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May 13, 2015
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Migranti e richiedenti asilo: perché non fare in Sicilia quello che fanno a Trieste?

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Foto: difesapopolo.it

Foto: difesapopolo.it

Time: 4 mins read

Ragionando sui numeri di Trieste, in Sicilia il problema di dove sistemare i migranti che arrivano con i barconi non si dovrebbe neppure porre. A Trieste, a differenza di quanto avviene nel resto del nostro Paese – e, soprattutto, a differenza di quanto avviene in Sicilia – le autorità locali hanno sperimentato con successo la cosiddetta accoglienza diffusa. Niente casermoni – tipo Cara di Mineo – dove, di fatto, i migranti vengono tenuti quasi come prigionieri. E niente speculatori. Molto più semplicemente, ogni quattro-cinque richiedenti asilo prendono in affitto un appartamento. I soldi non mancano, se è vero che il nostro Stato assicura ad ognuna di queste persone 45 euro al giorno. Con 5 euro al giorno prendono in affitto una casa e con il resto dei soldi vivono. Punto.

Quanto fatto a Trieste può sembrare ovvio. Solo che lì lo fanno e nel resto d’Italia si va avanti tra confusione e speculazioni di ogni genere. Per la Sicilia questa potrebbe essere una soluzione valida. Ripetiamo: i soldi non mancano. Il sistema Spra (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) garantisce 45 euro al giorno ad ognuna di queste persone. Certo, molti dei migranti sbarcano in Sicilia per poi attraversare l’Italia e tentare la fortuna in altri Paesi europei. L’Europa più o meno unita dovrebbe finalmente cominciare a fare qualcosa per i migranti, o almeno così sembrerebbe. Ma è bene, per noi siciliani, non crearci troppo illusioni: perché da un’Unione europea che non ha una propria politica estera non c’è da aspettarsi molto.

I primi segnali, del resto, non sono confortanti: in Italia ogni Regione dovrebbe creare un centro per accogliere i migranti che poi dovrebbero essere smistati negli altri Paesi europei con tutta una serie di prescrizioni peraltro ancora da definire. Insomma, ce n’è quanto basta per capire che, per quest’anno, l’Italia dovrà fare da sola. E dovrà fare da sola la Sicilia dove sbarca il 90 per cento dei migranti che arrivano nel nostro Paese.

La soluzione che Trieste ha adottato potrebbe risolvere un sacco di problemi anche nell'Isola. Nelle aree costiere e snche nelle aree interne. Nelle grandi e medie città siciliane che si affacciano sul mare l’applicazione di questo sistema potrebbe sbloccare e rilanciare il mercato degli affitti delle abitazioni. Oggi, è inutile girarci attorno, affittare una casa è un problema, soprattutto per chi la deve dare in affitto. Questo perché, con la povertà che c’è in giro in Sicilia, sette volte su dieci, o giù di lì, dopo il quarto o quinto mese, chi prende in affitto una casa non paga più. E grazie alle attuali leggi italiane, che tutelano comunque gli inquilini, rimane lì fino a quando non viene sfrattato (e spesso passano anni). Il risultato è che chi deve affittare una casa, prima di firmare un contratto, ci pensa mille volte.

A Trieste – che comunque rispetto alla media della Sicilia è una città molto più ricca – hanno risolto il problema perché, come già ricordato, ad ogni richiedente asilo lo Stato corrisponde 45 euro al giorno, ovvero circa mille e 300 euro al mese. Con una media di quattro-cinque persone per ogni appartamento affittato, ogni richiedente asilo paga 150-200 euro al mese; chi affitta la casa ha la certezza di ricevere la pigione ogni mese; e ai richiedenti asilo restano in tasca mille euro per vivere. Perché un sistema così semplice e funzionale non dovrebbe essere applicato in Sicilia?

In una città come Palermo, con la certezza di ricevere il pagamento ogni mese, tantissime persone affitterebbero le proprie abitazioni. E lo stesso discorso vale per altre città, grandi e medie, dell’Isola. La ricetta potrebbe funzionare benissimo anche per le aree interne della Sicilia spopolate e, in alcuni casi, abbandonate da decenni. E’ stato calcolato che, nelle aree interne dell’Isola, si contano tantissime abitazioni vuote (almeno un milione). Che senso ha con un patrimonio edilizio non utilizzato andare a costruire centri di ricovero – spendendo, peraltro un sacco di soldi – dando vita a quelli che, in fondo, non sono altro che lager tipo il Cara di Mineo?

Un’opzione di questo tipo sortirebbe effetti benefici per tutta l’economia siciliana. Intanto questi richiedenti asilo, come già accennato, rilancerebbero il mercato degli affitti, fornendo nuovo reddito alle famiglie siciliane: cosa, questa, che farebbe aumentare i consumi risollevando l’economia. Non solo. I richiedenti asilo diventerebbero, di fatto, cittadini siciliani. Ognuno di loro, come già ricordato, avrebbe a disposizione un reddito di circa mille euro al mese che verrebbe speso, in buona parte, in Sicilia: altro effetto positivo sui consumi e, in generale, sull’economia siciliana.

Di più: si tratta di persone che arrivano da mondi diversi che porterebbero in Sicilia i loro usi e le loro tradizioni, con effetti positivi, ad esempio, sulle attività artigianali e, in generale, sulla cultura. Insomma: se il sistema Spra esiste, perché non utilizzarlo in modo intelligente come stanno facendo a Trieste? Questo eliminerebbe, alla radice, ogni forma di intolleranza, a tratti anche razzista, che, purtroppo, anche in Sicilia sta prendendo piede. Dovuta non al carattere dei siciliani, ma alla cattiva amministrazione della cosa pubblica.

A Palermo, ad esempio, da qualche anno a questa parte si fomenta l’intolleranza e il razzismo. Quando l’amministrazione comunale tollera centinaia di ambulanti abusivi e, contemporaneamente, per fare ‘cassa’, multa a ripetizione i commercianti che pagano le tasse (ancora per poco, se continua così) perché tengono fuori un tavolo in più, beh, alla fine è normale che un palermitano cominci a mal sopportare gli ambulanti abusivi. E non c'è da stupirsi – considerato che le bancarelle degli abusivi operano a pochi metri dai titolari degli esercizi commerciali cittadini tartassati dal Comune – che cresca l'intolleranza.  

 

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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