“Avanti Mafia! Perché le mafie hanno vinto”, il libro di Saverio Lodato, con la prefazione di Nino Di Matteo, è stato presentato a Palermo in anteprima nazionale nell’atrio della Biblioteca Comunale di Casa Professa. Atrio dedicato al giudice Paolo Borsellino dove tenne l’ultimo discorso pubblico nel giugno del ‘92. Saverio Lodato, giornalista de “L’Ora” e storico corrispondente a Palermo per “l’Unità”, scrittore, editorialista di Antimafia duemila, è tra le firme più autorevoli del giornalismo italiano in materia di mafia e di antimafia. Una “penna libera”, così definisce Lodato il direttore di Antimafia Duemila, Giorgio Bongiovanni, che raccolse le parole di Giovanni Falcone dopo il fallito attentato all’Addaura. Il libro, in uscita a giugno, è un susseguirsi di cronache e di analisi attente, articoli che il giornalista pubblica dal 2012 al 2018: anni di fatti, inchieste, stravolgimenti politici, promesse, rivelazioni ed evoluzioni. Anni di mafia e di antimafia. Alla presentazione, nel parterre affollato di Casa Professa, sono intervenuti il Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia Nino Di Matteo, l’attore-regista Pif, il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando e il Direttore di Antimafia Duemila, Giorgio Bongiovanni accompagnati dalle letture che qui riportiamo, di alcuni stralci del libro di Lodato, degli attori Lunetta Savino e Carmelo Galati.
Un’occasione per riflettere anche sulla sentenza storica del processo Trattativa Stato–Mafia: il 20 aprile di quest’anno sono stati condannati in primo grado dalla Corte di Assise, boss, politici e carabinieri. Una sentenza scomoda così come sono stati scomodi i giudici siciliani caduti nelle stragi.

La memoria corre veloce a quelle che furono le difficoltà di Giovanni Falcone nel corso della sua vita di magistrato per la lotta alla mafia, erano all’ordine del giorno tant’è che Nino Di Matteo nel suo intervento ha così commentato “Ho avuto l’onere e l’onore di occuparmi di molti delitti eccellenti: Pio La Torre, Chinnici, Saetta, Falcone e Borsellino. E, indirettamente, Cassarà, Montana, Mattarella, Reina”. Il Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia Nino Di Matteo, ha spiegato come ci sia ‘una costante’ nelle vite di chi è stato ucciso da Cosa nostra: “Quegli uomini dello Stato costituivano rispettivamente un’anomalia rispetto ad una situazione in cui l’altra parte dello Stato tollerava il fenomeno mafioso. E’ utile ed esaltante ricordare Falcone come vero eroe civile, però dobbiamo ricordare che la sua è stata una storia di sconfitte, di isolamenti, di delegittimazioni. Ogni volta che Falcone faceva domanda al Csm come dirigente dell’ufficio istruzione o procuratore aggiunto, veniva bocciato. Quando si candidò al Csm non venne eletto. Sono gli stessi che oggi, per contrapporre falsamente l’esempio dei morti all’azione dei vivi, dicono che Falcone quella cosa non l’avrebbe mai fatta: per questo sono stati organizzati convegni al Palazzo di Giustizia, come ad esempio per dire ‘che non avrebbe mai indagato un politico per un reato inesistente’. Eppure tutti fanno finta di onorarlo”.
Di Matteo, ha poi ringraziato i colleghi con i quali ha rappresentato la pubblica accusa nel processo trattativa Stato-mafia, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, e l’ex pm Antonio Ingroia, per i loro “grandi sacrifici”.
Il magistrato ha continuato: “Sono felice di essere qui, a questo tavolo, nel confrontarmi con voi, nella mia città e scusate se inizio con un riferimento personale, ma uno dei motivi principali è legato al ricordo di quando ero un giovane studente universitario e quando poi, dopo essermi laureato mi sono accostato all’avventura del concorso in magistratura, leggevo, all’epoca, il libro di Lodato “10 anni di mafia”. Come tanti altri giovani siciliani, palermitani in particolare, sono cresciuto in quegli anni così tragici, violenti. Gli anni ‘80 a Palermo con dei punti di riferimento come possibilità di riscatto per la nostra città, del nostro popolo: il punto di riferimento del Pool Antimafia di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e di altri colleghi e di quel giornalismo di inchiesta che all’epoca, alcuni giornalisti avevano il coraggio di portare avanti con grande lucidità, grande passione civile, tra questi Saverio Lodato. Sono stato veramente non solo felice ma anche onorato di poter scrivere la prefazione a questa raccolta di interventi che ha fatto su Antimafia duemila dal 2012 all’ultimo che è stato scritto credo in extremis quando c’è stata la sentenza di primo grado del processo trattativa. Ho letto tutti i libri di Saverio Lodato, molto belli, molto interessanti: le interviste a Giovanni Falcone, al pentito di mafia Giovanni Brusca, all’allora Procuratore di Palermo Piero Grasso”.
