La notizia campeggia dappertutto: il Premio Nobel alla Letteratura, per il 2018 ,“sarà scelto e annunciato insieme al vincitore del premio del 2019“. Lo comunica la stessa Accademia Reale. Questo perché, prosegue il comunicato, occorre “ricreare la fiducia”.
Lo scorso Novembre, in parallelo al noto movimento #metoo, il giornale Svenska Dagbladet, ha pubblicato accuse di molestie sessuali, rivolte da 18 donne contro un noto fotografo: Jean-Claude Arnault, marito di Katarina Frostenson, poetessa, a sua volta, pure componente dell’Accademia.
Fra le “indiscrezioni” e le “presunzioni”, ne è “trapelata” anche una che tocca direttamente la Casa Reale. La principessa ereditaria Victoria di Svezia, infatti, sarebbe fra le vittime delle molestie; secondo il quotidiano, tre persone avrebbero raccontato di aver visto Arnault toccare, con una mano, il sedere della principessa, durante un evento dell’Accademia nel 2006; una delle sue assistenti sarebbe allora intervenuta, per soccorrerla, “lanciandosi sul fotografo e allontanandolo con la forza”. Tuttavia, non constano denunce in proposito (ma si è fatta notare un’adesione della principessa a #metoo), se non questa sorta di de relato giornalistico: sicché, si tratterebbe di una diciannovesima donna, ma non confermata.
Il fotografo, era pure gestore di un centro culturale: “Forum”, che, dal 2010, riceveva finanziamenti dall’Accademia. Alla notizia, è stato aperto un procedimento tributario, per i finanziamenti, 126.000 corone l’anno, circa 13.000 euro poi, però, archiviato. Nondimeno, questi sono cessati. Quanto alle molestie, non constano indagini di sorta. L’avvocato di Arnault, Björn Hurtig, ha riferito che l’interessato “nega decisamente” ogni accusa, compresa la presunta molestia alla principessa Victoria.
Da allora, sulla Fondazione Nobel, e sull’Accademia, si è stretta la richiesta, ora velata, ora esplicita, di “reazioni”. La cessazione dei finanziamenti è così parsa troppo mite a tre componenti dell’Accademia che, dopo varie turbolenze, il 6 Aprile di quest’anno, si sono dimessi. Il giorno dopo, un altro. Quindi, la ricordata Frostenson. E, alla fine, si è dimessa pure la Presidente, Sara Danius, prima donna nella carica; lei, però, non perché indignata, come si dice, ma perché “L’Accademia desidera che io rinunci alla mia posizione di segretario permanente”; aggiungendo polemicamente: “Mi sarebbe piaciuto continuare, ma ci sono altre cose da fare nella vita”.
Essendo i membri dell’Accademia in tutto 18, sembra che, perduti sei di essi, non ci fosse più il quorum necessario per decidere a chi assegnare il premio. Ma il segretario pro tempore, Anders Olsson, ha sgombrato il campo da ogni paludamento regolamentare: sospendere il Premio “è l’unica opportunità di conservare il prestigio di un’istituzione indebolita nella sua credibilità“.
Questi, in breve, “i fatti”. Il cui nucleo sembra fissato dai quei due sostantivi: “prestigio”, “credibilità”. Qualche rapida considerazione.
Condursi in modo bavoso con una donna è degradante: per una donna, certo, e non meno per un uomo, però; se è un uomo. Vale sempre la pena ribadirlo. E’ un principio. Solo che, con i principi, c’è questo: che sono più di uno. E richiedono armonia, misura, considerazione reciproca: come fra uomo e donna.
Ora, fondato o meno che sia il prestigio di cui gode il “Premio Nobel” (non è qui il caso di dibatterne), resta che universalmente ne gode (anche agli occhi di quelli che ritirano onoreficenza e assegno tirandosela un po’).
Proprio per questo, avere scelto “la via delle emozioni”, è stata un’azione diseducativa, moralmente e culturalmente accomodante. Perché si sa poco, o nulla, in verità. A parte l’archiviazione tributaria. E sapere prima di decidere, è un altro principio primario di civiltà; quale che sia la decisione, quale che sia l’oggetto di conoscenza.
E tuttavia, proviamo a sondare “le complessità”: ed esoneriamo l’Accademia da questo ulteriore principio; ammettiamo che sia tutto dimostrato. Il fotografo ha abusato. Accantonato un principio, ecco che un altro ne affiora, però. La moglie non è il fotografo. Ma si ammetta pure questa assimilazione di identità, un pò sinistramente biblistica, a dire il vero: “la donna perfetta è corona del marito…” (Proverbi; 12, 4), perciò, colpevole lui, colpevole lei. Ma lasciamo stare. Ammettiamo pure. E accettiamo le sue dimissioni muliebri e ubbidienti. Accantoniamo un secondo principio: la piena e indissolubile unicità di ogni persona.
Perché gli altri si sono dimessi? E perché è stata indotta alle dimissioni la Presidente, un’altra donna, che pure non pare convenisse con quella lettura? Perché è prevalsa un’idea di perduta purezza. Non un errore di uno, sanzionabile, secondo proporzione e responsabilità umana, cioè, propria: sia pure con quella estensione coniugale, in cui la coniunctio, il legame solidale, si fa invece giogo di sottomissione. No. Si è fatta aleggiare una colpa collettiva, che evoca un demerito superumano e, dunque, inemendabile con un’azione riparatrice; c’è spazio unicamente per un atto espiatorio: la comunità (qui, l’Accademia, e forse la Svezia tutta) colpita dal morbo, si immola in una dimensione di irrazionale e regressiva voluttà sacrificale.
Stoccolma, la Svezia, l’equilibrio di una società dell’equilibrio: fra modelli sociali, politici e culturali distanti; welfare e libertà individuale, famiglia e Ikea, ricerca e natura. Eppure, sollecitata nel cuore stesso di una tradizione che si vuole illuminata, curatrice delle Muse, del libero pensiero, della libertà nell’arte, metafora essenziale della libertà nel vivere, implode nella cupezza di movenze spagnolesche, codine, bigotte fino all’autodissoluzione.
L’Accademia si è autoproclamata indegna per contaminazione; per contaminazione, non per razionale responsabilità, si è resa incapace di fare quello per cui esiste. E giustizia è fatta. Pessimo esempio. Pessimo esempio.