Una serie di scosse hanno preannunciato l’ultima eruzione dell’Etna, quella del 24 dicembre, e il terremoto di magnitudo 4.8 che, nella notte di Natale, ha colpito sei centri della provincia di Catania svegliando bruscamente i suoi abitanti. Numerosi crolli, 28 feriti e circa 600 sfollati, è il bilancio di questo ultimo sisma. Oggi l’eruzione è ufficialmente conclusa, anche se continuano le scosse di assestamento avvertite continuamente dalla popolazione mentre l’Etna appare maestosa con il suo manto bianco coperto di neve.
Cosa significa vivere ai piedi del vulcano, il gigante buono che ogni tanto ci fa spaventare con i suoi tremori e le sue eruzioni? Lo abbiamo chiesto a Boris Behncke, vulcanologo tedesco, etneo di adozione, che lavora presso l’INGV di Catania e ad Antonio Scaramelli, guida dell’Etna, nato e cresciuto ai piedi del vulcano.
Un vulcano, ma anche una montagna, che racconta di storia, natura, mito, leggende, e si presenta davanti allo sguardo stupito di chi lo osserva con un paesaggio naturalistico mozzafiato, ora desertico, ora natura verde rigogliosa, lunare, ora roccioso e sabbioso. Acqua, terra, aria, fuoco, gas sono gli elementi principali dell’Etna, il vulcano siciliano, il più alto d’Europa e tra i più giovani, nato dal mare 500.000 anni fa per poi trasformarsi in una serie di centri eruttivi, oggi in tutto quattro, che diventano lo skyline della costa orientale siciliana, dominando come un unico scudo su Catania e provincia.
Un intreccio di natura, geofisica, geologia, paesaggio antropico e urbano fanno dell’Etna e del territorio etneo un unicum al mondo, capace di fare paura con i suoi sciami sismici e le sue colate di lava ma anche di regalare spettacoli pirotecnici naturali con i suoi lapilli di fuoco.
Un vulcano, che i suoi abitanti chiamano semplicemente “Iddu” (lui), quando vogliono sottolinearne la riverenza, “Mungibeddu” (dal latino Mons e dall’arabo Jebel, entrambi significano monte) per rafforzarne la maestosità e infine a “Muntagna” per non dimenticare che l’Etna è soprattutto donna. E come tutte le donne sbuffa, sbrotta, fa capricci, borbotta ma come una mamma ti protegge, ti abbraccia ed è sempre li a sorvegliare su di te.
Da Prometeo a Polifemo, quando l’Etna diventa mitologia
Vulcanologia e mito, scienza e racconto, entrambi strettamente connessi tessono la storia vulcanologica e mitologica dell’Etna. Si narra che, il dio Eolo, abbia imprigionato i venti sotto le caverne dell’Etna mentre secondo il poeta Eschilo, Zeus decise di punire il gigante Tifeo facendoli sorreggere la Sicilia in tre punti diversi dell’Isola: i piedi sotto il Lilibeo (Trapani), il braccio destro sotto il Peloro (Messina) e quello sinistro sotto Pachino (Siracusa) e la testa proprio in prossimità dell’Etna. E sarebbe proprio l’irrequietudine del gigante, secondo il mito, a dare vita ai terremoti e alle eruzioni dalla sua bocca.
Secondo il mito, Efesto o Vulcano, dio del fuoco e fabbro degli dei, ebbe la sua fucina sotto l’Etna dove Prometeo rubò una favilla per riportarla agli uomini, mentre i Ciclopi, nel cuore dell’Etna, forgiavano le saette usate come armi da Zeus. Tra questi, Polifemo, il quale, secondo Omero, ha scelto l’Etna e una delle grotte come sua dimora. Ed è ancora Omero a regalarci una delle pagine più belle dell’Odissea, con la storia di Ulisse e Polifemo che ha luogo proprio sul vulcano e la costa circostante.
Ulisse, in ritorno da Troia, ebbe anche la sfortuna di imbattersi in Polifemo che l’eroe greco accecò con un palo di legno aguzzo. Polifemo iracondo voleva vendicarsi, ma essendo accecato non si accorse che Ulisse e compagni si erano aggrappati alla pancia dei pecoroni ed erano così usciti dalla grotta in cui erano tenuti prigionieri, facendosi burla del gigante. Il ciclope, in un ultimo sussulto d’ira, lanciò dei grossi massi contro Ulisse senza colpirlo dando origine ai faraglioni che oggi caratterizzano Acitrezza.
A fare da sfondo ai faraglioni di Acitrezza ed Acicastello, che, dal punto di vista geologico, si sono formati a seguito di un’intensa attività vulcanica, è la leggenda di Aci e Galatea. Il primo era un pastorello che viveva alle pendici dell’Etna, amato da Galatea, la quale però era a sua volta corteggiata da un ciclope. Il gigante, non vedendo corrisposto il suo amore, decise di uccidere Aci schiacciandolo con un gigantesco masso (uno dei faraglioni) credendo che finalmente Galatea si sarebbe concessa a lui. Ma non fu così. Galatea continuò ad amare il suo pastorello e gli dei commossi dalle lacrime di Galatea decisero di trasformare il corpo di Aci in sorgenti d’acqua dolce che sgorgavano sui pendii del vulcano.
