È una New York blindatissima quella che ospita l’inizio del processo al “signore della droga” Joaquín “El Chapo” Guzman, celebrato in un tribunale federale a Brooklyn, evento considerato dalla polizia come il più alto rischio per la sicurezza della Grande Mela da quando, nel 1993, due individui pianificarono e portarono avanti il primo attentato al World Trade Center. Guzman, in effetti, affronta ben 17 capi d’imputazione, che si riferiscono a circa un ventennio di dedita attività criminale. Le accuse riguardano crimini legati alla costruzione di un autentico impero della droga multimilionario, che includono anche omicidi, violenza, e intimidazioni fisiche. L’imputato si è dichiarato non colpevole.
Visto il personaggio in questione, non stupiscono le misure di sicurezza messe in campo: El Chapo, prima dell’estradizione dal Messico agli Stati Uniti, è riuscito a scappare da due prigioni di massima sicurezza. In uno dei due casi, l’uomo utilizzò un intricato tunnel costruito appositamente appena sopra la sua cella per consentirgli di scappare. I giorni del processo, il criminale viene dunque trasportato a Brooklyn (nei pressi dei quartieri di Brooklyn Heights e Dumbo), e poi riportato al Metropolitan Correctional Center di Manhattan, dove è detenuto in isolamento. Ogni volta che il trasferimento è in atto, il ponte di Brooklyn viene chiuso al traffico. El Chapo percorre il tragitto a bordo di un veicolo blindato scortato dalle forze di polizia, percorso strettamente sorvegliato da cecchini posizionati sui tetti nel raggio di chilometri ed elicotteri della polizia newyorkese. Come riporta il Wall Street Journal, dal lunedì al venerdì dovrebbe restare in un luogo segreto a Brooklyn per non creare eccessivi problemi al traffico.
Gli stessi accorgimenti vengono adottati per potenziali testimoni e per i giurati, la cui identità resta rigorosamente segreta. L’udienza è chiusa al pubblico in aula, fatta eccezione per alcuni membri della stampa. Il processo, che secondo i procuratori potrebbe durare fino a quattro mesi, segna un momento significativo tanto nella lotta americana alla droga quanto nelle complicate relazioni tra Stati Uniti e Messico. I leader dei cartelli messicani dispongono di enormi risorse per corrompere e terrorizzare le forze dell’ordine locali, e lo stesso Guzman è fuggito dall’incarcerazione nel 2001 e 2015 grazie a generose tangenti. Non è un caso che, per arrivare alla sua estradizione dopo il suo arresto in Messico, ci sia voluto un anno di appelli combattuti.
Secondo il New York Times, quello che emergerà da questo processo, che farà la storia, sarà soprattutto un racconto “epico”. Sono attese, infatti, le testimonianze di numerosi rivali, alleati e sottoposti, ma anche le interpretazioni di esperti di cartelli e agenti di polizia, che dovrebbero illustrare in che modo il povero operaio adolescente Guzman è diventato il re della droga più noto dei nostri tempi, iniziando con la coltivazione della marijuana nelle zone rurali di Sinaloa. Chissà se, allora, avrebbe mai immaginato di finire, un giorno, nella lista annuale dei miliardari compilata dalla rivista Forbes.
“Epico”, in effetti, è la parola giusta. Non è la prima volta che New York affronta processi importanti, come quelli relativi a casi di terrorismo, o allo scandalo di corruzione che ha riguardato la FIFA. Nessuno di questi, tuttavia, sembra in grado di eguagliare la portata di quello a El Chapo e l’attenzione mediatica da esso sollevata. Intorno a Guzman è nata una vera e propria iconografia pubblica, come spesso accade in questi casi a rischio glamorizzazione, ufficializzata quando la rivista Rollingstone, il 10 gennaio 2016, pubblicò una esclusiva videointervista al criminale (registrata in un luogo sconosciuto) a firma Sean Penn. Non manca neppure la componente più “gossippara” della storia: perché l’accesso al suo nascondiglio segreto fu rivelato da Kate del Castillo, attrice messicana di telenovelas che, secondo i tabloid di lingua spagnola, si era innamorata del signore della droga. Uno scandalo dirompente, anche perché Guzman era sposato con la regina di bellezza Emma Coronel Aispuro, madre delle sue figlie gemelle.
Insomma: questa storia ha tutto il potenziale per trasformarsi presto nella trama di un film. A produrre una serie Tv ci ha già pensato Netflix, in tre stagioni. Pare che la gran parte dei giurati l’abbia vista, e tenga dunque stampate nella memoria le scene più impressionanti, come le sparatorie in aeroporto che hanno portato alla morte il cardinale Posadas Ocampo, arcivescovo di Guadalajara. Circostanza che sembra aver preoccupato gli avvocati, che avrebbero chiesto alla giuria di mettere “da parte” quelle “ricostruzioni dannose”. L’effetto collaterale, questo, di avere un imputato che ha tutte le carte in regola per essere considerato il protagonista di un’autentica epopea.