Mentre la crisi coreana non accenna a placarsi e Kim Jong-Un continua a minacciare il mondo intero, Donald Trump insegna che sì, quando si parla di testate nucleari, la taglia conta. Così, per rispondere a tono all’odiato dittatore, come si confà – avrà forse pensato – a un Presidente della Superpotenza americana, è necessario mettere i puntini sulle “i”. Perché Kim, una buona volta, capisca con chi abbia a che fare.
Così, dopo l’ennesima provocazione del nordcoreano, il tycoon newyorkese ha tuonato, come da copione via Twitter, che il suo “bottone nucleare” è decisamente più grande e potente di quella a disposizione del suo rivale asiatico. E, per di più, funziona. Come a dire che sì, Kim sta decisamente giocando con il fuoco, soprattutto quando si tratta di mettere in comparazione i mezzi a disposizione della sua Corea con quelli degli Stati Uniti d’America, padroni del mondo intero.
North Korean Leader Kim Jong Un just stated that the “Nuclear Button is on his desk at all times.” Will someone from his depleted and food starved regime please inform him that I too have a Nuclear Button, but it is a much bigger & more powerful one than his, and my Button works!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 3, 2018
Nessuna risposta di altro genere, in effetti, ci saremmo aspettati da Trump, il cui slogan elettorale, non a caso, alludeva proprio al concetto di grandezza, potenza, da riconquistare all’America per renderla “great again”. Ma il punto non è questo. Perché, se è ovvio che l’espressione “bottone nucleare” non è altro che una metafora, ci si potrebbe chiedere in che modo e secondo quali procedure un Presidente degli Stati Uniti d’America potrebbe ordinare un attacco nucleare. Una domanda che già in tanti, specialmente gli oppositori del miliardario, si facevano anche a ridosso della sua elezioni, inquietati all’idea che, appunto, quel “bottone nucleare” potenzialmente apocalittico fosse finito nelle disponibilità di un uomo apparentemente così poco affidabile e propenso alla diplomazia.
Quello che Trump ha chiamato “bottone”, in realtà è ciò che in gergo viene chiamato “nuclear football”, ossia una valigetta che segue costantemente il Presidente in ogni suo spostamento, contenente piani militari e strumenti di comunicazione da utilizzare in caso di necessità. In particolare, la valigetta contiene anche un telefono sempre connesso per comunicare in qualsiasi momento con il Pentagono, e dei codici segreti soprannominati “biscuit”, il “biscotto”, che non solo assicurano che la persona all’altro capo della cornetta sia il Commander-in-Chief in persona, ma che gli consentono anche, in caso di necessità, di ordinare l’attacco.
La procedura, insomma, è un po’ più complicata della mera pressione di un bottone, ma è comunque studiata per essere piuttosto rapida e lineare in casi di emergenza. Il potere di cui è investito il Presidente degli Stati Uniti, insomma, è visibilmente abnorme. Forse, a maggior ragione in tempi di instabilità globale, addirittura sproporzionato. L’unico controllo a cui è sottoposto il Presidente sui lanci nucleari deriva dall’Atomic Energy Act del 1946, passato quando sussistevano maggiori timori per i generali falchi piuttosto che per i leader civili eletti. Una questione che addirittura il Congresso e il Senato USA (naturalmente su sollecitazione dei democratici) pare abbiano preso seriamente, al punto da cominciare – come riportato dai media – addirittura a considerare l’opportunità di limitare i poteri del Presidente in materia.
Due mesi fa, infatti, per la prima volta dopo 40 anni il Congresso ha avviato un attento esame sulle prerogative del Commander-in-chief in caso di conflitto, tra cui quella di sferrare un attacco con armi atomiche. L’ultima volta che le commissioni Esteri di Camera e Senato si sono occupate di questa delicatissima materia risale al marzo del 1976: il Presidente americano era Gerald Ford, subentrato a Richard Nixon travolto dal Watergate. Perciò, i senatori democratici Ed Markey del Massachusetts e Ted Lieu della California hanno presentato un disegno di legge che impedirebbe al Presidente di lanciare un primo attacco nucleare senza una dichiarazione di guerra da parte del Congresso. Il capo della Casa Bianca, naturalmente, avrebbe ancora il potere di vendicarsi se l’America fosse attaccata. Un’altra idea sarebbe quella di far sì che anche il Vice-presidente, oppure i segretari di Stato e di Difesa, o tutti e tre, abbiano il compito di concorrere a qualsiasi decisione che comporti un attacco nucleare.
Ma a essere preoccupati non sono solo i democratici: anche Bob Corker, presidente repubblicano della Commissione per le Relazioni estere del Senato, ha dichiarato pubblicamente che Trump mancherebbe della “stabilità” o “competenza” richieste per essere Presidente, paragonando la Casa Bianca da lui guidata a “un centro diurno per adulti”. Dal canto suo, C. Robert Kehler, generale dell’aeronautica in pensione che un tempo dirigeva il Commando Strategico che sovrintende all’arsenale nucleare, ha spiegato, in occasione dell’udienza al Senato, che l’esercito potrebbe rifiutarsi di eseguire ciò che considera un ordine sproporzionato e dannoso. Kehler ha però aggiunto di non sapere quale sarebbe la risposta presidenziale in questo caso. Ma Brian McKeon, un ex funzionario del Pentagono, ha sostenuto di fronte alla commissione che il Presidente potrebbe sempre nominare un nuovo segretario generale alla Difesa che esegua i suoi ordini – ulteriori prove, per nulla rassicuranti, dei poteri unilaterali del Commander-in-Chief -.
Nel caso specifico di Trump, occorre pur sempre usare la necessaria prudenza. Un conto è il suo modo di fare politicamente scorretto, l’aggressività della sua diplomazia, la sua totale mancanza di filtri e persino le sue minacce lanciate con assoluta nonchalance via social network. Altro conto, verrebbe da dire, l’eventualità che la sua “imprevedibilità” lo spinga fino al punto di aprire la famosa “valigetta”, dalle conseguenze letteralmente disastrose e quasi apocalittiche, con la stessa naturalezza con cui lancia i suoi dardi infuocati via Twitter. Questa è un’ipotesi che speriamo di non dover mai nemmeno prendere in considerazione. Ma, si sa – devono aver pensato in Congresso e in Senato -, prevenire è sempre meglio che curare (soprattutto quando in gioco c’è il destino del Pianeta), e riflettere bene sulla necessità di aggiungere equilibrio, pesi e contrappesi anche alle procedure che possono portare a un attacco nucleare – procedure la cui responsabilità, forse, sarebbe meglio fosse condivisa, piuttosto che in capo a una sola persona – è, verrebbe da dire, sacrosanto, a prescindere da tutto. A prescindere, anche, da Trump, la cui “imprevedibilità”, pure, suscita legittimamente qualche preoccupazione.