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Trump a doppia faccia: ammira l’Italia ma alla fine umilia Gentiloni

Nella conferenza stampa si vede un "double faced" presidente degli Stati Uniti su Libia e nel rispetto dell'interlocutore

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
usa italia trump gentiloni

La conferenza stampa alla Casa Bianca tra il presidente Donald Trump e il premier Paolo Gentiloni (Foto Palazzo Chigi)

Time: 6 mins read

A parole la visita del premier italiano alla Casa Bianca sembra che sia andata benissimo, già,  con il presidente Donald Trump che riempie di lodi per la sua cultura e storia millenaria il “paese di Verdi e Pavarotti, grande amico mio”. Ma sulla sostanza, il governo italiano torna con una conferma che già sospettava da tempo: sulla stabilizzazione della Libia, il problema in cima agli interessi nazionali italiani perché legato alla crisi dei migranti (ma soprattutto anche alle fonti di energia) Roma non può contare sull’America.

Ma facciamo un passo di poche ore indietro. La mattina di giovedì 20 aprile, al Center for Strategic and International Studies di Washington, Gentiloni aveva ripetuto quella che è stata una cantilena per tutti i governi italiani che si sono alternati a Palazzo Chigi negli ultimi quattro anni: la Libia non può restare nel caos, dobbiamo stabilizzarla invece che frantumarla, chi pensa a dividerla rende la situazione ancora più pericolosa. Al CSIS il premier aveva auspicato che la Casa Bianca avesse recepito il messaggio, che con una Libia instabile si rischia di rinforzare anche l’ISIS, oltre che lasciare l’Europa indifesa per la crisi dei migranti visto che proprio nel paese nordafricano i trafficanti di essere umani ammassano la “merce” d’esportazione.

Quando all’inizio della conferenza stampa congiunta nell’East Room, dopo il bilaterale durato tanto quanto basta, Trump ha iniziato a parlare dell’Italia coprendola di zucchero filato, quel paese che ha dato tanto all’America “grazie ai suoi 18 milioni di americani di origine italiana”,  sembrava che Gentiloni avesse convinto il presidente col debole per lo “spettacolare paese che conosco bene”, ad aiutare l’Italia con quello che al momento le preme di più: ottenere dalla potenza USA l’impegno a sostenerla a stabilizzare la Libia e contenere un espansionismo al centro del Mediterraneo di movimenti fondamentalisti ma anche della Russia, ormai evidente a chiunque voglia vedere.

 

Gentiloni Trump
La stretta di mano tra Gentiloni e Trump (Foto White House)

 

Quando ad un collega di Radio Rai è stata data la possibilità di porre una domanda (prima della conferenza stampa abbiamo saputo da diligenti funzionari dell’ambasciata che era stato già stabilito chi avrebbe posto le domande: due da parte di giornalisti americani e due da parte di quelli italiani. Stabilito non solo il numero ma anche chi dovesse fare le domande… Non abbiamo capito come siano stati scelti i quattro giornalisti e se chi li ha scelti sapesse prima che tipo di domande avrebbero posto…), ecco che Trump faccia-simpatia per l’Italia, si trasforma in faccia-offendi Gentiloni.

Dicevamo che Trump, quando ha iniziato a parlare, ha caricato di ammirazione l’Italia: “Rinnoviamo sempre i profondi legami di amicizia che legano il popolo americano e quello italiano, che affonda le sue radici nel contributo senza tempo dell’Italia alla civiltà, che risale alla Roma antica. Nel corso delle ere il vostro Paese è stato un faro di risultati artistici e scientifici che continuano tuttora. Da Venezia a Firenze, da Verdi a Pavarotti, mio grande amico. Queste relazioni sono diventate sempre più forti, con i nostri due Paesi diventati alleati vitali”.

Gentiloni gli ha replicato: “È stato un incontro fruttuoso. Un onore essere qui alla Casa Bianca. Oggi rinnoviamo un’amicizia e l’impegno comune nella lotta al terrorismo. Saremo decisivi nel lavoro di stabilizzazione dell’Iraq dopo la sconfitta di Daesh”.

Trump ha anche elogiato l’Italia per essere un partner commerciale che fonda il rapporto sulla “reciprocità”, ripetendo la parola due volte: “Mi piace questa parola, perché non ne abbiamo tanti di partner commerciali giusti…”.

Il vertice tra i due capi di governo intanto era stato molto influenzato anche dalla notizie provenienti da Parigi proprio in quel momento. “Condoglianze alla Francia per quanto accaduto a Parigi: sembra terrorismo, non finisce mai. Dobbiamo essere forti e vigili”, ha detto Trump. “Mi associo alle parole del presidente Trump per quello che è successo a Parigi: condoglianze e vicinanza al popolo e al governo francese, in un momento molto delicato a tre giorni dalle elezioni”, ha commentato Gentiloni.

