
Una carriera leggendaria. Unica. Attore, cantante, produttore teatrale, manager discografico. Grinta, simpatia, energia da vendere. Una voce calda, profonda. La dizione è perfetta: tra poco capiremo perché. Triestino. Classe 1926. Di nobili origini austroungariche. E’ Ferruccio Merk Von Merkenstein, italianizzato in Ricordi durante il regime fascista. Il pubblico lo conosce con il suo nome d’arte: Teddy Reno. Oggi preferisce essere chiamato, semplicemente: Ferruccio.
Esordisce ricordando il secondo dopo-guerra.
“La mia famiglia è di origine triestina, quando la città apparteneva ancora all’impero Austro-Ungarico. Ho trascorso gli anni del secondo conflitto mondiale presso la azienda agricola che la mia famiglia aveva a Codigoro, in provincia di Ferrara. A quei tempi l’Italia era tappezzata dai manifesti del Maresciallo Albert Kesserling, comandante in capo delle forze tedesche del Mediterraneo. I suoi ordini erano chiari: chi fosse stato trovato ‘in ascoltazione delle radio anglo-americane’ era fucilato sul posto. Ma nella nostra azienda ero libero di ascoltare proprio quegli artisti americani vietati dal regime tedesco: Bing Crosby, Perry Como, le orchestre di Duke Ellington e Glen Miller. Ma un cantante mi impressionava più di tutti: Frank Sinatra”.
Ferruccio tu hai conosciuto Frank Sinatra. Cosa puoi dirci di lui?
“La sua voce era chiara, la pronuncia precisa. Anni dopo sarà lui ad insegnarmi l’inglese, che io non parlavo. Conobbi Sinatra quando arrivò in Italia, agli inizi degli anni Cinquanta. A quel tempo viveva un periodo di crisi artistica. In America era diventato popolarissimo anche per la canzone che aveva dedicato alla moglie, Nancy Barbato. Ma Sinatra divorziò per sposare una delle più belle donne che io abbia mai conosciuto: l’attrice Ava Gardner. Gli ammiratori di Frank non gli perdonarono questo tradimento e smisero immediatamente di comprare i suoi dischi. Per lavorare Sinatra accettò di esibirsi nei teatri italiani. Lo conobbi proprio in questo periodo. Nel 1948 avevo fondato una mia casa discografica: la CGD-Compagnia Generale del Disco. A Milano aveva sede in Galleria del Corso, il quartiere dove ebbero gli uffici i più celebri compositori italiani: Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni. Agli inizi degli anni Cinquanta grazie al mio direttore artistico, Lelio Luttazzi, la mia CGD in Italia era già market leader. Un giorno, nel 1952, telefona Ladislao Sugar che si occupava della distribuzione miei dischi. Insite perché incontri una persona. Cercai di rinviare. Poi accettai. Dopo mezz’ora la mia segretaria, Giancarla Mandelli, sorella di quella Mariuccia che in seguito diventerà la famosa stilista di moda Krizia, mi annuncia una visita. Rimango sbalordito. L’ospite mi previene. Si presenta: ‘Yes, I am Frank Sinatra’. Era il mio idolo. Conservo ancora la foto di quell’incontro: è quella che trovate in questa intervista. Con me Sinatra è sempre stato cortese e professionale. Lo accompagnavo nelle sue serate nei teatri italiani. Milano, Bologna, Firenze.

