La visita a Roma del presidente iraniano Hassan Rouhani, la prima in Occidente dalla rimozione delle sanzioni seguita alla firma del trattato per il controllo del programma nucleare di Teheran, è risultata significativa per la nostra politica estera sul piano economico e politico. Per le ragioni che si esamineranno, è stata anche occasione di riflessioni sui piani etico, culturale e delle libertà umane.
Dalla due giorni iraniana a Roma, l’economia italiana si riprometteva molto: posso darne testimonianza diretta, avendo preso parte al business forum bilaterale organizzato da Confindustria e ICE, presenti i ministri degli esteri e il presidente iraniano. Puntavamo a riportare a livello (prima delle sanzioni l’interscambio bilaterale arrivava a 7 miliardi di euro; lo scorso anno a 1,5) i rapporti commerciali e d’investimento con un paese che, storicamente, ci ha eletto a partner privilegiato (secondo in Europa dopo la Germania), apprezzando i prodotti e le imprese che esprimiamo. Si è calcolato che nel complesso il rapporto con Teheran potrebbe significare tra l’1 e il 2 per cento del nostro prodotto interno lordo.
Secondo il Financial Times, da Rouhani abbiamo incassato accordi economici per 17 miliardi di dollari. Dalle fonti ufficiali risulta la firma di accordi preliminari, per un valore intorno ai 5 miliardi di euro, con Danieli, gruppo siderurgico, e Fata, società che progetta impianti industriali. C’è un accordo su sicurezza e attività antincendio portuali con Friuli Venezia Giulia con annesso gemellaggio tra Trieste e un porto iraniano. Segue il lungo elenco di memorandum e accordi quadro, riguardanti agricoltura, minerario, energetico, infrastrutture, ferrovie e alta velocità, farmaci e apparecchiature sanitarie, salute e formazione medica. Sono i settori sui quali Rouhani ha battuto nel discorso al forum, offrendo il quadro di un paese che riprende il cammino e si apre alla collaborazione con il mondo, vendendo gas e petrolio, comprando tecnologie e macchinari, allargando i consumi, chiamando investimenti esteri. Ci sono comparti, come i trasporti, che le sanzioni hanno fiaccato, imponendo la cronica indisponibilità di pezzi di ricambio e l’esclusione dall’aggiornamento tecnologico: devono riprendersi. Rouhani ha anche insistito sul valore della cultura, rivendicando per il suo paese l’alto livello di scolarizzazione e preparazione accademica e ragionando di progetti bilaterali di cooperazione culturale e universitaria, inclusa la fiera del libro di Teheran del 2017, dedicata all’Italia.
Sul piano politico, Rouhani doveva ripulire l’immagine del regime che rappresenta, e vendere l’Iran come “il più stabile paese della regione”, qualifica indispensabile all’attrazione di investimenti esteri (si calcola un bisogno superiore a 50 miliardi di euro/anno). Nel discorso al forum si è speso come uomo di pace e dialogo, parlando da credente nel “Dio clemente e misericordioso” dell’islam. Anticipava l’immagine che avrebbe proposto nell’incontro con papa Francesco, arrivando a chiedere le sue preghiere. Rouhani ha dichiarato al forum che l’Iran “non intende invadere nessun paese, né interferire negli affari interni di nessun paese”. Ha detto che occorre promuovere “sviluppo e occupazione” che sono “le vere armi contro il terrorismo”, chiedendo, una volta risolte le questioni dello sviluppo, di dedicarsi “insieme” allo “sviluppo culturale”, essendo “la cultura strumento principe di consapevolezza per un futuro di pace duratura”. Peccato non abbia spiegato come tutto ciò si concili con il sostegno a Hezbollah, la presenza nei teatri siriano e yemenita, la pace armata con l’Arabia Saudita, lo sviluppo del nucleare che ha costretto la comunità internazionale al boicottaggio decennale di Tehran, l’esigenza più volte ribadita di cancellare Israele, il supporto alle campagne che negano la Shoah.
Sempre nel discorso alla comunità d’affari, il presidente iraniano ha fatto qualche battuta sulla questione religiosa, affermando che “la religione insegna sopportazione e tolleranza”. Il suo consiglio è che “dove ci sono distanze e differenziazioni, ciascuno segua il dettato della propria religione”. Ovvero “si ascoltino tutte le opinioni e poi si attui la propria scelta”. Una scelta che non deve suonare aggressiva verso altre fedi, perché “il profeta ha insegnato di non permettere che chiese, sinagoghe, moschee siano danneggiate”. Nella sua esegesi, Rouhani ha tenuto a precisare la successione del precetto coranico: prima le chiese e le sinagoghe, dunque.
Fin qui la cronaca. Si può reagire col sorriso o il disgusto alla distanza siderale che intercorre tra certe affermazioni e dati come le mille esecuzioni capitali effettuate in Iran lo scorso anno, la tortura come strumento corrente di indagine di polizia, la censura onnipresente, le squadre di “guardiani” del pudore che asfissiano la vita e l’etica personale sin nel privato. Sul piano politico non cambia il dato che rende l’Iran del dopo-sanzioni (ma non si sottovaluti il fatto che USA e Francia si stiano muovendo per nuove sanzioni per il programma iraniano di riarmo missilistico) elemento necessario per la pacificazione di Golfo e Medio oriente, e per la lotta contro Daesh.
E neppure cambia il dato che, con l’attuale presidente, Teheran provi a far quadrare la natura del regime garantita dalla guida suprema religiosa, con il bisogno di allentare le maglie repressive e rilanciare lo sviluppo. In quest’ambito non è un buon segnale l’esclusione, lunedì, del quarantatreenne nipote dell’ayatollah Khomeini, insieme a molte centinaia di altri moderati, dalla candidatura a membri dell’Assemblea degli Esperti, l’organo che elegge la Guida suprema della rivoluzione (un religioso sciita). La settimana prima, circa 7.000 candidati alle elezioni del prossimo mese per il parlamento, avevano subito la stessa sorte, ad opera del Consiglio dei guardiani. Sono segnali che gettano interrogativi sul futuro dello stesso Rouhani.
È in questo contesto che vanno inserite le risibili questioni della copertura dei nudi ai musei Capitolini e della prospettiva del duo Renzi Rouhani sulla statua equestre di Marco Aurelio. Un’amica iraniana mi ha fatto osservare che gli antiriformisti avrebbero volentieri utilizzato contro il presidente una foto che lo ritraesse accanto alla rappresentazione del nudo intimo, umano o animale poco importa, e che solo chi ignora il drammatico rapporto tra islam e rappresentazione figurativa può non comprendere l’accaduto. L’argomento ad eventuale discarico di Rouhani, non assolverebbe comunque lo sprovveduto zelo delle autorità italiane preposte. Ovviamente.