La lotta al terrorismo infatti è stata al centro dei colloqui tra i due capi di governo. Gentiloni ripete quello detto al CSIS, definisce “fondamentale” l’impegno “anche politico” degli USA per dare stabilità alla Libia ed evitare che “si divida” anche per l’influsso di altre potenze. Trump all’Italia riconosce la “leadership per la sua stabilizzazione” ma quando giunge la domanda del giornalista della Rai, che chiede a Gentiloni cosa si aspetta dagli USA in Libia e a Trump quanto gli USA siano disposti a essere coinvolti in Libia per la sua stabilizzazione, ecco che Trump gela Gentiloni e tutta la delegazione del governo italiano: “Non vedo un ruolo degli Stati Uniti in Libia. Siamo troppo impegnati su altri fronti”.

Lo dice in quel momento per la prima volta o lo aveva già preannunciato a quattrocchi a Gentiloni? Il premier italiano, noi che siamo seduti proprio nella prima fila dei giornalisti italiani, quando parla durante la conferenza stampa (inizia in inglese ma poi cambia e continuerà sempre in italiano) si esprime in maniera chiara e precisa, ma ci appare anche molto affaticato e giù di morale. E’ una impressione che abbiamo, sensazioni non certezze, ma crediamo anche che Gentiloni debba sentirsi in imbarazzo difronte a quel presidente americano che gli nega l’aiuto sulla Libia in quel modo, così pubblicamente, dopo che lui quell’aiuto lo aveva chiesto pochi attimi prima e anche nel discorso della mattinata al CSIS.  E poi c’è un “incidente” che dovrebbe mortificare il presidente del Consiglio, che però forse (e per fortuna) non si accorge di quello che invece in quel momento vedono bene tutti i giornalisti in sala. Mentre lui parla, infatti, Trump, che si era tolto prima l’auricolare per ascoltare la domanda sull’Europa di una giornalista italiana che gliela poneva direttamente in inglese, non rimette l’auricolare per la parte finale della conferenza stampa. Così quando Gentiloni parla in italiano, Trump che alterna un’espressione sorridente a quella da duro sfidante, non capisce nulla in realtà di quello che il capo del governo italiano sta dicendo. Non sarà stato tanto tempo, sono gli ultimi minuti della conferenza stampa, ma è una scena non bella, imbarazzante e soprattutto in netto contrasto con la calorosa accoglienza che Trump aveva riservato – almeno a parole – all’inizio della conferenza stampa.

Paolo Gentiloni e Donald Trump durante la conferenza stampa alla Casa Bianca (Foto VNY)

Secondo l’Agenzia ANSA, che leggiamo mentre scriviamo queste righe, durante il vertice nello Studio Ovale, alcune fonti avrebbero riferito che il presidente USA avrebbe rivolto molte domande proprio sulla Libia. E nella dichiarazione a fine incontro infatti sottolinea che l’Italia “è un partner chiave nella lotta al terrorismo” e per “la stabilizzazione della Libia e per limitare gli spazi vitali dell’ISIS nel Mediterraneo”.

Da parte sua, anche Gentiloni nella conferenza stampa si toglie qualche sassolino dalla scarpa, per esempio quando ribadisce, questa volta rispondendo alla domanda di una collega di Sky Italia, che in Siria l’Italia non è impegnata nelle operazioni militari e non intende farlo in futuro. E di fronte alle insistenze di Trump per portare al 2%, le spese per la difesa della NATO, il capo del governo italiano  dice che l’Italia lo farà ma progressivamente: “l’impegno è stato preso”. In dieci anni, dice Gentiloni, i nostri investimenti sono cresciuti dall’1,2 all’1,4%, con una spesa di 23,4 miliardi di euro nel 2014. Ma andiamoci piano, in pratica fa capire il premier, l’Italia lo farà nei tempi che si sceglie lei, non con quelli imposti da Washington.

Varricchio Tillerson
L’ambasciatore d’Italia a Washington Armando Varricchio scambia alcune idee con il Segretario di Stato Rex Tillerson attimi primi dell’inizio della conferenza stampa alla Casa Bianca (Foto VNY)

Abbiamo assistito alla conferenza stampa dalla prima fila, ma sapevamo già due ore prima che iniziasse che non avremmo potuto neanche tentare di fare una domanda. Gli “scelti” erano stati già designati. Peccato. Avevamo pronta una domanda, sia per Trump che per Gentiloni, in tema con il bilaterale. Una domanda che si collegava alla nuova politica estera della amministrazione Trump e alla nostra esperienza al Palazzo di Vetro. La domanda, che avremmo voluto porre, era questa:

Presidente Trump, Premier Gentiloni, potreste spiegarci meglio quali saranno le conseguenze della nuova “assertive” (da tradurre con decisa e aggressiva) politica estera americana nelle relazioni tra Italia e Stati Uniti? Nel suo primo giorno al Palazzo di Vetro, l’ambasciatrice Americana Nikki Haley ha spiegato ai giornalisti che ora gli Stati Uniti terranno una lista con i nomi di quei paesi che non fanno quello che hanno promesso di fare… Quindi, Signor Presidente e Premier Gentiloni, sapete già cosa l’Italia dovrebbe fare e cosa non fare per non rischiare di finire nella “Trump list”, quella dei cosiddetti alleati indisciplinati da punire?

 

ps

Non è che per caso qualcuno dello staff della Casa Bianca, incaricato di preparare una scheda su Gentiloni prima della visita, aveva già scovato questo articolo sul web?

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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