Ricordo due tappe. Roma: Teatro Sistina. Ero in terza fila. Posto centrale. Vedevo benissimo Sinatra. Entrò in scena a ritmo di swing. Sorrideva al pubblico e cantava la sua I’ve got you under my skin. La sala era in delirio. Una persona seduta davanti a me urlò: ‘A Frankie: piuttosto facce vede’ la Ava Gardner!’. Non riuscii a trattenermi. Afferrai il tizio per la giacca. Lo rimproverai: ‘Si vergogni. Esca subito da questo teatro;. Il pubblico applaudì il mio intervento. L’incivile uscì dalla sala sommerso dai fischi. Sinatra, dal palco, vide e comprese tutto. Apprezzò il mio gesto. Da allora siamo rimasti grandi amici. Alla fine di ogni serata andavamo a cena. Sinatra mi raccontava del suo lavoro. Eravamo a Genova, luogo di origine della madre di Frank. Dopo lo spettacolo Sinatra si confidò con me. Attribuiva il suo calo di popolarità non al suo divorzio e nuovo matrimonio: ma alla sua casa discografica. Si sentiva trascurato. Eravamo a cena con il suo legale. Cercai di confortarlo. Gli suggerii il mio esempio: creare una sua casa discografica. Frank guardò me. Poi il suo avvocato. Infine sorrise, pensieroso. La cosa sembrava finita lì. Mesi dopo mi telefonò il suo consulente. Sinatra aveva seguito il mio suggerimento e creato la sua Reprise Records. Per riconoscenza, Frank volle che la mia CGD si occupasse della distribuzione in Italia dei suoi dischi. Le vendite andarono benissimo”.
Rimaniamo negli anni Cinquanta, alla generazione di Totò, Peppino De Filippo, ed alla famosa “malafemmina”…
“Incontrai Totò per la prima volta nel 1935. Ero un bambino. Lui era già famoso. Aveva fatto molti film. Li avevo visti al cinema. Era bravissimo, capace di divertire il pubblico con un semplice sguardo. Lo ammiravo. Mio padre telefonò al direttore del Teatro Politeama di Trieste, suo amico. Lo pregò di farmi incontrare il grande Totò. Vidi lo spettacolo. Al termine gli fui presentato, come il figlio dell’Ingegner Merk-Ricordi. Totò mi accarezzò. Chiese cosa sapessi fare. Cantai Celeste Aida, una romanza classica dalla Aida di Giuseppe Verdi. Totò si commosse e mi abbracciò. Passano gli anni. Dopoguerra. Metà anni Cinquanta. Mi esibivo a Roma, in un locale di Via Veneto. Il direttore mi avverte che in sala era presente Totò. Era un mio ammiratore. Mi conosceva con il nome d’arte: Teddy Reno. Alla fine dello spettacolo avvicinai Totò. Iniziai a cantare Celeste Aida. Rimase come fulminato. Ricordò immediatamente di avermi incontrato da bambino. Si commosse. Mi invitò a partecipare ad un suo film, da girare a Napoli. Io non sapevo cantare in napoletano. Non ti preoccupare, mi rispose: ti insegnerò io. Per settimane, ogni sera Totò mi ricevette a casa sua a Roma, ai Parioli. Viveva con Franca Faldini. Mi insegnò a cantare in napoletano. A dare una diversa cadenza alle parole. Diventai bravissimo.

Partimmo insieme per Napoli. Il film era “Totò, Peppino e la malafemmina”. Le scene erano ambientate nelle vicinanze di un ristorante: La Bersagliera, locale storico, ancor oggi in attività. Contemporaneamente, nello stesso quartiere veniva girata un’altra pellicola. Era inevitabile che gli attori dei due film si incontrassero. Notai una donna molto giovane. Bellissima. Ma teneva tutti alla larga. Ne fui attratto. Non capivo perché. Le altre con me ci stavano: ma questa attrice mi ignorava. Una sera decido di invitarla a cena, al termine della giornata di riprese. Lei accetta. Qualcosa andò storto. Sul set del mio film si guastò una cinepresa. Ritardai di un’ora. Corsi al ristorante. Lei era già andata. Volevo vederla. Comunque. La cercai in albergo. Erano ormai le undici e mezza di sera. Pregai il portiere di notte di telefonarle. Lei mi rispose: “e cchaggià fa…? vieni su..”. Bussai alla sua camera. Aprì la porta. Mi vide e … mi diede un semplice bacio sulla guancia. La serata finì così. Penso spesso a questo incontro. A quei tempi nessuna mi resisteva. Ma io sono l’unico corteggiatore ad essere stato messo alla porta da Sofia Loren. Molti anni dopo, mio figlio che viveva a Ginevra, mi telefona. Voleva che lo raggiungessi urgentemente, per una questione importante. Con mia sorpresa ritrovai Sofia Loren. Ricordò la nostra mancata serata al Ristorante La Bersagliera di Napoli. A quei tempi, metà anni Cinquanta, lei girava “Pane, amore, e…” con Vittorio De Sica”.