Boris Behncke, il vulcanologo tedesco stregato dalla Muntagna
Folgorato sulla via della vulcanologia a soli 10 anni, fu proprio sui banchi di scuola che Boris, il vulcanologo tedesco, siciliano, anzi etneo di adozione, scelse tra i tanti vulcani di studiare proprio l’Etna. E addirittura di sceglierla 22 anni fa come casa sua, dove oggi vive insieme alla moglie e alla figlia che, dice lui, “si muove tra i sentieri del vulcano con grande dimestichezza e familiarità”.
Boris arriva in Sicilia per studiare l’Etna circa 30 anni fa, accolto con la grandeur che solo l’Etna sa riservare: una spettacolare eruzione. “Dell’Etna mi affascina la maestosità, la complessità del suo territorio. È un vulcano, ma ricordiamoci che è anche una montagna. Ogni eruzione è nuova, modifica il territorio. Come l’ultima del 26 dicembre, che ci ha fatto tremare nel cuore della notte. L’attività magmatica del vulcano era particolarmente attiva negli ultimi tempi. Era quindi attesa l’eruzione ma la particolarità dell’Etna è l’imprevedibilità della sua fase eruttiva e di eventuali terremoti connessi”, dice Boris.
“Quest’ultima eruzione, definita laterale, è stata caratterizzata dall’intrusione di un dicco, un corpo roccioso costituito dall’infiltrazione di magma all’interno di una fessura tra gli strati di rocce sedimentarie. Il magma, anziché risalire verso l’alto, ha trovato uno sbocco sul fianco del vulcano, che ha subito una deformazione. La conseguente attività sismica è dovuta allo scivolamento, da ovest verso la parte est del vulcano, tra faglie bloccate che nel momento in cui si sbloccano, danno vita al terremoto”.
Fascino, mistero ed imprevedibilità fanno parte della bellezza dell’Etna. “Ma anche spiritualità”, dice Boris. “Quando si osserva il vulcano si viene a contatto con un’entità divina e superiore che ci fa sentire piccoli e ci ricorda che siamo parte di un insieme”. Con il “gigante buono” come è stato ribattezzato il vulcano siciliano, bisogna convivere in tutta sicurezza.
“Per questo, continua Boris, bisogna conoscerlo e avere la consapevolezza che viviamo in una zona altamente sismica, non solo per la presenza del vulcano. Bisogna che i siciliani acquistino più consapevolezza dell’alta sismicità del territorio e si premurino per fare fronte a questa condizione. A partire dalla sicurezza degli edifici e degli ambienti interni, dalle regole domestiche che bisogna osservare in caso di terremoto, dai punti di emergenza che bisogna allestire e dalla conoscenza del Vulcano che bisogna impartire nelle scuole. Perché l’Etna non è solo quella spettacolare scenografia che abbraccia il nostro paesaggio ma è un insieme di microsistemi diversi che da vita anche ad una flora e fauna tipica, non a caso detta etnea. Anche la gente che vive ai piedi del vulcano”, continua il vulcanologo, “ha una tipicità che la rende unica e diventa genius loci. Difficile prevedere come si evolverà in futuro quest’ultima eruzione, ufficialmente cessata, anche se si avvertono ancora scosse sismiche di assestamento. Pare che il magma che è fuoriuscito sia insufficiente rispetto all’attività. Ma è proprio questa imprevedibilità a rendere questo vulcano ancora piu’ affascinante, anche per noi che stiamo ogni minuto ad osservarlo”.
La guida naturalistica che ha scelto l’Etna come ufficio
Nato ai piedi dell’Etna, cresciuto guardando il vulcano, Antonio Scaramelli, detto “Etna Wolf”, ha fatto della montagna siciliana il suo ufficio. Il suo amore per la natura e gli sport all’aria aperta sono stati subito un segno inequivocabile di quello che sarebbe stato il suo lavoro. Laurea in Scienze Naturali, Master in guida ambientale e naturalistica, esperienze in Amazzonia, da dieci anni Antonio è una delle guide ufficiali dell’Etna. È lui ad accompagnare viaggiatori e curiosi ad esplorare il vulcano, che Antonio ormai chiama casa e conosce bene, dice lui, “come le mie tasche”. “Crescere e vivere ai piedi dell’Etna, significa vivere in un ambiente vivo con un profilo naturalistico che cambia in continuazione ed un’energia unica”.
Antonio era sull’Etna durante l’eruzione dei giorni scorsi, che ha vissuto con la stessa emozione di sempre. “Ogni volta è come se fosse la prima volta. Imprevedibile, capricciosa, l’Etna non smette mai di sorprenderti”. Mentre alcuni turisti, spaventati dal terremoto e dallo sciame sismico, hanno lasciato Catania e provincia, Antonio vuole rassicurare che l’Etna è un gigante buono per la natura delle sue colate laviche, che, a differenza di quelle dei vulcani delle Hawaii, sono più lente, perchè ricche in silicio e quindi più viscose. Il vulcano richiede conoscenza e rispetto. E soprattutto prudenza. “Mai avventurarsi da soli senza guida, perché è un territorio complesso e mutevole. Pericoloso, se lo si affronta con improvvisazione e spavalderia”.
