Devo delle scuse ai lettori de La VOCE di New York, e naturalmente a Stefano, il direttore; e a tutte le amiche e gli amici che con lui hanno reso “La VOCE” una realtà e un luogo dove liberamente ognuno di noi può esprimersi. Poi naturalmente, facendo ciambelle capita che qualcuna non abbia il proverbiale buco. L’importante è che la ciambella imperfetta sia stata fatta senza un fine “altro”: che nel momento in cui si “impastava” (cioè si raccontava un fatto), quel fatto, quella notizia la si credesse vera, autentica; nel giornalismo funziona così: si racconta la verità del momento, quella che in quel momento si crede sia la verità. Poi capita di sbagliare. Ed è la storia di uno sbaglio, quella che ora si racconta.
Nello “Sciascianamente” del 21 aprile si racconta di un novantesettenne di Reggio Calabria, al quale si sarebbe negata la pensione di invalidità per un tecnicismo; il signore, ritendo di essere dalla parte della ragione e di aver invece subito un torto, fa ricorso, e la Corte di Appello fissa l’udienza per il 2018. Considerando i 97 anni, l’udienza postulava una buona dose di ottimismo: perché è vero che la scienza fa passi da gigante, ma arrivare a cent’anni non è ancora cosa frequente. Insomma, una sorta di beffa. Agenzie di stampa hanno diffuso la notizia. Nell’articolo viene citata l’agenzia “Italia”, che alla vicenda ha dedicato due lanci; ma lo hanno fatto anche altre agenzie. Insomma ci siamo cascati in tanti; ma questo vuol dire poco. La notizia è quasi sicuramente falsa. Anzi, togliamolo, il “quasi”; e per primi ce lo fanno presente due lettori, Luca e Patty: segnalano come tutto sia nato da un paio di avvocati che non fanno onore alla loro professione: per “catturare” clienti si sono specializzati nello sfornare periodicamente notizie clamorose ma verosimili, in modo che facciano “notizia”, il loro nome sia ripreso, e clienti in buona fede si affidino a loro. Se non sono dei truffatori poco ci manca. I due lettori (averne di attenti come loro; grazie, grazie davvero!) hanno letto la piccola indagine sul sito del quotidiano torinese “La Stampa”, dove il collega Raphael Zanotti racconta di una sua lodevole indagine:
“…Ci siamo imbattuti in questa bolla mediatica cercando di sapere qualcosa di più del nostro 97enne. Lo studio legal-commerciale citato, però, non ha una sede o un proprio sito. Dei due legali intervenuti con tanto di dichiarazioni, uno – Francesco Conte – non risulta appartenere al foro di Roma. L’altro, Silvia Notaro, invece esiste. Risalire al suo cellulare non è stato facile. Chiamiamo, numero coperto. Risponde. Non appena poniamo qualche domanda, ci stoppa: «Mi scusi, può richiamarmi tra una mezzoretta?». Certo. Richiamiamo. Col cellulare, numero in chiaro. Risponde. «Mi scusi, non so nulla di questa storia. Forse il collega che è citato». Ci dà il numero? «Non lo conosco bene. Forse è un collega con la barba che collabora come me per l’Agitalia. Ma sa, io sono lì da meno di un mese». L’Agitalia esiste. Ha un sito. Ai numeri di telefono, però, non risponde nessuno, così come all’email. La sede di Roma è un negozio di abbigliamento che non c’entra nulla. Approfondiamo. Si scopre così che l’avvocato Notaro e l’avvocato Conte sono una coppia piuttosto attiva mediaticamente per essere due estranei. Il loro studio legal-commerciale compare con una notizia il 4 aprile scorso: una 99enne di Terni ha trovato un certificato di debito pubblico dello Stato del ’56 che oggi varrebbe 177.000 euro. Il 7 aprile è una 40enne originaria di Parma che ha ereditato 5 miliardi di lire ma la Banca d’Italia