Ferruccio, come ti trovavi a lavorare con Totò?
“Con me non si è mai mostrato una persona scostante. Anzi. Era simpaticissimo. Ricordo che il film “Totò, Peppino e la malafemmina” prevedeva una scena in cui baciavo Dorian Gray, la protagonista. La Cineriz, nostra casa di produzione, ci aveva mandato un suo funzionario, tale Rompini. Già due settimane prima della scena del bacio il Rompini era sul set a ricordare al regista ed a tutti gli attori che il bacio, mi raccomando: doveva essere castissimo. Altrimenti il Ministero della Cultura italiano avrebbe negato i contributi al nostro film. Ogni giorno il Rompini era sul set a ricordarcelo. Totò ci chiese di fargli uno scherzo. Il giorno della “famosa” scena, d’accordo con la protagonista, ci scambiammo un bacio appassionato. La ripresa fu interrotta da un urlo del Rompini: “Disgraziati: che avete fatto? E’ due settimane che ve lo ricordo! Adesso il ministero ci taglierà i finanziamenti! Questo film sarà un disastro!” Totò, che era d’accordo con noi, si avvicina e gli dice: “A’ Rompì: statte bbuono! T’abbiamo fatto no’ scherzo!” La cosa finì in una risata generale. Il film poi riscosse un successo clamoroso”.
Peppino De Filippo, l’ altro protagonista del film, com’era in privato?
“Peppino era uno che stava sulle sue. Durante le riprese non si prestava a fare da spalla a Totò. Anzi. Erano due primedonne. Gelosissimi della rispettiva bravura e popolarità. Confesso: non sono mai entrato in sintonia con Peppino De Filippo. Probabilmente il suo carattere subiva l’influenza del fratello: il grande Eduardo De Filippo che, riconosciamolo, è stato il primo vero grande comico napoletano”.

Quali delle esperienze che hai avuto con i tuoi ammiratori ti ha colpito in modo particolare?
“Fra le tante, ne ricordo tre. La prima mi porta agli anni Cinquanta. A quei tempi trascorrevo le estati sul Lago di Como. A Cadenabbia notai una casa circondata dai carabinieri. Soggiornava un ospite illustre. Trascorreva un mese di totale riposo. Accompagnato dalla figlia, dal capo del suo staff politico, e da una governante. Era Konrad Adenauer, primo cancelliere della Germania del dopoguerra. A quei tempi gli italiani lo detestavano. Durante una conferenza stampa Adenauer aveva bonariamente ironizzato sui soldati italiani, affermando che nel secondo conflitto mondiale erano conosciuti come quelli che facevano un passo avanti e due indietro. La stampa mondiale gridò allo scandalo. Mentre conversavo con i carabinieri, notai la governante di Adenauer. Le fui presentato: ero il famoso Teddy Reno. La pregai di farmi concedere una intervista da Adenauer. Ci riuscii. Arrivai con i tecnici della RAI di Milano. Il servizio fu trasmesso nel corso di un mio programma televisivo. Adenauer chiarì il suo equivoco. Anzi, cantò con me O’ sole mio. Il giorno seguente tutti i giornali titolarono che il Cancelliere stimava l’Italia ed aveva cantato in televisione insieme a Teddy Reno. Questo mise fine alla crisi politica italo-tedesca”.
C’è un altro episodio che Teddy Reno ricorda con commozione.
