Ogni era ha il proprio concetto e definizione di “verità”. I vittoriani la riverivano e credevano che fosse emanata direttamente da Dio. Quando si combattevano le guerre, una fazione riusciva a vincere sull’altra perché la “verità” era dalla loro parte. Credere nell’esistenza della verità andava di pari passo col credere nelle istituzioni e nelle certezze morali e sociali. Era anche sottinteso che l’umanità avrebbe raggiunto un progresso morale ed un progresso economico allo stesso tempo. Questa era l’era vittoriana e dell’ottimismo.
Queste certezze furono sotterrate dal cataclisma della Prima guerra mondiale e dalla disillusione che ne conseguì. Anche se principalmente associato all’arte, il movimento modernista che uscì offrì la propria definizione di Verità, morale e non. La carneficina della “grande guerra” fece mancare il terreno sotto i piedi alle religioni, alla filosofia e all’arte. Dio era morto (uno slogan che era ed è, in modo semplicistico, attribuito a Nietzsche), l’umanità si rivelò brutale ed inumana, i confini convenzionali dell’arte e della vita furono distrutti completamente. Il nihilismo soppiantò le certezze del periodo vittoriano. La conseguenza fu una mentalità “carpe diem” che diede vita al periodo caratterizzato da uno stile di vita bohémien e alla disillusione della “Lost Generation” dipinta da Hemingway in Il sole sorgerà ancora.
La Seconda guerra mondiale contribuì solo a intensificare la vena nihilistica e all’avvento dell’esistenzialismo estetico, una corrente filosofica che fu denigrata e incompresa dal pubblico; ma queste condanne di fede erano concepibili alla veglia dell’appena conclusa guerra mondiale. La prima guerra fu acclamata come “la guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre”, tuttavia la seconda, che seguì poco dopo, fu anche più devastante e demoralizzante. L’esistenzialismo sfidava esplicitamente la possibilità di obiettare la verità e colui che lo rese noto, Jean-Paul Sartre chiedeva “esiste una verità oggettiva?” (Stanford Encyclopedia of Philosophy). Nel corso degli ultimi decenni l’erosione della speranza individuale e collettiva è stata costante. Il cinismo dell’era del Vietnam, per esempio, ha contribuito a contaminare l’autorità e la credibilità del governo, delle istituzioni e della nozione di “verità”.
La politica, l’economia, i movimenti culturali, sono tutti collegati e comprensivamente vanno a costituire un “era” o, per usare una parola di più vecchio stampo, uno “Zeitgeist”, lo spirito del tempo. Il secondo dopoguerra inaugurò il periodo postmoderno. Quindi, cos’è di preciso il postmodernismo e come porta alla luce la moderna definizione di “verità”? Secondo una fonte che ha come oggetto dare una definizione alle filosofie, “I postmodernisti non cercano di perfezionare i loro ragionamenti secondo ciò che è giusto o sbagliato, vero o falso, buono o cattivo. Credono che non ci sia una verità assoluta. Un postmodernista considera sbagliato tutto ciò che è esterno di se stesso, cioè ciò che è considerato essere la verità da altre persone per il postmodernista diventa indistinguibile dal falso. Perciò, nessuno possiede l’autorità di definire ciò che è verità o di imporre su altri la propria idea di ciò che è moralmente giusto o sbagliato” (Postmodern Openings). Un’altra fonte spiega che “i postmodernisti credono che la verità sia relativa e che la ‘verità’ dipende da come ciascuno degli individui la definisce per se stesso” (AllPhilosophy). In breve, ciò che abbiamo qui è la definizione ab letteram delle “fake news” e della “post-verità”.
Mentre la “post-verità” è una parola che fu usata per la prima volta in un saggio pubblicato nella rivista The Nation nel 1992, nel periodo post-elettorale del 2016 è diventato un termine onnipresente. L’Oxford Dictionary l’ha dichiarata parola dell’anno 2016 e la definisce come una parola che è “relativa a o che denota delle circostanze in cui fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica che si appella alle sensazioni e credenze personali”. Perciò, il fatto che entrambe l’FBI e la CIA, così come altre 17 organizzazioni dell’intelligence la cui responsabilità è quella di investigare fatti sospetti, abbiano affermato che “la Russia è intervenuta nelle elezioni del 2016 in parte per aiutare Donald Trump a conquistare la Casa Bianca” è privo di significato per Donald Trump e i suoi sostenitori dal momento che la pensano diversamente. Eppure Donald Trump e i suoi sostenitori non sono soli nel disprezzare totalmente i “fatti”. Il termine “post-verità” è stato ampliamente usato per descrivere non solo la campagna presidenziale di Donald Trump, ma anche il movimento della Brexit, ed entrambi ebbero successo grazie alla distorsione dei fatti. Notiamo sempre di più che persone appartenenti ad entrambe le fazioni politiche preferiscono parlare da una posizione postmoderna della soggettività, in altre parole, che preferiscono esprimere la loro opinione personale, ma senza far ricorso ai “fatti”, perché non credono che esistano “fatti” o “verità” al difuori dei loro “fatti” e delle loro “verità”. In breve, per queste persone, la loro “verità” personale è più veritiera di qualsiasi cosa sia stata riportata come “fatti” precedentemente. Insomma, il banalizzato slogan postmoderno de “la percezione È la verità” ha prevalso.