si rifiuta di cambiarli. Il 14 aprile è la volta di uno spezzino 96enne: avrebbe ereditato un Bot da un milione di euro. Sono solo gli ultimi episodi perché Agitalia sembra una fabbrica sforna bufale. Dal 2013 ne ha inanellate una dietro l’altra. Tutte meritevoli di paginate sui giornali vista la particolarità delle vicende raccontate. Come quella volta che l’associazione avrebbe tutelato una donna che aveva perso il bimbo durante il naufragio della Concordia. O il secondo caso di scambio di embrioni al Pertini di Roma, falso. L’associazione aveva annunciato che avrebbe chiesto danni per un milione di euro. Perché? Secondo l’Aduc, che da tempo segue le gesta di Agitalia, per pubblicità. «Le persone si rivolgono a questi legali che, per prendere in mano la pratica, chiedono un contributo iniziale di 150 euro – spiega Giuseppe D’Orta che ha più volte denunciato le false notizie sul suo canale Investire Informati – Sono legati all’avvocato Giacinto Canzona, a suo tempo pizzicato da Striscia la Notizia e sospeso per un anno dall’ordine. L’Aduc sta seguendo due persone a cui l’avvocato ha chiesto 3000 euro per una causa che non avrebbero mai potuto vincere impostata in quel modo». E il 97enne in attesa di processo? Per ora resta un anonimo”.
Come si dice: chapeau al collega Zanotti. E tu che ci sei cascato, cos’hai da dire, può legittimamente chiedere il direttore, e il lettore della “Voce”?
Posso dire che mi sono fidato, ingenuamente, delle agenzie; che tuttora (a meno di errori, a questo punto non escludo più nulla), né l’INPS né la Corte d’Appello di Reggio Calabria hanno smentito. Eppure a Reggio qualcuno la notizia deve averla letta. Il sito della “Gazzetta del Sud”, giornale calabrese, tutt’ora riporta:
Un caso di giustizia lumaca e beffarda. I familiari hanno citato il Ministero della giustizia per risarcimento danni
22/04/2015
“Giustizia lumaca e anche beffarda. Un signore di 97 anni di età, di Reggio ma residente in provincia di Roma, Carlo M., dovrà aspettare altri tre anni – quindi se avrà la fortuna di festeggiare il secolo di vita – per il processo d’Appello che riguarda la causa intentata contro l'Inps per ottenere la pensione di invalidità (in primo grado non gli è stata riconosciuta). Un’attesa sproporzionata per un Paese normale (anche se ovviamente non è l’unico, né tantomeno l’ultimo caso di rinvii all’infinito) che ha spinto i parenti del 97enne a rivolgersi ad uno studio legale-commerciale per un’azione risarcitoria contro il Ministero della Giustizia. Risale al 2002 la prima azione legale del reggino che confidava nel riconoscimento della pensione di invalidità, proprio quando le sue condizioni di salute erano a tal punto peggiorate da invocare il sussidio economico. Per 13 anni ha accarezzato – con invidiabile pazienza e senso civico – l’idea che un Tribunale gli potesse dare ragione. La speranza è naufragata lo scorso 14 aprile, quando i giudici della Corte d’Appello di Reggio a causa dell’eccessiva mole di lavoro hanno rinviato tutte i processi in ruolo tra il 2017 e il 2018. Per il 97enne Carlo M. il turno sarebbe nel 2018”.
Ma questo lo si dice solo per far comprendere come nel cadere in questa “trappola” si sia stati, come dire?, “aiutati”.
L’aiuto maggiore, caro direttore, cari lettori, sapete da dove viene? Dal fatto che la notizia pur essendo falsa, ha tuttavia il sapore della verità. Perché il caso specifico sarà stato inventato per scopi assai poco commendevoli; ma episodi del genere accadono, nella realtà. E qui racconto una vicenda che non teme smentita, la seguo da anni, in prima persona.
