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Il terrore di Las Vegas e le responsabilità della stolta America di Trump

Un cittadino "nativo" USA, incensurato, dalla stanza di un albergo a Las Vegas, spara sugli spettatori di un concerto compiendo un massacro

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Il terrore di Las Vegas e le responsabilità della stolta America di Trump

59 morti e 500 feriti: è gravissimo il bilancio della sparatoria avvenuta il 2 ottobre 2017 a Las Vegas, dove un uomo di 64 anni (Stephen Paddock) spara dal balcone di un hotel sulla folla presente a un concerto country.

Time: 4 mins read
Stephen Paddock

Terrore che più terrorista di così non é possibile immaginare persino nell’America post 9-11: oltre 50 morti, oltre 400 feriti a Las Vegas, Nevada, durante un concerto che chiudeva un famoso festival di musica country. Quello che ormai diventerà il più grande massacro di civili causato da una sparatoria della storia degli Stati Uniti, sembra che sia stato ideato e commesso da un solo uomo: Stephen Paddock, 64 anni anni, incensurato, residente a Las Vegas. Passock alla fine si è suicidato quando ormai la polizia di Las Vegas aveva individuato la sua stanza al 32esimo piano del Mandalay Bay Casino and Resort Hotel. Ma prima di uccidersi, il terrorista  ha scaricato diversi caricatori dalla sua arma automatica, puntata contro la folla che dalla dalla finestra poteva osservare mentre riempiva parte della famosa “Strip”, chiusa per il concerto. Quando la folla (c’erano 22 mila persone al concerto!) ha finalmente capito che era diventata il target di una pioggia di pallottole, ha cercato di trovare una via di fuga, ma non sempre questa era immediata. Per lunghissimi minuti al rumore secco degli spari provenienti dall’Hotel replicavano le disperate grida della calca in panico; per chi era ormai diventato il troppo facile bersaglio di quella scarica di piombo, il tempo si è fermato. Quando poi è stato chiesto ai superstiti quanto tempo era durato quell’inferno in cui migliaia di persone si accalcavano uno sopra all’altra per cercare di scampare alla morte, molti degli intervistati dalle tv americane, non riuscivano più a determinare il tempo. Quei dieci o quindici minuti, saranno sembrati l’eternità di quando si precipita all’inferno. 

Il presidente Donald Trump, di solito pronto a dare giudizi affrettati con il suo account twitter, alle 7:11 di stamattina (ora di NY), ha scritto un messaggio di cordoglio per le vittime: “My warmest condolences and sympathies to the victims and families of the terrible Las Vegas shooting. God bless you!”.

Ci viene immediato il pensiero: cosa avrebbe scritto nel suo tweet Trump, se invece di Stephen Paddock, lo sparatore di Las Vegas si fosse chiamato Abdul Hammad?

In questa tragedia umana, di cui presto inevitabilmente sapremo altri particolari agghiaccianti, ci preme ribadire quanto sia difficile fermare la mano assassina di una mente omicida, ma un paese civile deve rendere un piano criminale almeno più difficile da attuare, invece che facilitarlo con le sue leggi.  L’America in cui, in molti stati, chiunque in possesso di una carta d’identità può ancora comprare un’arma capace di uccidere in pochi istanti decine di persone, non sembra essere un paese che mette la protezione della vita dei sui cittadini come fondamentale dovere dello stato democratico.

L’attuale inquilino della Casa Bianca, come suo primo atto da presidente, cercava di far passare executive order per bloccare l’ingresso di migranti legali provenienti da paesi a maggioranza musulmana e da dove mai nessun cittadino aveva commesso un attentato terroristico nel territorio USA.  Lo stesso presidente cioè, che appena entrato alla Casa Bianca si è messo a proteggere, come se non bastasse già purtroppo il Congresso a maggioranza repubblicana,  la lobby della National Rifle Association, che approfitta di interpretazioni costituzionali sul diritto di possedere armi non più in linea con quelle di un paese civile, ed è ormai diventata la maggiore “facilitatrice” del terrorismo made in USA.

Il festival era di musica country, quella che si ascolta ed è più amata proprio in quegli stati “rossi” del Middle West e del Far West, che hanno eletto Donald Trump. Ci appare legittimo il sospetto, che tra le migliaia di fan terrorizzati dal terrorista di Las Vegas, molti abbiano votato per Trump, e che alla sua entrata alla Casa Bianca abbiano pensato di essere più sicuri con lui, soprattutto dopo quell’executive order contro gli immigrati legali ma musulmani. Dal 2 ottobre, la logica dovrebbe far pensare che quella loro sicurezza basata sulle promesse di Trump di chiudere le frontiere e costruire muri, dovrebbe rivelarsi per quella che era: semplice illusione, demagogia elettorale di un profittatore del senso di insicurezza dei cittadini. Chi guida oggi gli Stati Uniti d’America semmai facilita la “libertà” di poter diventare, in ogni momento, un terrorista americano armato fino ai denti. Il presidente prima di Trump, Barack Obama, pur rimanendo bloccato dal Congresso, lo abbiamo visto versare lacrime quando i bambini venivano massacrati da questo tipo di terrorismo e si é sempre schierato, anche se inutilmente, per una legislazione che aumentasse il controllo delle armi. Il presidente Trump non lo vediamo capace di piangere e ammettere le sue colpe, ma almeno speriamo che venga smosso, se non dalla compassione, dalla realizzazione che chi lo ha votato, dopo questa immensa tragedia, possa avere un sussulto e capisca quanto sia da stolti e persino da complici continuare a dare licenza di uccidere in questo paese.

Il presidente Trump ieri aveva scritto, sempre in uno dei suoi twitter,  che il Segretario di Stato Rex Tillerson stesse “perdendo tempo” a cercare di trovare una soluzione diplomatica con “rocket man”, come Trump chiama il dittatore della Nord Corea. Speriamo che Trump, dopo questa tragedia per nulla inevitabile a Las Vegas,  lasci lavorare in pace chi sta cercando di evitare una catastrofica guerra nella penisola coreana, e si occupi invece seriamente della sicurezza dei cittadini americani, oggi lasciata in bilico più che da terroristi venuti da lontano o dittatori di paesi isolati, da un criminale supporto politico agli interessi di costruttori e venditori di armi.

AGGIORNAMENTO (Ore 10:55 di New York).

Il Presidente Donald Trump ha appena parlato in televisione alla nazione. Qui il video e clicca qui per la traduzione.

Aggiornamento ore 4:00 pm di NY: i morti sono ora saliti a 59. I feriti oltre 500.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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