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December 22, 2017
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Finché c’è guerra, c’è speranza? Gli affari d’oro dell’industria delle armi

Dwight Eisenhower aveva messo in guardia il popolo americano dagli accordi tra industria militare e politica

Valter VecelliobyValter Vecellio
Finché c’è guerra, c’è speranza? Gli affari d’oro dell’industria delle armi
Time: 4 mins read

17 gennaio 1961: il presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower rivolge al popolo degli Stati Uniti d’America il suo discorso d’addio. Ha un passato di glorioso generale. Sa cos’è l’atrocità della guerra, sa cosa significa prendere decisioni che salvano vite o condannano a morte. Con quel discorso avverte del pericolo implicito agli accordi segreti fra potere politico, industria bellica e militari.

Rileggiamone il passaggio chiave: «Un elemento vitale nel mantenimento della pace sono le nostre istituzioni militari. Le nostre armi devono essere poderose, pronte all’azione istantanea, in modo che nessun aggressore potenziale possa essere tentato dal rischiare la propria distruzione…Questa congiunzione tra un immenso corpo di istituzioni militari ed un’enorme industria di armamenti è nuovo nell’esperienza americana. L’influenza totale nell’economia, nella politica, anche nella spiritualità; viene sentita in ogni città, in ogni organismo statale, in ogni ufficio del governo federale. Noi riconosciamo il bisogno imperativo di questo sviluppo. Ma tuttavia non dobbiamo mancare di comprendere le sue gravi implicazioni. La nostra filosofia ed etica, le nostre risorse ed il nostro stile di vita vengono coinvolti; la struttura portante della nostra società. Nei concili di governo, dobbiamo guardarci le spalle contro l’acquisizione di influenze che non danno garanzie, sia palesi che occulte, esercitate dal complesso militare-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di poteri che scavalcano la loro sede e le loro prerogative esiste ora e persisterà in futuro. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà o processi democratici. Non dobbiamo presumere che nessun diritto sia dato per garantito. Soltanto un popolo di cittadini allerta e consapevole può esercitare un adeguato compromesso tra l’enorme macchina industriale e militare di difesa ed i nostri metodi pacifici ed obiettivi a lungo termine in modo che sia la sicurezza che la libertà possano prosperare assieme.. ».

Complesso militare-industriale… Nella penultima velina del discorso di Eisenhower, l’espressione è più ampia: “Complesso militare-industriale-congressuale”. Poi Eisenhower decide di togliere la parola “congressuale”:  vuole evitare discordie con i membri del Congresso degli Stati Uniti, il ramo legislativo del governo federale, che decideva gli stanziamenti per la difesa. Per l’esattezza l’autore del termine era il saggista e scrittore dei discorsi per Eisenhower Malcolm Moos, coadiuvato da Milton Eisenhower, fratello del presidente.

Allarme pienamente giustificato allora; e ancor più ai giorni nostri. Chi più, chi meno, tutti i settori dell’economia sono attraversati da crisi: tutti meno che uno, la produzione ed il commercio delle armi.

Secondo il SIPRI (Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma), nel 2016 le maggiori società di servizi militari e di produzione di armi del mondo, hanno totalizzato affari per 374,8 miliardi di dollari.

Dal 1990, SIPRI pubblica in un annuario i dati relativi alla vendita di armi da parte dei maggiori cento produttori mondiali di materiale bellico. I dati relativi al 2016 mostrano un aumento delle vendite del 1,9 per cento rispetto al 2015, e un aumento del 38 per cento rispetto al 2002. Il 2016 è stato registrato come il primo anno di crescita in termini di produzione bellica, dopo gli ultimi  cinque anni consecutivi nei quali si è visto un regresso del settore. Guardando alle spese militari dei singoli Stati, troviamo al primo posto gli USA, seguiti da Cina, Arabia Saudita e Russia, tutti e tre in costante crescita.

Con un totale di 217,2 miliardi di dollari, le vendite di armi delle società statunitensi sono cresciute del 4,0 per cento nel 2016. Una crescita dovuta principalmente alle operazioni militari statunitensi oltreoceano. Le vendite di armi da parte di Lockheed Martin, il maggior produttore mondiale di armi negli Stati Uniti, nel 2016 sono aumentate del 10,7 per cento.

In Europa occidentale le vendite di armi da parte delle aziende rimangono stabili: hanno fatturato nel 2016 un totale di 91.6 miliardi di dollari, con aumento dello 0,2 per cento rispetto al 2015. L’Italia si colloca al dodicesimo posto.

L’Osservatorio Milex ha effettuato un’indagine sulle spese italiane relative al materiale bellico, dalla quale risulta che l’Italia per il 2017 ha destinato 23.3 miliardi di euro alle spese militari, che corrispondono a 64 milioni di euro al giorno. Per quanto riguarda le esportazioni, la relazione annuale del Governo sull’export mostra che si è registrato un aumento del 220 per cento delle autorizzazioni alle esportazioni di materiale bellico nel 2015 rispetto al 2014. È un trend in crescita, e i principali clienti delle industrie belliche italiane sono Emirati Arabi, India e Turchia.

La decisione del Regno Unito di recedere dall’Unione europea non sembra aver avuto un impatto sulle vendite di armi delle società britanniche, aumentate del 2,0% nel 2016. Le vendite di BAE Systems, il quarto più grande produttore di armi a livello mondiale, sono rimaste quasi stabili, registrando un piccolo aumento dello 0,4 per cento. La più alta crescita delle vendite di armi da parte di una società britannica, circa il 43,2%, è stata registrata da GKN, un produttore di componenti aerospaziali. Per quanto riguarda la Russia si registra un aumento della vendita di armi del 3,8%, raggiungendo 26,6 miliardi di dollari nel 2016. Le società russe hanno rappresentato il 7,1% della produzione totale.

A livello globale si parla di circa 1.676 miliardi di dollari, che rappresentano il 2,3% dell’intero prodotto interno lordo mondiale, stanziati esclusivamente per la spesa degli armamenti.

Come nel vecchio film di Alberto Sordi, “Finche’ c’è guerra, c’è speranza”.

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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