C’è la storia; poi c’è la vera storia; poi c’è la storia di come è raccontata la storia; poi c’è quello che lasci fuori della storia. Anche questo fa parte della storia. Vorrei fosse mia. Non è così. Lo dice Margaret Atwood.
Brani di un discorso da ricordare: “Un uomo ha scritto: ‘Puoi andare a vivere in Francia ma non puoi diventare francese. Puoi andare a vivere in Germania, in Turchia o in Giappone, ma non puoi diventare tedesco, turco o giapponese. Invece chiunque, da qualsiasi angolo della Terra, può venire a vivere in America e diventare americano’…Questa è una delle fonti più importanti della grandezza americana. Guidiamo il mondo perché, unici tra le nazioni, prendiamo il nostro popolo – la nostra forza – da ogni paese e da ogni angolo del mondo. E così facendo rinnoviamo e arricchiamo la nostra Nazione. Creiamo il futuro, e poi il mondo ci segue. Grazie a ogni ondata di nuovi arrivi in questa terra di opportunità, siamo una nazione sempre giovane, sempre piena di energia e nuove idee, e sempre all’avanguardia, che conduce il mondo verso la prossima frontiera. Questa qualità è vitale per il nostro futuro come nazione. Se mai avessimo chiuso le porte ai nuovi americani, la nostra leadership nel mondo sarebbe presto andata perduta” (autore del discorso: Ronald Reagan, 19 gennaio 1989, ultimo intervento da presidente degli Stati Uniti d’America).
La corte suprema del Myanmar respinge l’appello di Kyaw Soe Oo e Wa Lone, i due giornalisti della Reuters accusati di aver violato dei segreti di Stato nell’ambito di una loro inchiesta sulle violenze compiute contro la minoranza Rohingya, che risiede nello stato di Rakhine, al confine con il Bangladesh. I due reporter furono arrestati nel dicembre 2017, poco dopo aver ricevuto dei documenti ufficiali da alcuni ufficiali di polizia. L’anno successivo sono stati condannati a sette anni di carcere. Ieri il giudice della Corte Soe Naing ha respinto la possibilità di ricorrere in appello per i due giornalisti, confermando la sentenza già emessa. “We Lone e Kyaw Soe Oo non hanno commesso alcun crimine né sono state fornite prove sulla loro colpevolezza. Sono stati incastrati dalla polizia che ha voluto censurare il loro lavoro. Continueremo a fare tutto il possibile per liberarli il prima possibile”, fa sapere in una nota la Reuters.
Il mondo civile fa affari con questi tagliagole. Il ministero dell’interno dell’Arabia Saudita fa sapere che 37 cittadini sauditi sono stati uccisi, dopo essere stati condannati per terrorismo. Le esecuzioni sono state decise dai tribunali di Mecca, Medina, della provincia centrale di Assim e della provincia Orientale, base della minoranza sciita del paese. I condannati sono stati riconosciuti colpevoli di “aver adottato pensiero terrorista estremista” e di aver “formato cellule terroriste”. La pena di morte in Arabia Saudita avviene per decapitazione, ma uno dei condannati è stato crocifisso, pratica inflitta per i reati più gravi. L’anno scorso nel regno saudita sono state messe a morte 149 persone.
È stata condannata a un anno di carcere Vida Movahedi, la donna che si era tolta il velo dal capo in pubblico a Teheran per protestare contro l’obbligo per le donne di indossarlo e che era stata imitata da molte altre. A farlo sapere è stato il suo avvocato, Payam Derafshan. Movahedi, poco più che ventenne, era stata arrestata a ottobre nella piazza Enghelan della capitale iraniana. Incriminata per “incoraggiamento alla corruzione e dissolutezza, è stata condannata al carcere da un tribunale di Teheran il 2 marzo scorso. La giovane, ha spiegato il legale, voleva con quel gesto opporsi “al hijab obbligatorio” esprimendo la sua contrarietà “in una protesta civile”, dopo che già in passato aveva manifestato contro l’imposizione alle donne.
Nel dicembre 2017 era salita su una centralina dell’elettricità nel viale Enghelab senza l’abito lungo obbligatorio e aveva legato il suo velo bianco alla punta di un bastone, gesto che era stato copiato da molte donne in varie città. Enghelab significa rivoluzione in farsi e la piazza e il viale sono tra i luoghi più frequentati della capitale; la protesta sua e delle altre donne era stata quindi soprannominata ‘delle Ragazze di via della rivoluzione’. Lei e altre manifestanti erano state arrestate e in quell’occasione la giovane era stata multata. Questa volta ha invece già trascorso oltre cinque mesi in carcere, nonostante abbia diritto all’indulto e il giudice abbia dichiarato di essere favorevole alla libertà condizionale.
Fatelo voi, l’esercizio di dimenticare certi mancati gesti, certi silenzi, certe assenze, certe indifferenze, certe noncuranze, certi comportamenti, la carezza non data, la parola non detta, il sorriso mancato, il gesto stizzito per allontanare chi vorrebbe sfiorarti. Fatelo voi, che credete nell’unità. Io credo nell’unione, e dell’unione fa parte il ricordo, il conoscere e conoscersi; il sapere, a volte il tacere, a volte il parlare, il dire e il pensare, il vedere e non solo guardare; e accettare di giocare partite anche quando sai che non vinci, solo perché a fianco (e non sopra o sotto) c’è qualcuna, qualcuno cui tieni. Fatelo voi quell’esercizio di saviezza, chi vi dice niente? Ma almeno, risparmiate ipocrite lezioncine di moralità a chi non segue e condivide il vostro dire e il vostro fare. A ciascuno il proprio.