“Parigi non è più Parigi” scrivevo quattro anni fa in questa rubrica, dopo aver trascorso la Pasqua a Parigi. Poi non ci sono più tornata, non perché non mi piacesse più – ho Parigi sempre nel cuore – ma semplicemente non è capitato. Rilevavo che anch’essa si era globalizzata, che erano scomparsi i negozi di artisti e stilisti originali e che sembrava di essere finiti in un festival di macaron, poiché questi coloratissimi e deliziosi dolcetti di meringa riempivano innumerevoli vetrine, quasi fossero il cibo nazionale. Da macaron a Macron il passo è stato breve: nemmeno un lustro è passato e davvero sono tempi ora per Parigi privi di dolcezza. Prima ci sono stati due anni costellati di attentati di matrice islamica fondamentalista, poi mesi di atti vandalici perpetrati dagli stessi cittadini francesi. Quelle vetrine sono state distrutte dai gilet gialli che, per colpire il governo, hanno colpito soprattutto attività commerciali di privati, loro simili in tutto meno che nel conto in banca. L’odio è sempre economico, che sia islamico o vestito di giallo. Talvolta la protesta è l’altra faccia della preghiera: si cerca sempre di ottenere qualcosa forzando il divino. Quando si afferma che la propria disgrazia proviene dall’alto, sia esso un dio o un presidente, emerge una disperazione dell’impotenza capace di distruggere ogni cosa perché non ha più nulla da perdere.
Non credo che le disgrazie di Parigi siano colpa di Macron più di chi abbia fatto di Parigi la capitale dei macaron. Voglio dire che se il popolo è depauperato non è solo colpa dell’ultimo presidente al governo ma dell’insieme di quei poteri politici, economici, giuridici, tecnologici, mediatici che, per proprio vantaggio o per incompetenza, ci hanno riportato a un sistema medievale, dove comandano solo pochi che sono diventati ricchi affamando molti che sono diventati poveri. Nel sistema feudale globale del XXI secolo i poveri non devono studiare per non formarsi una mentalità critica, devono consumare per non pensare e per arricchire le multinazionali, devono imitare i coatti che propina lo schermo per acquisire un pensiero unico, devono vivere connessi per essere soli e non accorgersi che la tecnologia distrugge la comunicazione empatica degli esseri umani. Il grado di litigiosità rivela la frustrazione collettiva e all’improvviso ci si accorge che non bastano le forze dell’ordine e tantomeno i tribunali per rimettere ordine nelle menti impazzite di un popolo. Ovvio che c’è qualcuno che ruba, si chiami governo, multinazionale o si tratti di qualsiasi altro ente che ricopra un ruolo pubblico, ma di certo è ammantato di legalità perché esercita il potere. Allora chi dovrebbe andare dentro? I vandali o i ladri che ci governano? E questo ragionamento vale anche per l’Italia, solo che gli italiani prima di fare la rivoluzione e finché possono si arrangiano con lavoretti o con lavoroni in nero, evadendo lo Stato, insomma non pagando chi ritengono li derubi.
Sebbene ognuno metta in mostra quello che ha, Parigi aveva ben di più da mostrare che i macaron, eppure piacevano più dei suoi monumenti. Il piacere orale in quest’epoca infantile è molto più praticato di quello culturale in tutta Europa, che dovrebbe essere la culla della civiltà. Perché la cultura affatica le menti che non hanno imparato a pensare.
Se non fosse stato per l’incendio, Notre Dame sarebbe ancora in decadenza, ora è decaduta, ma sta risorgendo. Proprio a Pasqua. È il simbolo di valori che l’Europa sta perdendo e i francesi hanno dimostrato di saper reagire compatti come una sola anima nazionale. Le immediate donazioni delle grandi case di moda sono state giudicate da certi opinionisti italiani come un’occasione per farsi pubblicità. Che meschini! Meglio i nostri ricchi industriali che, a parte Della Valle e Cucinelli, non hanno mai sganciato un euro perché non hanno il senso dello Stato ma dell’evasione dallo Stato?
Quando, nel terremoto del 2014, è crollata la basilica di San Francesco d’Assisi con gli affreschi di Giotto e Cimabue, non mi sembra ci sia stata questa gara di solidarietà tra gli stilisti del Belpaese, gli eroi del made in Italy con sedi e produzioni all’estero. Né i media sono riusciti ad enfatizzarne la perdita culturale. Né i populisti si sono preoccupati di quelle che considerano quattro pietre crollate, inutili a riempire la loro pancia. E nemmeno il Papa è stato capace di trasmettere il valore simbolico di ciò che avevamo perso. Perché? Perché la Chiesa ha smarrito il valore arcano dei simboli che lega gli esseri umani, permettendogli di riconoscersi simili nelle avversità e unire le proprie forze per superarle.