“Fine anni Cinquanta. Mi esibivo a New York, al Blue Angel: sulla 55th Strada, tra la Lexington e Third Avenue. Era uno dei locali più alla moda della città. I vecchi newyorkesi sicuramente ancora lo ricordano. Ogni sera, terminato lo spettacolo mi incontravo con il corrispondente RAI, un giornalista origini siciliane: Ruggero Orlando. Trascorrevamo qualche ora insieme, bevendo un drink. Una sera mi presenta una persona, sui quarant’anni. Mi colpì la sua eleganza e cordialità. Passammo la serata insieme. Da buoni amici. A chiacchierare. Tutti e tre. Senza pensieri. A un certo punto questa persona si scusa: deve tornare a casa. Ci salutiamo con la promessa di rivederci. Chiedo ad Orlando chi fosse. Ruggero mi sorride: come, non lo hai riconosciuto? Hai appena incontrato John Fitzgerald Kennedy, democratico. E’ in corsa per la presidenza degli Stati Uniti contro il candidato repubblicano Richard Nixon. Anni dopo, novembre 1963: ero a Palermo per uno spettacolo. Tutto esaurito. Rita Pavone, che in seguito diventerà mia moglie, il giorno prima del debutto accende la radio. Ascolta il notiziario RAI della sera. Si precipita in camerino. Mi riferisce una notizia che stava facendo il giro del mondo. Avevano appena assassinato Kennedy. Ero sconvolto. Ricordai immediatamente la serata a New York insieme a Ruggero Orlando. Non me la sentivo di cantare. Informai gli organizzatori della spettacolo. Pregarono Rita di farmi cambiare idea. Sospendere la mia esibizione sarebbe stata la loro rovina. Per mesi erano stati affissi manifesti in tutta la Sicilia. La sala era piena. Il pubblico esigeva lo spettacolo di Teddy Reno. Mi esibii. Fu un successo. Cantai. Ma con la morte nel cuore: the show must go on.

L’ultimo episodio è più recente. Qualche anno fa. Vigilia di Natale. Squilla il telefono di casa. Era un nostro ammiratore. Voleva farci i complimenti. Parlava un italiano perfetto, ma con forte accento spagnolo. Mia moglie, Rita Pavone, si incuriosì. La voce rispose che lavorava in Vaticano, tutto il giorno, che lo chiamavano Papa Francesco. Eravamo certi fosse uno scherzo. Ma la voce ricordò di avere assistito in Argentina ad uno spettacolo di Rita Pavone: il 26 febbraio 1964, al Luna Park di Buenos Aires. Rita si convinse e ne fu commossa. In seguito il Papa ci invitò in Vaticano, il 14 febbraio 2014: una emozione incredibile. Ho dedicato a Papa Francesco una composizione che gli cantai con la mia orchestra in Piazza San Pietro, a Roma, davanti a ventimila persone”.
E’ vero che Alberto Sordi è stato giudice di gara alle tue manifestazioni?

“Sì: era giurato al Festival degli sconosciuti che organizzai ad Ariccia, in provincia di Roma, quando vinse Rita Pavone. Il comune mi aveva appena nominato assessore alla cultura e allo spettacolo. Organizzai il Festival nel 1962, partendo da zero. Facevamo gareggiare i cantanti a Palazzo Chigi, ad Ariccia. Ricevemmo moltissimi dischi dai concorrenti. Mi incuriosì una voce particolare, diversa dalle altre. Capii immediatamente il talento di questa sconosciuta. Decisi a tutti i costi di invitarla. Torinese, a sei anni già si esibiva nei locali, accompagnata dai genitori. La invitammo. Rispose la madre. Era commossa di ricevere una telefonata dal famoso Teddy Reno. Ma rifiutò. Piangendo, mi confessò di non poter pagare il viaggio alla figlia. Decisi subito: pagai tutto di tasca mia. Nella serata finale, presentai questa ragazza a cinquemila spettatori. Si esibiva accompagnata dalla orchestra del maestro Bruno Canfora, famosissimo direttore dei varietà televisivi RAI. Questa cantante entrò in scena senza alcuna esitazione. Anzi: diede istruzioni al maestro Canfora. Alberto Sordi fu immediatamente conquistato dalla sua professionalità: “anvedi sta’ regazzina: da’ istruzioni persino ar maestro Canfora!”. La sua canzone vinse. Annunciai il nome di questa debuttante, ormai non più sconosciuta: Rita Pavone. L’applauso degli spettatori fu travolgente. Diventai il produttore delle sue prime due canzoni: La partita di pallone e Come te non c’è nessuno. Da allora l’affetto del pubblico per Rita non si è mai più fermato”.
Da cinquant’anni Rita Pavone è la moglie di Teddy Reno. Ancora oggi, condividono, vita, successi, affetti, ammiratori, ricordi, progetti.