Se si scruta per bene il cielo di Londra, si può ancora vedere qualche bandiera europea gonfiarsi sotto il vento di questi giorni nella capitale. Nonostante manchi ormai sempre meno alla data più importante dell’anno, poco è cambiato rispetto all’annuncio dell’apertura di due anni di negoziati prima dell’uscita ufficiale, fissata per venerdì 29 marzo 2019. Dopo il rigetto del Parlamento del piano di uscita proposto dalla premier Theresa May, concordato a novembre 2018 con i partner europei, si cerca adesso di modificare il testo entro i termini stabiliti. Ma la data è ormai imminente e i milioni di cittadini europei residenti nel Regno Unito sono in attesa di saperne di più. Il Paese è anche la prima meta per gli italiani che decidono di trasferirsi. Sono circa 700mila, di cui quasi la metà a Londra, ma molti di loro non si sono mai registrati all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero. Per il momento, gli studenti sono tutelati dalle università che hanno garantito gli stessi piani tariffari per tutto il 2019, seguendo le direttive del governo, ma non è ancora chiaro quello che accadrà dopo. Il settore universitario che contribuisce al PIL britannico con 21 miliardi di sterline, è in allarme per le possibili conseguenze di una separazione senza accordo. Per l’anno accademico 2018-2019 si è riscontrato, infatti, un calo di iscrizioni di studenti in arrivo dall’Unione Europea di circa il 3%, rispetto all’anno precedente. Uno degli ambienti più vivaci ed internazionali d’Europa rischia così di perdere i suoi primati.
Per i lavoratori crescono le insicurezze. C’è persino qualche datore di lavoro che ci tiene a specificare la sua posizione di “Remainers” prima di assumere qualcuno proveniente dal resto d’Europa, così da assicurarsi, se non altro, di partire con il piede giusto. Secondo il governo non ci saranno grossi cambiamenti, ma nel caso di un no-deal sarà una priorità proteggere il settore lavorativo attraverso un piano di implementazione.
Non si può dire che il governo non sia stato quantomeno trasparente nel fornire una guida ai cittadini europei che vivono nel Regno Unito e per quelli britannici che vivono in uno degli stati membri. Nel sito ufficiale www.gov.uk , infatti, è consultabile una sezione dedicata alla questione, “Prepare for EU exit”. La guida prende in esame differenti casistiche e offre soluzioni in relazione ad un potenziale accordo d’uscita, ma comprende anche l’ipotesi di un divorzio senza patti. Per i milioni di cittadini europei presenti nel Regno Unito, è possibile selezionare la provenienza e delineare un profilo rispondendo ad alcune domande per conoscere quali siano le prossime mosse per regolamentare la propria posizione. Infatti, il governo britannico ci tiene a far sapere di aver già raggiunto un accordo sulla materia con gli stati membri, ma anche con Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera, che proteggerà i diritti dei cittadini EU e le loro famiglie. Si dovrà fare domanda se si intende continuare a vivere nel Regno Unito dopo dicembre 2020. La guida comprende sezioni come viaggiare o trasferirsi all’estero, lavoro, trasporti, ambiente, business e educazione ed è possibile tenersi aggiornati sugli ultimi sviluppi, su cosa cambierà e come.
Trovare un’intesa, e farlo in fretta, rimane una priorità dell’esecutivo, che comprenda un periodo di transizione fino a dicembre 2020. Ma le pressioni non mancano. Le instancabili proteste per fermare la Brexit sono in corso ogni giorno davanti al Palazzo di Westminster, gli economisti temono che un’uscita senza accordo possa essere un shock per l’Europa e il mercato mondiale, i laburisti guidati da Jeremy Corbyn chiedono un nuovo referendum e le divisioni all’interno della maggioranza contribuiscono all’acuirsi della tensione. Alcuni esponenti dello stesso partito della premier, infatti, hanno proposto di ritardare l’uscita per scongiurare un epilogo disastroso. L’ipotesi che si sta facendo strada sarebbe quella di un rinvio dell’uscita al 23 maggio, stesso giorno di inizio delle elezioni europee, le prime a cui i cittadini britannici non parteciperanno.
Mentre si indaga ancora su una possibile relazione tra il ritrovamento di tre pacchi bomba a Londra provenienti da Dublino, contenenti il messaggio “Love Ireland” e l’accrescersi della tensione tra Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda a causa della Brexit, questa settimana sarà decisiva per sbloccare la situazione. La May sottoporrà a votazione la nuova bozza d’intesa nella giornata di martedì. Per scongiurare un no-deal, il Parlamento britannico potrebbe decidere di chiedere una proroga dell’uscita, appellandosi all’articolo 50 del Trattato di Lisbona e a quel punto i restanti 27 stati membri dovranno decidere se concederla all’unanimità. Nel caso di un’uscita senza accordo, il nuovo schema per gestire l’immigrazione verrà applicato solo nel 2021, dopo quella data bisognerà richiedere un visto se si intende trascorrere nel Regno Unito più di tre mesi.
Tutti gli scenari sono ancora possibili. Non ci resta che attendere. Anche se non si sa bene cosa, se l’intesa o la data. “No Deal? No Problem” era uno degli slogan dei “Leavers” prima del referendum, invece l’accordo tarda ma il problema c’è eccome, ed è anche in dirittura d’arrivo. Si corre ai ripari per far fronte ad una decisione presa forse con troppa leggerezza. L’atteggiamento ostile ha sempre caratterizzato i rapporti tra il Regno Unito e il resto del continente, ma mai si sarebbe immaginato un ritorno al passato. Secondo i piani, alle ore 23 (ore locale) del 29 marzo, il Regno Unito cesserà di essere uno stato membro dell’Unione Europea. Sono settimane di stress in cui è in gioco il futuro di uno dei paesi trainanti del continente e dei tanti cittadini (britannici e non) che lo abitano. Il respiro internazionale ha, infatti, reso Londra la City che conosciamo oggi. La stessa che ha rappresentato un’eccezione durante il referendum, la stessa che sarà difficile appellare come extracomunitaria.