Si raccontano tane leggende attorno al santuario della Madonna di Polsi, appollaiato nei monti della Calabria, poco lontano da un comune, San Luca, che spesso balza agli onori (si fa per dire) della cronaca. Cronaca di ‘ndrangheta, la mafia calabrese. Molte leggende, e dunque qualche fondamento di verità, come sempre accade. Si racconta, per esempio che in tempi remoti vi abbiano trovato rifugio dei monaci che sfuggivano in questo modo dalle incursioni dei pirati saraceni. Si racconta anche che intorno all’undicesimo secolo un pastore di nome Italiano, originario di Santa Cristina d’Aspromonte, alla ricerca di un toro smarrito, l’abbia infine trovato mentre dissotterrava una croce di ferro; neppure il tempo di stupirsi per l’inconsueta occupazione del quadrupede, e compare nientemeno che la Beata Vergine col Bambino. “Voglio”, fa sapere la Vergine, “che si erga una chiesa per diffondere le mie grazie sopra tutti i devoti che qui verranno a visitarmi”.
Ecco dunque il santuario, che conserva la statua della Madonna della Montagna di Polsi: una scultura in tufo molto ben conservata, assieme ad altri cimeli; tra gli altri, la bara del principino di Roccella. Ma non è per questo che il santuario è conosciuto, né tanto meno per questo se ne è scritto e parlato. Il fatto è che Polsi e il suo santuario sono diventati, a torto o ragione che sia, uno dei simboli del potere della ‘ndrangheta. Ogni anno, in occasione della festa della Madonna, i boss non solo della regione, ma anche quelli che si sono stabiliti in Canada, in Australia, in Germania e in tantissimi altri paesi, si “ritrovano”; e non certo per ragioni di fede o misticismo. Veri e propri meeting. Si dice, durante i quali si ragiona e discute di “affari” e ci si spartisce traffici di ogni tipo, purché lucrosi e illegali.
Molti “si dice” a mezzo sussurro, e poche ammissioni ufficiali; ma sufficienti se è vero che otto anni fa, dopo anni di silenzi e sostanziale acquiescenza, il vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini, in occasione della festa solenne della Madonna di Polsi, ha sentito l’esigenza di condannare pubblicamente le attività della ‘ndrangheta: “…che nulla hanno da condividere con la fede cristiana…in questo Santuario si è consumata l’espressione più terribile della profanazione del sacro ed è stato fatto l’insulto più violento alla nostra fede e alla tradizione religiosa dei nostri padri”.

Un anno fa, un’ulteriore svolta: sotto forma di cambio al vertice al santuario. Per oltre vent’anni, rettore della chiesa è stato don Pino Strangio: indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il vescovo di Locri Francesco Oliva, lo ha così ufficialmente dispensato dall’incarico. Per i magistrati di Reggio Calabria, don Strangio infatti è uno degli elementi più importanti di una cosca che comprende politici, oltre che malavitosi, “in grado di condizionare la vita politica, economica e democratica di Reggio Calabria e non solo, favorendo l’ascesa e gli affari dell’élite della ‘ndrangheta”.
Secondo la documentazione raccolta dagli investigatori, don Strangio avrebbe trescato di candidature da costruire, finanziamenti pubblici da drenare, misteriose riunioni da organizzare, ma soprattutto da quelle che in ambienti di procura definiscono “trappole” nei confronti di avversari.
Nella lettera che accompagna il provvedimento di revoca, il vescovo esorta don Tonino Saraco, il successore del controverso canonico, a “conoscere, amare e servire Polsi…cuore dell’Aspromonte e della Calabria, grembo di una Madre che nel corso dei secoli ha accolto e rigenerato tanti suoi figli, ma che ha anche sofferto per le profanazioni subite a causa di fatti e misfatti, di complicità e sangue versato da gente senza scrupoli, in nome spesso di una religiosità deviata e non vera”. Insomma, sembra proprio che i clan abbiano perso il loro “santuario”.
E ora un’altra notizia da accogliere con soddisfazione: l’enorme, lussuosa villa del boss Antonio Pelle detto, Ntoni Gambazza, affidata alla diocesi, ospiterà un centro per le famiglie con disabili. Si tratta di un complesso di 350 metri quadri, pianterreno con varie stanze, un secondo piano con ampio salone, il soffitto in travi di legno e una terrazza che gira tutt’attorno, oltre al campo da tennis in cemento e cinquemila metri quadri di terreno agricolo (soprattutto olivi). Tutto in ottime condizioni. Confiscato, e che nessuno si azzardava a fare suo per comprensibili timori.
Il commissario Salvatore Gullì, che da tre anni guida il Comune di San Luca dove non si riesce a eleggere un sindaco, ha proposto a monsignor Oliva di acquisire la proprietà; e monsignore non si è lasciato sfuggire l’occasione. Già in precedenza la diocesi aveva accettato cinque beni confiscati nella zona. La villa da settembre ospiterà il Progetto “Amoris Laetitia” per l’integrazione familiare e sociale della disabilità. Ogni tanto le buone notizie capitano.