Ma come si può neanche pensare che papa Francesco sia una persona che non conosce l’educazione? Come gli si è potuto chiedere se abbia invitato lui il sindaco di Roma Marino a Philadelphia? Non è mica casa sua. Però non occorreva che il papa lo sottolineasse in tono inviperito con quel “Chiaro?”, aggiungendo che l’aveva chiesto pure agli organizzatori e loro avevano negato. Ci dev’essere dell’altro sotto tanta acrimonia papale. Uno che si sente al di sopra delle parti, che sta più in cielo che in terra, che confida che la sua anima sia immortale, non dovrebbe aver timore di cosa pensano i potenti della terra né essere infastidito di dover spartire il trono della città eterna. Ma si sa, nemmeno i gemelli Romolo e Remo, nutriti dalla stessa lupa, si misero d’accordo sul regno di Roma.
Il povero Marino, disprezzato dalla sinistra che l’ha candidato ma di cui non ha mai fatto gerarchicamente parte (colpa grave), si è giustificato dicendo che era stato invitato a giugno dal sindaco e dal vescovo di Philadelphia. Non ha capito che dopo tutto quello che è venuto alla luce durante la sua amministrazione della capitale del mondo, non è più un ospite gradito da nessuna parte. Certo, ha ereditato una burocrazia corrotta e disorganizzata, ma invece di prendere il toro per le corna, ha pensato di prendere l’ennesimo aereo per andare in vacanza. E non capisce perché Renzi se lo possa permettere e lui no. Però tutto ciò al papa non dovrebbe importare un fico secco, visto che lui è impegnato in più nobili pensieri, come la pace e l’accoglienza degli immigrati musulmani, tutti buoni e tutti fratelli. Fino a prova contraria. Ma il papa non ci pensa proprio, il papa non ha paura. Renzi invece sì, perché ierlaltro ha dichiarato: “Il problema dell’immigrazione non è l’organizzazione, è la paura che dobbiamo prendere sul serio se vogliamo che sia sconfitta”. Complimenti a Renzi, che si sta acculturando sul serio: deve aver letto l’ultimo libro di Vittorio Feltri: Non abbiamo abbastanza paura. Noi e l’islam (Mondadori). Feltri è uno che il Corano se l’è letto e studiato, sa che dove c’è un musulmano c’è islam e dove c’è islam c’è Allah. Ma il papa non ha paura dell’avvento del regno di Allah. Non teme che i rifugiati fra non molti anni diventino maggioranza e, nella migliore delle ipotesi, ci facciano migrare, se non ci sgozzeranno prima.
Ci siamo già dimenticati che cosa ha fatto il cattolicissimo impero austro-ungarico nell’Ottocento ai cattolici italiani? Ha spostato intere comunità serbe, croate e bosniache sulle coste orientali dell’Adriatico per mettere la popolazione italiana in minoranza e costringerla a migrare per mancanza di lavoro. Poi, un secolo dopo, Tito ha completato l’opera: chi non è morto, è scappato dall’Istria e dalla Dalmazia. Ora in Dalmazia, su cui sventola la bandiera croata, temono l’arrivo di 100 mila profughi perché snaturerebbe la loro etnia. Embè? In verità dalmata non è più. È la nemesi storica. Né ci sarà un leone di San Marco a difenderla. Il leone era l’emblema del coraggio dei popoli della Serenissima che per secoli hanno fermato combattendo gli invasori turchi. E meno male che c’erano mura e non ponti, tanto cari al papa. E meno male che all’epoca i vescovi non disdegnavano di impugnare la spada e morire per difendere la propria comunità. Perché se non hai comunità, non hai credo e se non preghi non esiste un dio.
Quello che nell’immediato preme al papa non sono i migranti che premono alle porte della Chiesa, ma la perdita del potere spirituale di Roma finita nelle mani di zingari mafiosi che hanno inneggiato il defunto Casamonica come un dio in terra: “Hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso”. Facile però dare la colpa al sindaco Marino, quando lo Stato è assente. Che non ha ravvisato in tali parole il reato di vilipendio alla nazione e alla religione né l’apologia di reato per aver celebrato un funerale sulle note musicali del film “Il padrino”. Reati ormai sanzionati solo con pene pecuniarie, ma chi rischia la propria incolumità per sanzionare dei nomadi delinquenti? Tanto ci sono tanti cittadini innocui da vessare.