Accadono, in Italia, cose che probabilmente non accadono in nessun altro paese. La giustizia e i possibili rimedi, le riforme, per esempio. Che se ne parli e se ne discuta, è certamente un bene; che ne vogliamo e possano parlare anche i magistrati, e cioè quei funzionari dello Stato che per mestiere hanno poi il compito di applicare quelle leggi, quelle riforme, ci si può stare, anche se è un po’ strano, dinosauro come sono, per me vale l’aurea regola di Piero Calamandrei: il magistrato parla con le sue sentenze; ma il diritto di esprimere un’opinione non va negato a nessuno, e dunque parlino, scrivano, dicano come meglio ritengono. Che pretendano di esser loro a confezionare le leggi, o di bloccarle, ecco: questo è un po’ troppo; ma non bisogna lamentarsi delle loro “invasioni di campo”. Colpa e responsabilità è della politica e chi politica dice fare, che tollera e accetta queste “invasioni”. Ma così è, anche se non piace.
Giovedì scorso da queste colonne si è parlato del caso del clochard che ruba wurstel e formaggio per quattro euro e viene assolto; ma dopo ben tre processi costati alla collettività almeno diecimila volte tanto, e visto impegnati almeno quindici magistrati per più di un lustro. “Dura lex, sed lex” è un bel dire, ma qui la “lex” è solo un contraddire ogni tipo di logica e convenienza.
Che non sia qualcosa di episodico (e comunque la smentita contraddice la regola, non la conferma), è dato da un altro paio di storie.
La prima è questa. C’è un ambulante di Martina Franca, vicino Taranto che ha una grave colpa: la colpa di avere in mano una schedina vincente del Totocalcio. Una schedina giocata il 1 novembre del 1981: 800 milioni di vecchie lire, quasi due milioni di euro. La schedina è dichiarata autentica. Che si fa, in questi casi? Si paga, al massimo si dilaziona in comode rate. Coni e Ministero delle Finanze nicchiano. Finora non hanno sborsato un euro. Dicono che nell’archivio del Totocalcio non si riesce a trovare la matrice della scheda giocata. La storia va avanti dal 1981. Il vincitore era pure disposto a una transazione, per chiudere la faccenda: cinque milioni di euro, tenendo conto anche della rivalutazione della vincita e delle spese legali sostenute. Niente da fare, offerta respinta. La causa va avanti. Il tribunale di Roma ha fissato l’udienza per il prossimo 27 ottobre. Trentasei anni per stabilire se un signore che ha giocato al Totocalcio deve o no intascare i soldi che sostiene di aver vinto.
Seconda storia. I carabinieri a Roma arrestano in pompa magna un attore, il nome è su tutti i giornali, ma non intendo comunque farlo per un fatto di principio. La colpa di questo signore è di aver coltivato delle piantine di marijuana per uso personale. Terapeutico o ludico, poco importa, comunque non è uno spacciatore. Lo arrestano, trascorre una notte in caserma, viene poi condannato a quattro mesi di carcere, con sospensione della pena, come da richiesta del Pubblico Ministero. In cucina gli hanno trovato due piccole serre, con nove piantine. Come spacciatore non si direbbe granché.
L’8 febbraio scorso la procura di Roma ha archiviato l’inchiesta a carico di un’esponente del Partito Radicale, Rita Bernardini. Le erano state sequestrate 56 piantine di marijuana, amorevolmente coltivate nel terrazzo di casa sua, assieme ad altri due leader radicali Marco Pannella e a Laura Arconti. I tre non “fumano”, non spacciano. Semplicemente e ostentatamente praticavano un’azione di disobbedienza civile: violavano con coscienza la legge, chiedevano di essere processati, e nel processo contavano di far esplodere le contraddizioni di una legge antidroga che considerano sbagliata e dannosa. Senza qui entrare nel merito, mi limito a raccontare che la coltivazione delle piantine per settimane, mesi, è stata immortalata sui social network: una sorta di diario della loro crescita, oltre a una rivendicata, consapevole, autentica, concreta azione politica.
Pochi giorni dopo il sequestro il Pubblico Ministero chiede al Giudice per le Indagini Preliminari l’archiviazione del procedimento: “Ai fini della rilevanza penale”, si legge nella motivazione, “occorre ravvisare in concreto l’inoffensività della condotta. Nel caso di specie occorre considerare che gli arbusti rinvenuti nell’abitazione dell’indagata, seppure in numero di 56, sono di piccole dimensioni (40 di circa 30 centimetri di altezza e 16 di circa 12 centimetri), piantati in modeste quantità di terriccio contenuto in buste di stoffa e custoditi in un terrazzo con esposizione a condizioni climatiche sfavorevoli”. Si aggiunge poi che “in assenza di accorgimenti mirati e di specifiche modalità di coltivazione le piantine non avrebbero potuto mantenersi e crescere fino a produrre quantità di principio attivo tale da superare la soglia dell’offensività. Tanto che dalle numerose piante sequestrate è stato rilevato un esiguo quantitativo di principio attivo, pari a soli 0,468 grammi”. Tesi accolta, caso archiviato.
Da fumatore di nulla e non andando oltre allo “sballo” che può procurare una birra non so, niente di principi attivi, soglie di offensività e di accorgimenti più o meno favorevoli. Mi limito a osservare che le 56 piantine sequestrate a Bernardini erano 40 di 30 centimetri e 16 di 12. Le nove sequestrate all’attore variavano dai 10 ai 70 centimetri. Mi pare che si sia più o meno in identiche fattispecie.
Bernardini archiviata; l’attore, sia pure con pena sospesa, condannato a quattro mesi e comunque una notte in caserma.
Non commento, che si potrebbe incorrere nei reati di diffamazione, ingiuria e turpiloquio. Mi limito ad augurare buona giornata; e con un simile modo di amministrare la giustizia, davvero: buona fortuna.