“Anche in presenza di eruzioni portiamo i nostri gruppi fino a 2500 metri di altezza e a qualche metro dalle colate più sicure, sempre in estrema sicurezza. Sconsiglio vivamente di avvicinarsi alla lava in presenza di neve per evitare un tipo di esplosione definita freatico-magmatica, come quella del 2016 che ha colpito la troupe della BBC in cima al vulcano. In quel caso, la lava ricopre la neve che si scioglie e si crea del vapore che porta all’esplosione”.
Dall’esperienza e conoscenza di Antonio, impariamo a scoprire la diversità dell’Etna e del parco che la circonda. Una diversità che si traduce in una meteorologia del vulcano con diversi microclimi, stagioni, vegetazione, animali.
“La timpa di Acireale, sul mare, dove l’Etna si è originariamente formata, è zona di agrumeti rigogliosi, mentre a 1000/1300 metri ci sono frutteti come pere, ciliegie, mele, a 1600 metri troviamo pini, querce, betulle, faggi. Umido e piovoso è il versante nord, con le pareti della Valle del Bove piene di faggeti mentre a sud est é più secco per poi diventare rigoglioso nella pineta di Ragabo, una delle più fitte e ricche. Da 1800 a 2500 metri inizia il deserto vulcanico con piante pionieri e resistenti alle ceneri vulcaniche. Un altro tipico paesaggio dell’Etna è l’orizzonte dei “pulvini spinosi, una specie vegetativa che sopravvive al ghiaccio senza fotosintesi, come l’astragalus sicula”.
Non un blocco monolitico a forma di cono, come si è soliti immaginare l’Etna, ma un mix di ambienti diversi che si trasformano in paesaggi e colori vari. Dal bianco dell’attività di degassazione in cima ai crateri, il respiro del vulcano, al nero della cenere lavica, al rosso della lava, il giallo dello zolfo, il verde della vegetazione rigigliosa. E poi la fauna: dal gatto selvatico dell’Etna, alle aquile, le vipere, il famoso cirneco dell’Etna, discendente dai cani dei Faraoni.
“È questa inaspettata varietà e complessità che colpisce chi visita per la prima volta l’Etna e rimane colpito dalla vitalità del vulcano, con i suoi colori, o suoi rumori, il suo paesaggio maestoso e immenso”, continua Antonio.
Non solo natura da tutelare, ammirare e preservare, l’Etna ha una dimensione spirituale unica che prescinde dalle singole religioni. “È quel sentirsi parte del tutto e allo stesso tempo sentirsi piccolo di fronte alla maestosità della natura”, dice Antonio. “A me l’Etna ha dato molte risposte esistenziali”.
Questa vocazione spirituale si traduce in professione di fede ed è strettamente connessa al gigante buono. Come la valenza che assume la figura dei santi legati al vulcano, spesso invocati dalle popolazioni etnee durante le eruzioni. Fu infatti il velo di Sant’Agata, nella devastante eruzione del 1669 che distrusse parte della città di Catania, che si dice fermò la colata lavica e salvò la città da possibili effetti ancora più catastrofici.
Mentre furono i tre santi, Alfio, Filadelfio e Cirino, che dopo essere stati implorati nella cittadina di Mascali, durante l’eruzione del 1928 , pare salvarono la cittadina dalla devastante colata. Ancora un santo, Sant’Ermidio, protettore di terremoti, la cui statua è malauguratamente crollata nella Chiesa di Pennisi proprio durante il terremoto dei giorni scorsi.
Per apprezzare e godere delle meraviglie dell’Etna, bisogna scegliere i percorsi fuori dalle classiche rotte turistiche. “I percorsi a sud sono quelli più comuni ma io consiglio il versante nord e ovest, fatto di sentieri selvaggi e paesaggi mozzafiato, dice Antonio. Molte le tappe imperdibili del Vulcano. A cominciare dai Monti De Fiore, i coni di scorie piroclastici, la grande Caldera della Valle del Bove, le grotte vulcaniche, la grotta del gelo, che è il ghiacciaio più grande del sud di Europa. Tutti percorsi che si possono fare scegliendo il trekking o anche in jeep. Sporgersi per ammirare l’attività magmatica dei crateri vulcanici è sicuramente un’esperienza unica a cui solo le guide autorizzate possono accedere”.
E ai turisti che hanno paura di visitare il vulcano Antonio dice: “Non abbiate paura dell’Etna anche durante le eruzioni se siete prudenti e rispettosi. È un gigante buono, che va conosciuto e va apprezzato con sicurezza, conoscenza, prudenza, umiltà. E curiosità. Il gigante buono ma imprevedibile, continua Antonio. Per me è come una grande mamma, che mi protegge, mi da lavoro, e che ogni tanto sbuffa”.