Si chiama “operazione Entourage”: tre persone in carcerazione preventiva (qui si preferisce il lessico del Codice Rocco, molto più schietto e limpido, rispetto alla politically correct “custodia cautelare”) e dodici sottoposte ad indagine. E uno pensa che la parola “entourage” sia stata pensata per i magistrati del Tribunale di Palermo, Sezione di Misure di Prevenzione, sospettati circa un mese fa di avere affidato, secondo criteri di favore, le amministrazioni giudiziarie delle aziende sequestrate o confiscate in ambito mafioso. Lì si stanno investigando parcelle per vari milioni di euro, pagate nel corso di oltre dieci anni. E poichè le persone coinvolte sono strette da vincoli di parentela o di coniugio, e si procede per corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio, ecco che quella parola sembrava pensata per un caso con queste caratteristiche. E invece no. Meno male, perché qui si è contrari, per principio, nonché all’abuso, allo stesso uso degli strumenti d’indagine coercitivi.
Però l’operazione “entourage” alcune persone in galera, purtroppo, le ha chiuse lo stesso. Si tratta del Vice-presidente della Regione Lombardia, Mario Mantovani, di un suo collaboratore e di un’altra persona. Secondo gli atti d’indagine depositati in edicola, i sospetti avrebbero alterato il regolare corso di alcuni appalti nel settore sanitario, “in cambio di lavori gratis nelle case, sue o di familiari”.
Conseguenze: a Milano richieste, di varia intensità, ma tutte convergenti in direzione delle dimissioni di Roberto Maroni, Presidente della Giunta lombarda; anche perché una delle persone sottoposte ad indagine, l’Assessore regionale al Bilancio, Massimo Garavaglia, è un suo diretto collaboratore. A Palermo, hanno cambiato ufficio, forse piano, ma resta lo stesso stipendio, la stessa immutabile carriera. Si sospetta che nella Sezione Misure di Prevenzione abbiano usato i provvedimenti giudiziari di loro competenza per trescare, ma possono tranquillamente emettere altri provvedimenti giudiziari secondo una nuova competenza. Perché, che male c’è?
D’accordo: la galera no, per carità; ma il licenziamento? Tuttavia il CSM “ha aperto un fascicolo”: dunque possiamo stare tranquilli.
Circa vent’anni fa, Giuseppe Buzzanca, da Presidente della Provincia di Messina, andò in viaggio di nozze; a Bari si imbarca per una crociera. Da casa all’imbarcadero decide di usare l’auto di servizio. Condannato per peculato d’uso, un reato lieve: si usa una cosa che non si deve usare, e subito dopo la si restituisce: altrimenti, se la restituzione non è immediata, il reato è il peculato propriamente detto, molto più grave. Reato lieve, ma sempre reato. Giusto. Restituisce 100.000 lire, più o meno l’equivalente del costo del carburante, ma “il vulnus” ovviamente rimane. Condanna. Otto anni dopo, visto che il reato era lieve, si candida a Sindaco e viene eletto. Passa qualche mese, e viene dichiarato decaduto, per quella condanna. La questione è controversa, tanto vero che sulla decadenza si consumano tre gradi di giudizio, serrate interpretazioni ma, alla fine, la decadenza è confermata dalla Corte di Cassazione. Esito rigoroso, ma giusto. Non bisogna compromettere la fiducia di chi ci affida un bene pubblico. Un paio di anni fa, la moglie, già sposina in crociera, è stata sottoposta agli arresti domiciliari, coinvolta in una vicenda di corsi di formazione che si sostiene fossero malamente illegittimi. Si vedrà. In ogni caso, si è poi riconosciuto che non doveva essere arrestata, perché non ce n’erano le ragioni. Dopo sette mesi.
Qualche giorno fa il Sindaco di Roma si è dimesso. Bravo, scarso, qui non interessa.
Qui interessa rilevare che, per fortuna, cena e bottiglia di vino, equivalenti grosso modo ai due pieni di benzina, non hanno dato luogo ad alcuna ipotesi di reato. Meno male: perchè qui, oltre ad essere contrari, per principio, alle indagini coercitive, si è pure contrari al potere di questo Ordine Giudiziario tutto, così come si è andato costituendo e organizzando nel corso di Prima e Seconda Repubblica. Perciò, meno agiscono, meglio è.
Infatti, ci sono molti modi di offendere la giustizia. Ma il peggiore è quello di trattare in modo diseguale situazioni uguali. Ed anzi, nel caso dei magistrati di Palermo e affini, del loro “entourage”, le cifre in gioco sono assai più cospicue rispetto a quelle di Milano. Se si considera, come si dovrebbe, che, certo, le parcelle sono già da sole molto rilevanti. Ma nulla al confronto dei patrimoni e dei fatturati, decine di milioni di euro in una stima prudente, gestiti e ridotti (o persino liquidati) nel corso di alcune amministrazioni giudiziarie.
Sicché, alla luce di questo principio di uguaglianza, meno agiscono, meglio è. Se agiscono, rasentano l’arbitrio; se non agiscono, pure.
Tuttavia le cose andranno in modo diverso. Perciò prepariamoci a godere quello che il Gruppo Espresso-Repubblica e il Fatto Quotidiano decideranno debba essere lo spettacolo della giustizia (minuscolo, ovviamente) in Italia. Buon divertimento.