Non avrei mai pensato di scriverle, signor ministro dell’Interno Salvini, ma quando le scelte di comunicazione di un leader politico si intrecciano con la mia vicenda personale allora scrivere è l’unica arma che ho. Si prenda un paio di minuti: le voglio raccontare una storia.
Mi chiamo Lara, ho 34 anni e da due anni e mezzo vivo e lavoro ad Amsterdam. In Italia ero disoccupata e un lavoro trovato su Linkedin ha permesso di coniugare la mia passione per l’estero con la voglia di futuro. Nella mia permanenza olandese ho fatto una carriera che in Italia forse sarei riuscita a fare in 20 anni. Nessuno mi ha mai giudicata per la mia provenienza, la mia esteriorità, i miei gusti sessuali. Sono sempre stata pesata in base al mio operato e sono stata apprezzata in azienda per il mio credere negli onesti e non nei furbi, per imparare in fretta a distinguerli e per favorire i secondi, bloccando i primi. Che secondo me il mondo è dei bravi, signor Ministro, dei volenterosi e non dei manipolatori.
Non rientro nei dati dell’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, dove il 1 gennaio 2017 gli iscritti erano 4.9 milioni, cioè l’8,2% dei 60,5 milioni di cittadini italiani. Non faccio parte neppure dei cittadini italiani iscritti all’Aire residenti ad Amsterdam. Alla data del 26 luglio di quest’anno erano 8390, 1584 nati prima del 2000 e 1398 nati tra il 1988 e il 2000.
Non ne faccio parte perché io all’Aire Ministro non mi sono mai iscritta.
Mi faceva troppo male staccarmi dall’Italia anche da un punto di vista burocratico, mi faceva male mettere nero su bianco che appartengo all’Italia ma l’ho persa.
Quando i miei colleghi expat di scelta mi sottolineavano quanto fosse bello vivere fuori, ribattevo sempre punto su punto.
‘Ma qui in Olanda possiamo avere un lavoro, un mutuo e comprarci una casa in poco tempo’, dicevano.
‘Ma piove sempre, non esiste l’estate, senza sole frutta e verdura non sanno di niente e i tuoi genitori li vedi su Skype’, rispondevo.
Poi un giorno tutto cambia.
Ricevo un’offerta di lavoro dalla mia Italia, quella che ho sempre amato. Mi dicono che posso rientrare, sede dell’ufficio Milano. Non ci voglio credere e allo stesso tempo ci voglio credere. Che esista un’Italia che si riporti a casa i suoi ragazzi, che sia tempo per una rivoluzione di innovazione e cultura, che si investa sui nuovi lavori invece che sulle rendite, sulle pensioni, sui privilegi. Che non sia più il regno dei poltroni che non mollano la poltrona.
Sto per diventare una ExExpat, una rientrata, una che mette le competenze imparate in giro al servizio della nostra economia.
Ma non dimentico, Ministro, non dimentico come si sta ad essere immigrati, l’ultima ruota del carro, pagati meno degli olandesi, con affitti allucinanti solo perché non abbiamo le conoscenze linguistiche e giuridiche per difenderci. Essere i neri di qualcun altro è un’esperienza che ti segna, ti mette al tuo posto e ti insegna a fare silenzio. Soprattutto di fronte alle disgrazie altrui. E qui arrivo a lei Ministro, a noi.
Lei sta distruggendo il sogno di tornare di una generazione. Ci sta sporcando di dubbi il momento del ritorno che invece dovrebbe essere dolce.
‘Torni in Italia proprio ora? Ma non hai sentito l’aria di odio, omofobia, intolleranza e razzismo che tira? Vuoi veramente vivere in un posto così?’
La mia risposta, Ministro, è no. La mia amata Italia ora, per colpa sua e di un’intelligente propaganda populista costruita ad hoc, mi fa schifo.
Mentre mi trovo tra le vie di Milano in cerca di casa il mio sguardo si perde tra i volti della gente bianca. Bianco il negoziante, bianco il barista, bianco il banchiere, ma nero lo spazzino. Allora ripenso alle persone che ad Amsterdam mi hanno insegnato di più: indiano il mio capo, cinesi, kenyani i miei colleghi. La sua lotta al migrante, al rom, al gay, al diverso ci livellerà verso il basso senza la ricchezza dell’integrazione. Quanto dovremo aspettare prima di vedere un giornalista nero leggere il telegiornale? Un medico pakistano? Un avvocato cinese?
La conseguenza è che anche gli italiani di seconda generazione, senza modelli e punti di riferimento in una società che li esclude, stanno scappando e la sua fama arriva anche nel nord Europa. ‘Ma è vero che se sei nero adesso è meglio non andare in Italia?’ mi chiedono i miei amici internazionali. E io mento per salvaguardare la reputazione di quella che ancora considero casa mia.
Ci pensi a tutte queste cose, Ministro, quando scriverà su Facebook il suo prossimo post deridendo migranti e diversi. Ci pensi alla nostra generazione che ha tutto il diritto di sentirsi a casa in uno Stato che diventi internazionale e rispettoso di tutti. Non si tratta di buonismo ma di buonsenso: non possiamo considerare il nostro porto sicuro un Paese che per alcuni non è nemmeno più un porto. Se proprio vuole continuare a dire ‘Prima gli italiani’ impari almeno ad aiutarli a casa loro.