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Quel gruppo segreto su Facebook che fa tremare gli agenti dell’U.S. Border Patrol

Svelato da ProPublica, riunisce membri ed ex dell'agenzia per il controllo delle frontiere: i contenuti razzisti, sessisti e denigratori imbarazzano il Border Patrol

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Quel gruppo segreto su Facebook che fa tremare gli agenti dell’U.S. Border Patrol

Alcuni dei contenuti scovati da Pro Publica nel gruppo Facebook "I'm 10-15".

Time: 5 mins read

È trascorsa una settimana da quando John Sanders, capo ad interim della U.S. Customs and Border Protection – la principale tra le forze dell’ordine negli USA che si occupa di sicurezza delle frontiere – ha rassegnato le sue dimissioni. La decisione era giunta dopo la pubblicazione di un’ondata di notizie a proposito delle condizioni disumane in cui vivono i minori migranti nelle strutture apposite al confine con il Messico. A sollevare il velo erano state le interviste effettuate da una squadra di legali a 60 bambini detenuti nel centro di El Paso, l’ultimo, in ordine di tempo, a finire sotto i riflettori per casi di maltrattamento o negligenza nei confronti di bimbi stranieri nelle mani del Governo americano.

Lo screenshot del meme sulla deputata americana Alexandria Ocasio-Cortez (da ProPublica).

Nelle ultime ore, quindi, un’altra scure si è abbattuta sull’agenzia a stelle e strisce. Perché ProPublica, meritoria organizzazione che si occupa di giornalismo investigativo, ha scoperto l’esistenza di un gruppo segreto su Facebook che riunisce agenti ed ex agenti della polizia di frontiera americana, e che si diletta a pubblicare contenuti e commenti a dir poco aberranti. Gli esempi si sprecano. In un caso, alcuni membri del gruppo commentavano in maniera indifferente o con battute sarcastiche la notizia della morte di un migrante 16enne del Guatemala, deceduto a maggio mentre era in custodia in una centrale del Border Patrol a Weslaco, in Texas. O ancora, circola lo screenshot di un fotomontaggio fortemente offensivo e sessista che vede protagonista la deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, che non molti giorni fa aveva fatto discutere per aver definito i centri di detenzioni per i migranti al confine “campi di concentramento”. Proprio in queste ore, Ocasio-Cortez, insieme ad altri membri del Congresso, si trova proprio alla frontiera per verificare personalmente la condizione delle strutture di detenzione dei migranti.

Il gruppo Facebook in questione, fondato nell’agosto 2016, si chiama “I’m 10-15”, che è la definizione tecnica usata dal Border Patrol per indicare “aliens in custody”, stranieri in stato di detenzione. E dei suoi circa 9500 membri, ProPublica sarebbe stata in grado di individuare i proprietari di alcuni profili attivi nelle conversazioni incriminate, tra cui un sovrintendente che lavora a El Paso e un agente di Eagle Pass (Texas).

Il gruppo, essendo segreto, non è reperibile dai motori di ricerca di chi non ne è membro, e dunque non è pubblicamente rintracciabile. Ma, secondo uno screenshot diffuso da Pro Publica, si descriverebbe come uno spazio dove “vecchi agenti incontrano nuovi agenti”, e dove i post sono “divertenti, seri, relativi al lavoro”. “Siamo, innanzitutto, una famiglia”. E ancora: “Ricorda che in questa famiglia non sei solo”.

Screenshot da ProPublica.