Ricordando il coraggio e l’importanza del lavoro dei giornalisti, Di Matteo ha concluso sottolineando come questa consapevolezza che sembra mancare a pezzi delle istituzioni, emerge chiaramente invece negli scritti dello scrittore-giornalista esperto di mafia: “Lodato ha seguito il processo, ne ha scritto con costanza, è tra i pochi che ha sempre sostenuto che questo processo, comunque fosse andato, era un processo che doveva essere fatto prima ancora della sentenza. Saverio ha rotto un silenzio pressoché generalizzato, un silenzio assordante di tanto intanto rotto solo da alcune giornalisti: penso non so a Giuseppe Lo Bianco, a Sandra Rizzo del Fatto Quotidiano, a Salvo Palazzolo ma pochi giornalisti, che sono sicuro anche con grande difficoltà, hanno tentato di seguire quello che stava accadendo, di ragionare e di fare ragionare. Questa raccolta di articoli dal 2012 fino alla sentenza del 20 aprile 2018 contiene analisi lucide, mai banali, mai conformiste che permettono, partendo dal ragionamento su questioni di mafia e antimafia, di riflettere sulla situazione della Democrazia del nostro Paese, della mancata applicazione della Costituzione in molti punti nella nostro Paese. Nei suoi articoli Saverio ha dimostrato coraggio e schiena dritta ed è importante che capiamo che per un futuro migliore dobbiamo dimostrare anche noi, ora, schiena dritta e coraggio”.
Lunetta Savino legge “Chi sono loro? E chi siamo noi?”

“Chi sono Loro? E chi siamo noi? A noi piacciono i magistrati antimafia quando sono vivi. Quando vengono messi in condizione di svolgere al meglio il loro lavoro. Quando vengono incoraggiati, incitati, sostenuti ad andare avanti. Quando le massime autorità del Paese li indicano ai cittadini come esempio di virtù civica e risorsa alla quale attingere per la costruzione di un’Italia migliore. Per loro sono storie distinte e separate quella del Latitante e quella del Pubblico ministero. Per noi, tutto il contrario: sono facce della stessa medaglia, una medaglia chiamata Italia. Un’Italia dove continuano a muoversi a loro agio quelle menti raffinatissime delle quali Giovanni Falcone, prima di finire assassinato, fece in tempo a intuire la inquietante presenza. Per loro, quelle menti raffinatissime non sono mai esistite. Per noi, furono proprio quelle menti raffinatissime che con le stragi di Capaci, via D’Amelio, Roma, Firenze e Milano, vollero troncare per sempre la speranza di milioni di italiani che la mafia potesse essere sconfitta per sempre. È giunto il momento che le massime cariche dello Stato battano un colpo. E dicano, senza reticenze, senza giri di parole, di fronte a milioni di italiani, se stanno con Loro. O se stanno con noi“.
Sulla sentenza storica del processo trattativa, Di Matteo ha aggiunto: “Tre Governi – Amato, Ciampi e Berlusconi – furono ricattati ma nessuno dal fronte istituzionale ci ha mai aiutato ad arrivare a questa conclusione. Siamo arrivati a questa conclusione da indagini che partivano dalle dichiarazioni di pentiti di mafia o del figlio del sindaco mafioso Vito Ciancimino. Credo che non si possa discutere che la sentenza ha una valenza storica perché per la prima volta è stato accertato che mentre saltavano in aria colleghi e uomini della scorta, mentre il Paese era gettato all’aria, qualche altro pezzo dello Stato trattava con i capi di Cosa nostra e andava a chiedere cosa volessero per far cessare l’attacco frontale. E’ amaro constatare che nessun opinionista a livello nazionale abbia evidenziato la gravità di questa situazione, così come alla commemorazione del 23 maggio, non ho sentito una parola su questa sentenza, la vogliono far passare liscia come acqua sul marmo. E’ tempo che il Paese faccia i conti con le collusioni ad alto livello tra mafia e politica, non possiamo considerare archiviata la stagione delle stragi, bisogna continuare la ricerca partendo anche da quello che è già stato consacrato nelle sentenze e nelle inchieste: la probabilità concreta che assieme a uomini di Cosa nostra nel ’92 e ’93, così come tante altre volte a partire dall’omicidio di Piersanti Mattarella, hanno agito anche uomini di altri ambienti, diversi a quelli riconducibili a Cosa nostra”.

