Dopo aver letto decine di articoli e post oltraggiati mi sono deciso a cercarla e guardarla, la vignetta di Charlie Hebdo sul terremoto. E dove sarebbe l’oltraggio? La vignetta colpisce dolorosamente, come deve fare la satira, un evidente e tragico difetto italiano: l’incuria per il territorio, il nostro disinteresse per la vita dei cittadini ordinari (per intenderci, quelli che non vanno in vacanza a Capalbio o sulla Costa Smeralda) e per uno straordinario patrimonio culturale, che non è solo il Colosseo, il Canal Grande o gli Uffizi, come credono i promotori della disneyficazione del paese, ma i tantissimi borghi sparsi ovunque, anche al di fuori delle rotte del turismo di massa e anche in zone ad alto rischio sismico. La realtà è che (all’estero lo hanno notato tutti) in uno dei paesi più sviluppati e benestanti dell’Occidente una scossa relativamente debole non può fare tanti danni, non dopo che da tempo si hanno mappe dettagliate della pericolosità sismica e dunque si sa che altri terremoti inevitabilmente colpiranno l’Appennino per via dell’attrito generato dalla rotazione dei blocchi geologici.
Per cui, invece di turbarci davanti alle telecamere o alle televisioni solo dopo una catastrofe e nel resto dell’anno far finta di niente o affidarci allo Stellone, bisognerebbe smetterla di sprecare risorse per kermesse tipo l’Expo e indirizzarle alla messa in sicurezza (diciamo in un decennio o due) di tutti gli edifici delle zone a rischio; cominciando inoltre a costruire o riscostruire, ovunque, solo con criteri rigorosamente antisismici, come in Giappone o in California o in Cile; impiccando poi alle macerie della case che ugualmente crollassero i mafiosi che per profitto avessero usato materiali inadeguati e i politici che li proteggono e i giornalisti al servizio di quei politici.
Non si può prevenire ogni calamità e di disastri naturali ne avverranno sempre; però un terremoto di quella intensità, oggi, non dovrebbe causare vittime né radere al suolo intere località, Charlie Hebdo ha ragione. Invece ci si è affrettati a sviare la denuncia, a trasformarla in una questione di orgoglio nazionalista da due soldi, del tipo “voi fatevi i cazzi vostri”, fino a qualche giorno fa alimentato dalle Olimpiadi e prima dagli Europei, a far scordare il rapido svilimento della lingua italiana a favore di un inglese d’accatto (fertility day, jobs act, spending review, authority, stepchild adoption, e ieri leggevo di due climbers altoatesini morti in montagna, mica alpinisti o arrampicatori o scalatori) e la sistematica svendita di imprese e negozi a multinazionali straniere. L’opinione che all’estero hanno dell’Italia è in genere esageratamente positiva: se ogni tanto ci criticano è perché di macroscopici problemi ne abbiamo, eccome. Anche gli altri, ma qui stiamo parlando dei nostri. Ignorare i rimproveri con la scusa (un tempo tipica dei cattolici e democristiani, oggi dei piddini) che le tragedie impongano silenzio e rispetto, non importa se al prezzo di provocarne ancora, è patetico, peggio, criminale.
Smettetela dunque di sprecare empatia e indignazione a telecomando, smettetela di farvi lavare il cervello dai media di regime, secondo i quali basta il labbruccio all’ingiù del presidente del consiglio e la solita retorica delle promesse e delle lodevoli intenzioni per cancellare anni di sprechi, di corruzione, di incapacità, di inadempienze. Il fatto che in così tanti si siano commossi, sinceramente, ma senza poi sentire il bisogno di scendere in piazza, di ribellarsi, dimostra che gli italiani sono ben al di là della pacata discussione sulle cause e sui rimedi. Servono provocazioni, che non fanno ridere ma neppure consolano, anche alla Charlie Hebdo.
Quanto allo stile, Charlie Hebdo chiaramente non sa cosa sia. Ma neppure lo sanno coloro che si sono inventati la carità all’amatriciana, facile bersaglio della satira francese, e i tanti che li hanno applauditi: un euro a piatto di spaghetti, ma cosa sarebbe, un’autosterotipizzazione?