Guardiamo ora ad un altro esempio. L’investigazione del Dipartimento di Giustizia riguardo alla sparatoria di Michael Brown a Ferguson, in Missouri nel 2015, ha concluso che “Prove fisiche e forensi contraddicono ciò che hanno affermati i testimoni che hanno sostenuto che Brown avesse le mani in alto, al di sopra della vita, quando Wilson ha sparato”. Nonostante la natura categorica di questa dichiarazione, non è riuscita a convincere i sostenitori di Brown che fosse una scoperta lecita. Infatti, malgrado la sentenza, è emerso un movimento “Hands Up-Don’t Shoot” che continua ad essere lo slogan per la lotta contro la corruzione e gli abusi da parte della polizia. I “fatti” non hanno nessun tipo di influenza quando le emozioni sono così forti. La soggettività “vince” costantemente sull’oggettività. Forse è rilevante il fatto che uno dei più recenti approcci interpretativi in arte è l’”Affect theory”. In un saggio abbiamo letto che “Dopo essere state a lungo trascurate, negli ultimi decenni, le emozioni, o più in generale gli effetti, sono diventati una maggiore preoccupazione negli studi letterari, così come in quelli filosofici, psicologici e molti altri”. Potremmo aggiungere che questo sembra esser diventato l’approccio predominante nell’interpretare la “realtà”, gli eventi politici e più generalmente, anche le “notizie”.
Nella mia esperienza personale come professoressa che si occupa di seminari in cui vengono affrontati temi riguardanti le problematiche politiche e sociali, non mi smetto mai di stupire di come gli studenti possono discutere e sostenere un’opinione personale da un punto di vista soggettivo. Nell’aula dei seminari, che può essere vista come un microcosmo formato da coloro che dovrebbero costituire un pubblico informato, in questo periodo di inciviltà non è poi così inusuale vedere delle discussioni accese quando una persona è in disaccordo con un’altra. Eppure, sistematicamente sembra che nessuno dei due abbia accurate informazioni riguardo l’argomento discusso. Qui non ci stiamo riferendo a delle informazioni che possono essere “interpretate” ma a un tipo di informazioni indiscutibili come ad esempio “cos’è il Primo Emendamento e cosa dice esattamente?”. Così come il teatrino che vediamo quotidianamente in televisione nei talk show politici, questi studenti sostengono fino alla morte che la loro è l’unica verità, nonostante le prove incontrovertibili che la loro tesi sia fondata su delle false premesse.
Se ora la verità è un’illusione o almeno così relativa da estendersi oltre ogni confine della realtà, allora cos’è una menzogna? L’eufemismo orwelliano abbonda. Una persona potrebbe essere colpevole di aver detto una “non verità” o un “fatto alternativo” oppure di essersi “spiegata male” o di “non ricordare correttamente”. Grazie all’ingegnoso trucchetto di Donald Trump, tutto ciò con cui si è in disaccordo, ora diventa “fake news”. Le fonti rispettabili sono state rimpiazzare da dei reportage vaghi fatti da “anonimi” o giustificati da concetti vuoti come il “lo sanno tutti”, “dicono che” o “ho un amico che mi ha detto che…”. Quest’ultimo è proprio uno dei preferiti da Donald Trump, e effettivamente con questa ingegnosa frase riesce ad eliminare sia l’attendibilità delle fonti che la credibilità degli esperti.
Possiamo anche essere d’accordo con Quartz che succintamente suggerisce che “la post-verità potrebbe anche essere definita con un semplice sinonimo di una sola parola: propaganda”. L’autore spiega che nel mondo politico di oggi, “la pubblicità, i contenuti sponsorizzati, la diplomazia pubblica, le fake news e i contenuti post-verità…” sono tutte variazioni di ciò che una volta si chiamava propaganda.
Recentemente si è parlato tanto della “nuova sincerità” definita come “una combinazione di ironia e sincerità che formano un nuovo ed incredibilmente potente movimento”. Notoriamente di contenuto vago per diverse ragioni, questo trend è stato popolarizzato da Jesse Thorn, conduttore per la PRI di The Sound of Young America. Per tutti coloro che trovano questa teoria difficile da definire con chiarezza, Thorn suggerisce di “pensare a Evel Knievel. Bisogna essere franchi. Non c’è nessun modo di apprezzare Even Knievel quando preso letteralmente. Evel è il tipo di uomo che sfida la finzione, perché la realtà è troppo esagerata…Detto in poche parole, Evel Knievel è roba dell’altro mondo. Ma allo stesso modo, non è nemmeno da essere preso ironicamente” (Wikipedia – The New Sincerity). Thorn potrebbe stare facilmente descrivendo Donald Trump.
Secondo molti esperti siamo diretti verso un nuovo tipo di nihilismo. Ogni giorno siamo bombardati di notizie riguardanti le guerre in corso combattute sulla base di evidenti falsi pretesti e crescenti minacce nucleari globali, discordi razziali e amare polarizzazioni nelle case, una presidenza tormentata che istiga paura ed insicurezza, un presidente il cui scopo sembra quello di compromettere invece che di sostenere la fiducia nelle istituzioni, i mezzi di comunicazione la cui credibilità sembra esser collassata sotto il peso della loro parzialità e pregiudizi. Quando la verità è così dolorosa, c’è forse da meravigliarsi che cerchiamo rifugio nelle “post-verità”?
Grace Russo Bullaro, nata in Italia ed emigrata negli Stati Uniti molto giovane, insegna da vent’anni alla City University di New York. Le sue ricerche e pubblicazioni si focalizzano sui temi sociali, politici e culturali che provocano cambiamenti nella società.
Traduzione a cura di Giulia Casati