“Leggendo i fatti raccolti nel libro – ha continuato Di Matteo – si assiste alla lotta tra i pochi che ancora vorrebbero agire nella ricerca del completamento della verità sulle stragi e chi invece vuole ridurre la visione della mafia come un problema di sola violenza di brutti e cattivi e vede sempre come pericolo chi tra i magistrati e le forze dell’ordine vuole indagare su rapporti alti e altri. Campagne mediatiche continue e sotterranee che hanno sfruttato le défaillance e la vergogna dell’antimafia dei salotti, delle Confindustrie e delle relazioni alte costruite attorno alla vacua parola mafia, per cercare di distruggere l’antimafia civile, quella che parte dal basso che si alimenta con la passione civile dei cittadini, hanno voluto far credere che è tutto un calderone indistinguibile dal bene e dal male. Oggi il sistema mafioso è il primo grande fattore di compressione e di inquinamento della nostra Democrazia. La lotta al sistema criminale mafioso, non solo alla mafia militare e violenta, è una lotta per la libertà, per la Costituzione. Il silenzio ascoltato nella recente campagna elettorale mi preoccupa, evidentemente un ampia fetta della classe dirigente non ha la consapevolezza della gravità dei sistemi criminali integrati mafiosi”.
Carmelo Galati

“Riina è morto, neanche questo va dimenticato, senza vedere realizzato il suo ultimo grande sogno, quello che avrebbe dovuto essere il suo Capodopera criminale: l’uccisione del giudice Antonino Di Matteo che indaga sulla Trattativa Stato-Mafia; in quel processo di Palermo che vede alla sbarra, accanto a rispettabilissimi uomini politici, rappresentanti delle istituzioni, proprio lui: Totò Riina”. E’ lo stralcio del testo scelto dall’attore Carmelo Galati, che ha letto uno degli articoli di Saverio Lodato del libro “Avanti mafia!”facendo riferimento al dibattimento concluso con le condanne in primo grado per ex rappresentanti delle istituzioni insieme ai boss mafiosi. “Qualcuno lo fece ragionare – ha proseguito Galati – spiegandogli che faceva bene a restarsene zitto. E si rimangiò tutto. E, affinché non restassero dubbi, lui disse alla moglie, che era andata in carcere a trovarlo: ‘io non mi pentirò mai’”. “De profundis, dunque, – ha continuato l’attore – per un mafioso che, in mezzo secolo di vita criminale, diede del tu allo Stato e al Potere. De profundis, per l’uomo che oggi è morto facendo la cosa che oltre ad uccidere, gli riusciva meglio: tenere la bocca cucita. De profundis, per un uomo che non ebbe pietà neanche per Dio. Cosa gli sopravvive? -ha concluso Galati, rievocando le domande di Lodato – la mafia. Quella Mafia che oggi non muore con lui. E che di lui non vorrà più sentir parlare”.
“Io credo che vi sia una straordinaria popolare che in questi anni c’è stato un cambio culturale nei quartieri e nelle borgate – ha dichiarato Leoluca Orlando- . E da questo dobbiamo ripartire anche se ancora, quando si leggono certe intercettazioni alla Noce, ci si chiede come è possibile che vi siano ancora certi selvaggi? Io credo che Palermo sia la città europea che culturalmente è cambiata di più. In questa città chi ha di meno ha bisogno di più libertà di chi ha di più. Ed oggi la mafia, che non ha più lo scudo dei Riina e dei Provenzano vede persone vestite in giacca e cravatta. Oggi siamo nel luogo in cui Paolo Borsellino tenne l’ultimo discorso il 25 giugno 1992. Tutti avevamo, in quell’atrio colmo, emozioni e sentimenti di presagio per una strage imminente. Oggi Saverio scrive un articolo centrale esprimendo il concetto di Stato-mafia, mafia-Stato, parlando di convergenze parallele tra politica e la mafia, e dove si racconta quella favoletta della mafia contrapposta allo Stato e viceversa. Tuttavia voglio cogliere un elemento di futuro, senza rassegnazione in quanto avvenuto in questi anni. Penso alla beatificazione di Padre Pino Puglisi. Un atto di rottura che dimostra come la Chiesa sia anche arrivata prima dello Stato. Perché la sentenza del processo trattativa è dello scorso 20 aprile ed è arrivata più tardi”.

