Precisa ma soprattutto antica come il boomerang del Capitano Cook, la campagna a favore del Fertility Day voluta del governo rischia di incattivire gli elettori e soprattutto le elettrici alla vigilia di un delicato referendum. Sui social italiani è scattata la rivolta contro la campagna a supporto della fantomatica giornata della fertilità, prevista per il 22 settembre e liquidata come “una minaccia” dai più spiritosi. Ma chi non aveva nessuna voglia di scherzare (la maggioranza, in questo momento in Italia) ha subito bollato la campagna come discriminatoria, ottusa e poco sensibile. Capace di riunire nelle critiche i rappresentanti di tutte le forze politiche (un record) e che definire antistorica è davvero generoso.
Le immagini, a volte infantili, a volte solo grottesche, dovrebbero informare – ma in verità non lo fanno per niente – sul tema della fertilità una nazione che non fa più figli non perché detesti i bambini, ma per evidenti problemi economici e sociali. Si va dalla più classica cicogna, che non vedevamo più da tempo nemmeno nelle fiabe, all’inquietante fratellino mai nato di un triste figlio unico, che lo indica con rabbia, colpevole lui di cosa non sapremo mai. E quasi non si può credere all’immagine della donna con una clessidra in mano, a cui sta scadendo il tempo, tanto per infondere un po’ di tranquillità. Tanto l’ansia non è mica uno dei primi nemici della fertilità.
In molti hanno ricordato gli anni del fascismo, gli inviti ad allargare la famiglia per la Patria con manifesti che non erano troppo più antiquati di questi, ma almeno avevano il fascino della grafica futurista. Qui non c’è nemmeno questo. Perché se sui princìpi la campagna è molto discutibile, dal punto di vista della comunicazione è un completo fallimento. In primo luogo perché rinuncia a spiegare (eppure avrebbe potuto tranquillamente farlo) cosa significhi oggi ricercare e favorire la fertilità, ammesso che lo si voglia; in tutto il mondo le campagne dei ministeri della salute sono serie, fanno pensare, informano, sono intelligenti e trattano con intelligenza i cittadini. Qui c’è solo un hashtag, e delle immagini naif scelte in cinque minuti da un grafico navigando sui siti di banche immagini. In Italia da troppo tempo le campagne di Public Awareness subiscono questo trattamento. Sono spesso autoprodotte, si reggono su facili giochi di parole, ma su nessun vero insight, nessuna vera idea. La stessa cosa accade per la campagna a favore dei preservativi, in onda proprio in questi giorni, e che non possiamo raccontare perché non c’è niente da raccontare.

Mai nessuna molla che faccia ascoltare la voglia di cambiare comportamento, o di assecondarne uno particolarmente sensato.
Tornano in mente le immagini della campagna danese di un paio di anni fa, che invitava i cittadini ad andarsene, viaggiare, rilassarsi e fare tanto sesso, al fine appunto di procreare di più. La stessa spensieratezza della clessidra, non trovate?
Ma non devono essere solo le donne a sentirsi offese da questa iniziativa. Il cittadino italiano che nel 2016 si vede proposta l’immagine della cicogna con invito a “darsi una mossa” può ragionevolmente credere di essere finito in un brutto sogno, quello del suo paese che viaggia con la retromarcia inserita. Questa brutta cosa succede sempre più spesso nelle campagne di interesse pubblico gestite dallo stato, finanziate poco e male, e gestite ancora peggio. Negli Stati Uniti si spendono milioni di euro per commissionare campagne di Public Awareness, spesso anche molto belle: qui si conta sugli spazi statali gratuiti ed evidentemente su grafici interni. Se davvero lo Stato ha a cuore i suoi cittadini, dovrà presto cambiare passo anche su come intende gestire tutta la comunicazione di pubblica utilità.