Sequestrato, strangolato, il corpo sciolto nell’acido. Atroce, la storia di Giuseppe Di Matteo, 12 anni, il bambino palermitano che “amava i cavalli”. Giuseppe paga la colpa di essere il figlio di un mafioso che collabora con la giustizia.
E’ la sera dell’11 gennaio 1996 quando Giovanni Brusca, il mafioso che ha sulla coscienza Giovanni Falcone e Rocco Chinnici, che nel suo ambiente chiamano “il porco”, u verru, ma anche, per la sua ferocia, scannacristiani, apprende di essere stato condannato all’ergastolo. Reagisce ordinando l’omicidio del ragazzino, rapito tre anni prima, e tenuto legato a una catena, e ridotto ormai ad una larva.

Giuseppe viene rapito il 23 novembre 1993: tre o quattro mafiosi travestiti da agenti della Dia lo rapiscono da un maneggio di Villabate, facendogli credere che lo porteranno dal padre. Il calvario comincia così. I rapitori recapitano un biglietto, “tappaci la bocca”: chiaro messaggio per il padre Santino, che sta rivelando, per salvarsi, i segreti delle stragi mafiose. Santino continua a parlare, e i mafiosi sono condannati; Giuseppe viene ucciso per vendetta.
Con questo delitto, si è detto, la mafia viola una delle sue leggi non scritte: che non si toccano le donne e i bambini. Un falso clamoroso, quella legge non c’è mai stata. Tante sono le donne e i bambini uccisi dalle cosche mafiose e criminali; e per fare qualche esempio: Giuseppe Letizia, il pastorello testimone del delitto del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso nel 1948 da Luciano Liggio; e poi Paolino Riccobono, ucciso nel gennaio del 1961 a Palermo, vittima di una faida da due cosche avversarie; e ancora: Annalisa Durante, Valentina Terracciano, Domenico Gabriele, Nicola Campolongo, tre anni, il cui corpo viene bruciato assieme a quello del nonno; e altri casi si potrebbero citare, che tante volte i bambini sono stati vittime innocenti di vendette e faide.
Le mafie hanno sempre ucciso quando lo ritenevano necessario per i loro interessi e si vedevano minacciate, senza preoccuparsi dell’età e del sesso della vittima. Come vent’anni fa è accaduto per Giuseppe Di Matteo, 12 anni, colpevole di essere figlio di un pentito, strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia e agonia.