È tempo di svegliarsi, è tempo di cambiare. Ci sono orologi che ticchettano, sagome di un pianeta avvolto dalle fiamme che suda e boccheggia, migliaia di slogan a scandire uno sciopero che è quello “della Terra”, in questo verde venerdì. In gioco non c’è solo il futuro delle migliaia di giovani che oggi hanno assiepato le piazze di tutta Italia – il Paese più attivo al mondo con 235 raduni organizzati sulla scia dei #FridaysforFuture di Greta Thunberg – ma anche il futuro della bellezza della nostra Mother Earth, un valore così assoluto da non ammettere deroghe. Dalle fanfare di Bari ai selfie anti global warming di Milano, passando per i cortei partecipatissimi di Roma e Palermo, la penisola si unisce alla marcia.

Il Belpaese, che è primo in Europa per biodiversità, è anche tra le nazioni che hanno fatto più passi avanti nella lotta ai cambiamenti climatici negli ultimi anni, nonostante una percezione del problema ambientale ancora da rafforzare e il permanere di grandi questioni che minacciano la salute dei suoi abitanti e i suoi fragili ecosistemi, da Nord a Sud.
Nel recupero delle materie prime e nell’economia circolare, l’Italia guida i Paesi Ue ed è tra le prime nazioni al mondo a vietare il consumo di cotton fioc non biodegradabili e le microplastiche nei suoi cosmetici, che rappresentano oltre la metà di tutto il make up prodotto sul pianeta. Può inoltre vantare un calo dell’1 percento in un anno delle emissioni di gas serra nel 2017, nonostante l’incremento medio globale del 2,2 percento all’anno delle emissioni di C02 nell’ultimo decennio. Gli impegni si fanno però più stringenti, in vista di scadenze che impongono ulteriori misure. Si deve fare meglio e più in fretta. Questo chiedono a gran voce gli scioperanti del venerdì.

Certo è che la politica italiana non pone sufficiente attenzione al clima: di ambiente non si parla abbastanza, rilevano gli osservatori. Anzi, il tema è quasi inesistente nei discorsi e nei programmi dei principali partiti. E ciò a dispetto delle calamità che corrono lungo lo Stivale. In cima alle preoccupazioni degli italiani, ci sono il surriscaldamento globale e la corretta gestione dei rifiuti, ma anche l’inquinamento dell’acqua e dell’aria. Particolare considerazione genera poi il problema dello smaltimento delle plastiche. Plastiche che nel 2050 potrebbero superare il numero di pesci che popolano il mare.
Il 2018 è stato un anno terribile per il pianeta, compresa l’Italia, dove le piogge e le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno danneggiato 42.500 ettari di foreste e quasi 500 Comuni, abbattendo un numero di alberi pari a quelli tagliati nell’arco di 5-7 anni. Ma è stato anche il quarto anno più caldo mai registrato nel mondo. In Italia e in Europa addirittura il più incandescente di sempre, con una temperatura media a gennaio più alta di 1,1 gradi rispetto al 1900. Mentre negli Usa, dove oggi si sciopera in massa e i giovani dicono di sentirsi “traditi dagli adulti”, si sono avuti danni per quasi 75 miliardi di dollari fra incendi e uragani.
Terremoti, inondazioni, tsunami, incendi hanno colpito 61,7 milioni di persone nel mondo nel 2018. Ma gli ultimi anni sono stati anche quelli dell’erosione costiera galoppante, dovuta in gran parte agli effetti delle costruzioni selvagge, e di piogge torrenziali alternatesi a lunghi periodi di siccità: in Italia, tuttora, il fiume Po è in magra come in piena estate. A rischio le aree coltivate, la fauna, la stessa sopravvivenza delle popolazioni.
Nulla di buono ci dicono le proiezioni. Gli ultimi studi pubblicati da Nature parlano di un aumento del livello dei mari atteso tra gli 8 e i 41 centimetri (nel worst-case scenario) da qui al 2100, a causa dello scioglimento dei ghiacciai, la cui superficie nel Belpaese è già diminuita del 30 percento negli ultimi 50 anni. Il Mediterraneo è zona calda e uno studio su Science ci mette in guardia: il Mare Nostrum così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi diecimila anni non esisterà più. I prossimi migranti ambientali potremmo essere proprio noi.
L’Italia deve poi fare i conti con aree particolarmente a rischio per l’inquinamento dell’aria e del suolo, da Taranto, con il suo stabilimento siderurgico dell’Ilva, allo smaltimento illegale dei rifiuti nella Terra dei Fuochi, in Campania, un fenomeno che però interessa sempre più anche il Nord Italia, soffocato al contempo da livelli di smog insostenibili nelle principali metropoli, nonché dalle emissioni industriali. Anche la qualità dell’acqua destinata al consumo umano è sotto accusa. Situazioni per le quali l’Europa ha già avviato diversi procedimenti contro le infrazioni dell’Italia, tra gli Stati Ue che meno rispettano le sentenze della Cedu.
I singoli, ripetono i giovani (e meno giovani) oggi in marcia, possono fare molto. A partire da un cambiamento necessario negli stili di vita, come un calo nel consumo di carne, la condivisione dei mezzi di trasporto, un maggiore riciclo. Ma il tempo è tiranno, avverte Greta. Che ammonisce i potenti della Terra: quando noi saremo adulti, sarà già troppo tardi. L’hanno candidata al premio Nobel per la Pace, questa 16enne che con i suoi due occhioni blu e un paio di trecce contornate spesso da un cappellino, è già un simbolo: quello degli individui che possono fare la differenza. Colei che vorrebbe inchiodare i grandi alle loro responsabilità e che ricorda loro che non esiste un pianeta B.
Il tempo stringe, dicevamo. Gli accordi della Cop21 non sono stati rispettati, troppi leader non hanno fatto la loro parte, hanno ignorato e persino negato che una questione climatica sia mai esistita. Solo ieri, l’Onu ci ha ricordato come un quarto delle malattie del pianeta siano da attribuire agli effetti dell’inquinamento. Da qui ai prossimi 30 anni si prevede che le temperature aumenteranno di altri 2 gradi centigradi: non tutti avvertiranno il cambiamento in maniera uniforme. Non sarà una grande Apocalisse a spazzarci via tutti, sottolineano le nuove generazioni. Ma pezzo dopo pezzo, il nostro pianeta si ammalerà, soffocherà, si sgretolerà, si scioglierà.
E allora, la partecipazione di molti non può bastare, urlano a gran voce da Stoccolma a Sidney. Invocano soprattutto l’impegno dei “big”, dalle multinazionali ai governi, meno emissioni di gas serra, una transizione energetica, con una progressiva dismissione dei combustibili fossili e più fonti rinnovabili. Perché, “il nostro futuro è nelle vostre mani” e “non vogliamo le vostre speranze, ma le vostre azioni”, è l’appello di Greta.
Le fanno eco i coetanei italiani con i loro striscioni (“Cambiamo il sistema, non il clima”, “Ci siamo rotti i polmoni”), in una giornata che alterna slogan e canti, e in cui torna virale quel “Do it now – Bella Ciao”, da ormai qualche anno diventato inno per l’ambiente. Note di bellezza che, nella comune lotta contro chi continua a deturparla, uniscono giovani forse non più di così belle speranze, ma certamente più consapevoli dei problemi e delle soluzioni possibili, e sorprendentemente capaci di belle, bellissime azioni.