D’accordo, è un comico; d’accordo, un comico le spara grosse; ma anche un comico, anche quando le spara grosse, un minimo di decenza dovrebbe pur averla. Per se stesso; per chi lo ascolta. Tanto più se si chiama Beppe Grillo, inopinatamente promosso a guru politico, e capo carismatico (sia pure alquanto appannato) del Movimento 5 Stelle, che adesso, assieme alla Lega di Matteo Salvini, siede al Governo dell’Italia.
Grillo dice che il razzismo in Italia non è un problema; che se problema costituisce, è comunque solo qualcosa di mediatico. Al massimo, concede sempre Grillo, ci sarebbe un crescente egoismo sociale.
Non so se sia rubricabile come egoismo sociale il caso del bambino di colore messo in un angolo, in una classe di Foligno, da un maestro che lo ritiene brutto. Non so se sia rubricabile come egoismo il caso della signora cinese, insultata mentre fa la spesa a Monza da un commesso di un supermercato, che poi mette il video della sua prodezza su Facebook. Non so se siano rubricabili come egoismo sociale i cori nelle curve degli stadi di calcio che insultano giocatori di pelle nera.
So che gli uffici della presidenza del Consiglio, dove ha sede l’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali, fa sapere che nel 2018 sono arrivate 3.260 segnalazioni di possibili gesti discriminatori a sfondo etnico-razziale; trecento più del 2017; una media di nove denunce al giorno. So che la relazione delle agenzie d’intelligence inviata al Parlamento segnala il rischio concreto, in prossimità delle elezioni europee di maggio, di episodi di intolleranza verso gli stranieri, compresi quelli che vengono definiti “episodi di stampo squadrista”. Forse, dunque, si tratta di qualcosa di più, e di più grave, di egoismo sociale.
Sapete: su La Gazzetta di Parma, sotto la colonnina delle offerte di lavoro, tra una richiesta di “personale esperto” e un “cercasi operaio per magazzino vendita”, è stato pubblicato il seguente annuncio: “Privato cerca domestico/a di razza ariana con referenze, scrivere alla casella postale…”, ecc. Un giornalista del Tg2, il compianto Carlo Mazzarella, ha raccontato un avvilente episodio di cui poi hanno parlato anche Le Monde e The Herald Tribune: una donna, di nazionalità eritrea, in Italia da dodici anni, con regolare permesso di lavoro e passaporto italiano, è seduta in autobus. Sulle ginocchia il figlio di pochi anni. Salgono due energumeni: “Tu negra, devi stare in piedi, i sedili sono per i bianchi”. Nessuno ha reagito, solo l’autista dell’autobus è intervenuto. Dei passeggeri nessuno.
Questi episodi sono accaduti nel 1989. Li ho ripescati da un volumetto curato da chi vi scrive, Storie di ordinario razzismo; una cinquantina di pagine piene di episodi simili. Lo cito per dire che quello del razzismo, dell’intolleranza, è un qualcosa di cui si comincia forse a prendere coscienza oggi; ma è un fenomeno che cova da anni, decenni; si nutre e lievita anche grazie alla nostra indifferenza, alla nostra incapacità di vedere e reagire. Di pensare e dire, senza reagire, corbellerie come: “non è razzismo”, “è un fenomeno mediatico”, “al massimo è un “crescente egoismo sociale”.