E sulla sentenza del processo Trattativa-Stato-mafia, il commento di Saverio Lodato: “La sentenza della Corte d’Assise, sulla trattativa Stato-mafia, ha messo nero su bianco quello che ormai sapevano e sappiamo tutti e cioè le complicità enormi dello Stato nella storia della mafia e viceversa. Forse che oggi con semplice sentenza crediamo di aver capito tutto? Ci mancherebbe, ma in un Paese in cui per cinquant’anni tutte le grandi stragi si sono concluse con decine e centinaia di processi che si concludevano con un nulla di fatto, finalmente abbiamo una sentenza che dice che sì, dietro la mafia c’era lo Stato mentre nel frattempo c’era una parte pulita dello Stato che cadeva, e quella che rimaneva in piedi era la parte sporca che noi ci siamo tirati avanti fino ad oggi. Sappiamo bene che questa è una sentenza di primo grado. Ma noi oggi questa sentenza di primo grado ce la godiamo perché alla fine non eravamo poi così visionari. E non erano visionari Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Nino Di Matteo che si sono dovuti sentire dal fior fiore di studiosi e opinionisti che questo processo era una boiata pazzesca. Certo della sentenza se ne è parlato solo due giorni ma in questi due giorni nessuno ha più adoperato le parole ‘boiata pazzesca’: se le sono dovute rimangiare”.

Pif, attore e regista, nel suo intervento a Casa professa, ha spiegato perché festeggia il 23 maggio e perché bisogna studiare: “Ogni volta il 23 maggio a Palermo capisco qualcosa. E quest’anno credo di aver capito perché ‘fare quel che faccio. Ogni volta dico che il 23 maggio vado a festeggiare, sembra una bestemmia ed una volta l’ho anche detto a Maria Falcone ed era d’accordo con me. Ogni volta capisco. E lo scorso 23 maggio ho scoperto la risposta alla domanda ‘a me chi minchia me lo fa fare’? Anche voi magari ve lo chiedete! Chi ve lo fa fare ad essere oggi qui e non a Mondello come il resto della popolazione palermitana. Quando un artista sta zitto nessuno lo rimprovera e quando dice la sua viene criticato. Quindi se l’artista sta zitto è meglio e si campa cent’anni. Ma io faccio quel che faccio perché ogni 23 maggio alle 17.58 voglio avere la coscienza pulita. Per arrivare alle 17.58 del 23 maggio con la coscienza pulita bisogna studiare da persone che hanno preso posizione. Peppino Impastato è stato un faro per me, oggi lo è anche Saverio Lodato”. Ringraziando i relatori, Pif ha poi lanciato una provocazione “Per risolvere il problema della mafia sostituiamo il ‘Gattopardo’ con ‘Quarant’anni di mafia’ di Saverio Lodato. C’è quella frase del ‘Gattopardo’ che ci ha ucciso:‘tutto deve cambiare perché tutto resti come prima’. Cioè: che ci possiamo fare, è la natura. Ma se capiamo da dove siamo partiti e dove stiamo andando passiamo da ‘cosa nostra’ a ‘colpa nostra’: ci facciamo un bell’esame di coscienza e ci chiediamo quanta colpa abbiamo se la mafia c’è. Allarghiamo il recinto antimafia e stabiliamo che ‘antimafia’ lo siamo tutti, che saremo noi a mandare avanti la lotta antimafia. In questa città abbiamo riconosciuto gli eroi quando venivano uccisi, ma non lo potevamo scoprire quando erano vivi? Ci sono persone che sono ancora vive a cui poter fare mille domande”. Pif ha poi concluso dicendo “Cinque secondi prima di morire voglio poter dire che ho fatto quello che potevo. Ma per farlo, bisogna studiare”.
Saverio Lodato
“Avanti Mafia! Perché le mafie hanno vinto”, di Saverio Lodato – Prefazione di Nino Di Matteo – Associazione Culturale Falcone e Borsellino .Tra le sue opere più note: I miei giorni a Palermo. Storie di mafia e di giustizia raccontate a Saverio Lodato (con Antonino Caponnetto, 1992, Garzanti), Potenti. Sicilia, anni Novanta (1992, Garzanti), Vademecum per l’aspirante detenuto (1993, Garzanti), Dall’altare contro la mafia (1994, Rizzoli), C’era una volta la lotta alla mafia (con Attilio Bolzoni, 1998, Garzanti), Ho ucciso Giovanni Falcone (con Giovanni Brusca, 1999, Mondadori), La mafia ha vinto (con Tommaso Buscetta, 1999, Mondadori), La Linea della Palma. Saverio Lodato fa raccontare Andrea Camilleri (con Andrea Camilleri, 2002, Rizzoli), Intoccabili (con Marco Travaglio, 2005, Rizzoli), Il ritorno del principe (con Roberto Scarpinato, 2008, Chiarelettere; 2012, Tea) Un inverno italiano (con Andrea Camilleri, 2009, Chiarelettere; 2011, Tea), Di testa nostra (con Andrea Camilleri, 2010, Chiarelettere).