Non è il povero Codice Penale, ridotto a totem di una superstizione collettiva, in cui il ringhio bavoso di una furia liquidatoria scaccia, stuprandola, la dignità della norma: espressione della tragica lacerazione con cui l’uomo si autoattribuisce il potere di punire, essa scandisce una ragione pensosa, e si situa all’opposto dell’impeto. Prevede e punisce; ma proprio perché pre-vede, con una pietà razionale che mitiga l’insuperabile abusività di quel potere, spera di non dover punire.
Nè lo schiamazzo declamatorio con cui quel ringhio è stato scandito. Nè l’inseguimento, goffo quant’è stato insistito, con cui una muta di perdigiorno intendeva assicurarsi l’incredula vittima sacrificale, On. Osvaldo Napoli. Nè l’infimo baccanale goduto corporalmente, quasi lubricamente: con il contatto delle mani, con il veleno degli sguardi, con l’olezzo dei fiati, col quel frenetico strizzarsi delle viscere, con quell’interno vorticare di umori e di sensi, che sempre si accompagnano agli entusiasmi espiatori. Nè la delirante invocazione del “Maresciallo” che, immaginato a completare l’infame liturgia, mostrando e poi stringendo i ceppi di un castigo subitaneo e folgorante, interveniva invece a soccorrere la preda, e a rompere l’incantesimo.
Non è questo: o non è solo questo che dovrebbe indurre ampie, diffuse e meditate valutazioni sull’accaduto; su questi balordi del “Movimento 9 dicembre Forconi”. E dico “accaduto” e non “episodio”: perché di episodico qui non c’è proprio nulla.
Il Codice Penale ridotto a brandelli è stato il blasfemo fonte battesimale della Seconda Repubblica: “Se si creano situazioni di emergenza nelle quali diviene indispensabile comprimere i diritti individuali, per ripristinare l’ordinamento giuridico, allora, nell’interesse comune, sono favorevole alle restrizioni dei diritti individuali” (dott. Francesco Saverio Borrelli, Micromega, fine 1995). Che, come è noto, è l’invocazione-modello che sta a fondamento e giustificazione di tutti gli inferni giudiziari, perciò politici, e sempre culturali, dalla Rivoluzione Francese in poi. Da allora, segnata la via, si è proseguito. Tenendo, nei decenni e fino ad oggi, l’Italia chiusa in un Colosseo in prime time, nel quale, dai fascicoli giudiziari ai divani di casa, passando per i banchi di scuola, si è tramandato e rinnovato incessantemente quello scempio. E la diseducazione di massa, e la colpevolizzazione di decine di milioni di persone aggrumate secondo “sistemi criminali”, “modelli culturali”, “vere storie”.
Tutti arnesi paragiuridici con cui si è fomentata una rancorosa e attossicante regressione civile, politica e culturale che, con facinorosa faziosità, ha distillato dalle ferite dell’Italia alcuni imputati-simbolo: rendendoli maschere di un Nuovo Peccato Originale, in cui il “Parlamento degli inquisiti”, o variamente “Delegittimato”, da allora in poi, è stato il Paradiso Perduto. E per quanti avessero insistito a coltivare il dubbio civile e antiautoritario sull’operato di quegli spregiatori del diritto, era già pronto il calco della “maledetta progenie” dei peccatori.
Le mute, non randage, semmai pronte al guinzaglio e da questo spronate agli assalti, dopo il triennio 1919-1922, tornarono a sciamare nella vita pubblica italiana il 30 aprile 1993, di fronte all’Hotel Raphael di Roma, pure allora ululando di immediati castighi sul campo. E, come quelle di settant’anni prima, anche queste contemporanee presentarono a quel loro primo riapparire, e tutt’ora seguitano a presentare, la specifica e micidiale connotazione di essere agli ordini e a sostegno di Autorità punitive e palingenetiche. E s’intende che non ci sono ordini di servizio e gerarchie dirette e formali di comando. C’erano e ci sono i tribuni; c’erano e ci sono le mutevoli, ma incessanti, forme in cui le mute si ordinano, e fanno sentire la loro miseria intimidatrice: con i fax, con i sit-in (per i meno giovani), con i meet up (per i più giovani), con l’irrequietezza psichedelica e digitale di fumose istanze emancipatorie, che dovrebbero svincolare dagli incomodi della rappresentanza, della democrazia, della dura e faticosa lotta politica. Internet macht frei.
Sicché, non essendoci episodio, ma storica continuità, non tanto conta testimoniare la pur sacrosanta preoccupazione verso di essa, ma, semmai, prevenire riduzioni, ironie minimizzatrici, interessate e farisaiche distinzioni, accantonamenti di fronte a mai precisate “cose più importanti”, ma sempre reperibili nel vasto mare del vaniloquio “in Rete”. Ci sono stati cattivi maestri: non può stupire che oggi ci siano ottimi allievi.
In queste stesse ore, il neo Ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, a proposito della ormai nota querelle sul suo titolo di studio, se laurea, come erroneamente dichiarato, o diploma, com’era in realtà, ha rilevato: “Capisco e comprendo tutto, ma sono veramente sconcertata da tanta aggressività” .
Per tentare di rompere il silenzio “sull’episodio”, ampiamente e spontaneamente diffuso tanto fra i numerosi tutori di principi antichi, quanto fra quelli di prìncipi nuovi, potrebbe tentare una qualche connessione, come dire, politico-culturale, fra il suo presente e il suo passato: magari qualche spiegazione la trova.