 giorni di arresto per il reato di disturbo alle occupazioni ed al riposo dei vicini. Il condomino custodiva, all’interno del condominio, tre galli e delle galline, i quali, lasciati liberi, in orario notturno, cantavano in continuazione. Il condomino nonostante le segnalazioni ricevute, non muove un ditto, e i canti disturbano il riposo di “un numero indeterminato di persone”. Sempre il condomino sostiene che nessun accertamento tecnico si e’ compiuto per stabilire il superamento della soglia di normale tollerabilità delle emission gallesche. La Cassazione respinge le argomentazioni defensive: il giudice accerta che galli e galline, tenuti nel condomino “sono soliti cantare di giorno e di notte, nonostante le proteste degli altri condòmini e i richiami formali dell’amministratore, tanto che per il fastidio una condomina era costretta a cambiare casa”.
Non solo: “Il tecnico dell’Arpa accerta che i tre galli, rinchiusi in una baracca, cantava per cinque o sei minuti a intervalli di 20-30 minuti e vengono calcolati in 18 minuti ben 106 eventi sonori, percepibili dalla strada, con una frequenza di dieci secondo uno dall’altro. Inoltre i galli rispondono ai richiami dei loro consimili presenti all’interno di un’abitazione vicina, e tale situazione amplifica, di notte, i rumori ed i disagi degli altri condòmini”.
Insomma, una situazione aggravate dalla “condotta dell’imputato, che non impedisce gli strepiti, integra la contravvenzione sotto il profilo oggettivo ed è inquadrabile più nel dolo eventuale che in quello della colpa”.
Verrà il giorno in cui tutti questi episodi di cui si fa amena e malinconica collezione, saranno riuniti; e sara’ allora un’antologia deprimente e insieme terrificante di come possono andare, ed effettualmente vanno, in Italia, le cose di giustizia.