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I tre graziati da Mattarella e il messaggio che c’è dietro. Qualcuno lo raccoglie?

Sergio Mattarella concede la grazia a Franco Dri, Giancarlo Vergelli e Vitangelo Bini: “colpevoli” di aver ucciso moglie o figli, per pietà o disperazione

Valter VecelliobyValter Vecellio
I tre graziati da Mattarella e il messaggio che c’è dietro. Qualcuno lo raccoglie?

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (http://en.kremlin.ru).

Time: 4 mins read

La “notizia” è stata riferita frettolosamente, la palpabile impressione è che la si sia considerata come un qualcosa che non poteva essere pubblicata; ma lo si è fatto con un imbarazzo che non è pudore; piuttosto appartiene alla reticenza. La “notizia” è questa: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella concede la grazia a Franco Dri, Giancarlo Vergelli e Vitangelo Bini: “colpevoli” di aver ucciso moglie o figli, per pietà o disperazione. Vergelli ha 88 anni: condannato nel 2016 a 7 anni e 8 mesi per aver ucciso la moglie, Nella Burrini, 88 anni, malata di Alzheimer.

Vergelli strangola la donna con una sciarpa, le rimane accanto per più di un’ora, poi si costituisce: “Non ce la faccio più”, dice alla polizia, disperato per l’aggravamento della malattia della moglie.

Graziato anche Bini: 89 anni, pensionato. Condannato a 6 anni e 6 mesi per l’omicidio della moglie, malata di Alzheimer. Assiste per dodici anni la moglie Mara Tani; la malattia rende necessario il ricovero in una struttura sanitaria; le condizioni e le sofferenze della donna peggiorarono; Brini, disperato, uccide la con tre colpi di pistola.

Il terzo caso è diverso: Franco Dri, 79 anni, condannato a 4 anni. Per lui la richiesta di grazia arriva al Quirinale col sostegno di mille firme di cittadini di Fiume Veneto in testa alle quali la moglie Annalisa Morello. Dria, uno stato di salute precario, nel 2015, spara un colpo al cuore del figlio, Federico di 47 anni, tossicodipendente. Il colpo parte al culmine di una furibonda lite.

Al di là di generici, frettolosi, fumosi e sfumati riconoscimenti al misericordioso operato del Presidente, non si è andati. Peccato. Poteva, doveva essere l’occasione per un dibattito, un confronto, un “interrogarsi” con onestà: un cercare di capirsi e di spiegarsi; di ascoltare per essere ascoltati; “sentire” per essere “sentiti”; “vedere”, “conoscere”, nelle sue declinazioni: apprendere,  comprendere, informare, distinguere, discernere, esaminare…

Il Presidente, non c’è da dubitarne, ha operato con scienza e coscienza. Nella sua persona trova armonia la sensibilità del credente, l’esperienza del politico che “governa” le situazioni, la sapienza del giurista e dello studioso del diritto. Una delle stelle polari del Presidente – è cosa nota – è Aldo Moro.

Vale la pena di ricordare che Moro collaborò alla stesura della parte finale dell’articolo 32 della Costituzione; e in particolare il comma relativo ai limiti posti alla legge, che può determinare trattamenti sanitari obbligatori, ma sempre nei «limiti imposti dal rispetto della persona umana». Quel Moro che nella seduta della Commissione per la Costituzione del 28 gennaio 1947 dichiara che quel limite è necessario perché il legislatore non cada nella tentazione dell’onnipotenza. Il limite del rispetto della persona umana è una della dichiarazioni più forti della Costituzione poiché pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato. Nell’ambito della libertà della persona e dei diritti costituzionalmente riconosciuti deve valere il diritto al rifiuto o all’interruzione dei trattamenti sanitari, che non può essere disatteso nel nome di un supposto dovere pubblico di cura, a meno di non voler affermare l’idea di uno Stato illiberale, ripudiata dai Costituenti. Solo così si “realizza” una corretta lettura della Costituzione; solo così la Repubblica dà autenticamente corpo al fondamentale “diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

È un qualcosa dolosamente e colpevolmente disatteso da troppo tempo; e che altrettanto dolosamente e colpevolmente si vuole continuare a disattendere. Al di là del gesto di misericordia, dal Quirinale è giunto un preciso, inequivocabile, fermo segnale: è giunto il momento, indilazionabile, perché queste tematiche siano affrontate, dibattute, e non si continui a eluderle come sostanzialmente finora si è fatto e si fa. Il segnale politico che viene dal Colle è questo: che non ci siano più casi come quelli di Bini, Dri e Vergelli; che si squarci finalmente il muro omertoso e indifferente che riguarda le tematiche della vita e della morte, del come vivere, del come morire, la dignità e il rispetto di cui ognuno di noi ha diritto. Sono questioni che la politica ufficiale ha ben cura di evitare. Dopo l’iniziativa del presidente, sui giornali e nelle televisioni, sia pubbliche che private, nessun serio dibattito, nessuna seria informazione, nulla: un deserto.

Ve la ricordate Marina Ripa di Meana? Un caso da manuale, il suo. Non ce la faceva più. Il tumore la distruggeva, voleva andare in Svizzera e morire in “esilio”, cercava qualcuno che la aiutasse a farla finita con i suoi tormenti. Le abbiamo spiegato che poteva farsi sedare a casa sua, e così andarsene serenamente. Non ne sapeva nulla. Prima di morire ci ha affidato un testo che richiama tutti noi alle responsabilità che abbiamo, e di cui non ci si può liberare con una scrollata di spalle. Questa donna esuberante e piena di vita ci ha raccontato quello che ogni giorno accade a tantissime persone: Il passaggio chiave del testo: è questo: “Non sapevo, non conoscevo questa via… che si può percorrere la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda”. Il suo estremo appello: “Fatelo sapere, che si può tornare alla terra senza inutili, atroci sofferenze”.

Vedete? Alla fine, si chiama “Diritto umano e civile alla conoscenza”. Quel diritto per cui si sono battuti fino all’ultimo, isolati ma non soli, Luca Coscioni e Marco Pannella; quel diritto, ci si permette di dire, a cui ci richiama il presidente Mattarella con le sue tre grazie.

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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