Un ulteriore colpo all’immagine di un’agenzia già di recente compromessa dagli scandali legati alle condizioni di vita dei minori detenuti. Un colpo a cui il responsabile delle operazioni del Border Patrol, Brian Hastings, ha risposto specificando che i post “non rappresentano i pensieri degli uomini e delle donne” che vi lavorano. “Non lasciate che le azioni di pochi siano rappresentative del comportamento di tutti, è ciò che vi chiedo”. Hastings ha anche assicurato che sarà fatta giustizia nel caso in cui venga alla luce chi sono gli amministratori del gruppo. Sulla stessa linea Carla Provost, capo del Border Patrol, secondo cui “questi post sono completamente inappropriati e contrari all’onore e all’integrità che vedo – e mi aspetto – dai nostri agenti giorno dopo giorno”. E lo stesso National Border Patrol Council, sindacato che rappresenta la grande maggioranza degli agenti, si è dissociato in una nota: “I contenuti trovati nel gruppo […] non sono rappresentativi dei nostri dipendenti e non rendono buon servizio a tutti gli agenti, la stragrande maggioranza dei quali svolge i propri compiti in maniera onorevole”.

La strategia dell’agenzia è dunque quella di limitare i danni e di far passare l’imbarazzante caso come “non rappresentativo” del comportamento della maggioranza dei suoi agenti. Non la pensa così Alexandria Ocasio-Cortez: “Questo episodio non riguarda poche mele marce… Si tratta invece di una cultura violenta. E in che modo potremmo mai pensare che il Border Patrol possa trattare con umanità i rifugiati?”, si è chiesta la deputata.

Screenshot da ProPublica.

Ocasio-Cortez, nelle stesse ore, è stata accusata di aver “gridato” contro alcuni ufficiali della polizia di frontiera e di essersi rivolta a loro in maniera “minacciosa” durante la sua visita in Texas. “A quegli ufficiali del Border Patrol che dicono di essersi sentiti minacciati da me”, ha twittato la deputata, “… Mi hanno confiscato il telefono, ed erano tutti armati”. E ha aggiunto: “Sono solo arrabbiati perché ho rivelato il loro comportamento inumano”.

Non depongono a favore dell’agenzia e, in generale, delle forze dell’ordine americane, neppure alcuni “precedenti”. Si pensi alla recente inchiesta di Revealnews, che aveva colto alcuni ufficiali di polizia su Facebook all’interno di gruppi che diffondevano meme razzisti, contenuti violenti, teorie cospirazioniste  e islamofobiche. Un fenomeno di cui poco si è parlato, ma che è stata evidenziato di recente anche dal database Plain View Project, che riunisce post e commenti poco adeguati (per usare un eufemismo) di ufficiali ed ex ufficiali delle forze dell’ordine. “Pubblichiamo questi post e commenti perché crediamo che potrebbero minare la fiducia pubblica nella nostra polizia. A nostro avviso, le persone che sono soggette alle decisioni delle forze dell’ordine potrebbero giustamente chiedersi se queste dichiarazioni online riguardanti la razza, la religione, l’appartenenza etnica e se l’accettabilità del comportamento violento da parte della polizia, oltre al resto, ispirino i comportamenti e le scelte sul lavoro degli ufficiali”, si legge nella homepage del sito.

E tornando al Border Patrol, a inizio 2018 gli investigatori federali hanno trovato una serie di messaggi razzisti inviati da alcuni agenti nell’Arizona del Sud, mentre stavano perquisendo il telefono di un agente accusato di aver investito un migrante proveniente dal Guatemala con un furgone pickup Ford F-150.

Screenshot da Pro Publica.

Nessun commento, sulla vicenda, è giunto dal solitamente incallito “cinguettatore” Donald Trump. A gennaio, prima di dichiarare lo stato d’emergenza, il Presidente si era recato nella Border Patrol Station di McAllen, in Texas, e aveva descritto in termini epici ed eroici gli agenti impegnati a difendere la frontiera, anche presentando le storie obiettivamente toccanti di alcuni di loro caduti nello svolgere il proprio dovere. La sua posizione non appare minimamente cambiata neppure dopo lo scandalo. Nel rispondere a una domanda dei giornalisti nell’Ufficio Ovale, il Commander-in-Chief ha infatti eluso la questione del gruppo Facebook, affermando di non sapere nulla dei commenti pubblicati sui membri del Congresso. “Il Border Patrol non apprezza i democratici al Congresso”, ha poi osservato. Quindi, ha definito gli agenti “dei patrioti”. “Sono persone straordinarie”, ha concluso.

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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