E’ la brutta storia del sangue infetto. E’ uno degli scandali italiani più odiosi: circa ottantamila vittime, molte delle quali morte per le conseguenze derivate dalla commercializzazione dei cosiddetti farmaci emoderivati. Gli imputati per omicidio colposo plurimo sono una decina, ex amministratori di case farmaceutiche, accusati di aver consentito l’uso di sangue appunto infetto.
Tra gli imputati Duilio Poggiolini. Lo ricordate? Era l’ex direttore generale del servizio farmaceutico del ministero della Sanità, soprannominato “il Re Mida della Sanità”, coinvolto anche in una vicenda di tangenti all’epoca di Mani Pulite.
Secondo l’accusa, in sostanza gli imputati avrebbero consentito l’utilizzo di sacche di sangue risultato infetto nonostante una prescrizione dell’Unione Europea a non adoperarle, favorendo così la diffusione di patologie rivelatesi poi letali. La storia comincia alla fine degli anni ’80. Una storia contrassegnata da una sconcertante catena di lentezze e ritardi, un’indagine che comincia a Napoli, poi gli atti passano a Roma, poi a Trento, poi torna a Napoli… incredibile? Aggiungiamo che per un difetto di notifica e altri inghippi burocratici, il caso arriva al giudice monocratico di Napoli nel dicembre del…2014. Nel frattempo, ci sono stati risarcimenti, ammesso che una vita e la salute irrimediabilmente compromessa possa essere risarcita da una somma di denaro? Sì: meno di mille; in migliaia invece sono ancora in attesa.
L’ultima udienza, appena aperta si è subito chiusa: con queste parole del giudice monocratico: “…Verificheremo la correttezza, spero, delle notifiche alle parti offese residuali, e affronteremo le questioni che abbiamo accennato…buona giornata…”. Per un difetto di notifica, l’ennesimo, tutto rinviato all’ormai prossimo 27 aprile. Vedremo se sarà la volta buona.
Nell’attesa, un’altra vicenda, anche per questa garantisco autenticità: “Azzerato dopo diciotto anni il processo a Verona alle cosiddette “Camicie verdi”, tra le quali l’ex sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo”. Cos’è accade, a distanza di diciotto anni? Accade che il tribunale, dopo diciotto anni, decreta l’«incompetenza territoriale di Verona», e dispone l’immediato trasferimento del procedimento alla procura di Bergamo. Dopo diciotto anni. Resta l’accusa di aver costituito un’associazione di carattere militare con scopi politici»: inizialmente ne avrebbero dovuto rispondere anche Umberto Bossi, Mario Borghezio, Francesco Speroni a Roberto Calderoli, Emilio Gnutti, Roberto Maroni. Secondo la Procura, i militanti leghisti si erano dotati di un'uniforme (camicia verde con stemma), erano inquadrati in gruppi territoriali gerarchicamente organizzati, con l'individuazione di responsabili locali tenuti a seguire rigorosamente le direttive del Capo. La struttura, sempre secondo le contestazioni degli inquirenti, era «opportunamente addestrata per un'eventuale impiego collettivo in azioni di violenza e minaccia peraltro presentate come azioni di legittima difesa di pretesi diritti violati».
Vero o esagerato che sia, si sta parlando di un qualcosa che risale a diciotto anni fa. Diciotto anni per stabilire che la competenza a indagare e a emettere una sentenza su questa vicenda non spetta a Verona ma a Bergamo. A distanza di diciotto anni dall’apertura dell’inchiesta (avviata dall’allora procuratore Guido Papalia, da tempo in pensione), il Tribunale di Verona stabilisce la sua «incompetenza territoriale» che si concreta in un ennesimo rinvio, a data da destinarsi. Nell’ordinanza i giudici scaligeri riconoscono che le iniziative delle Camicie verdi hanno preso il via tra Pontida e Stezzano, cioè in terra lombarda. Diciotto anni, per stabilirlo… Non finisce qui: a Bergamo il procedimento non ripartirà dall’inizio del nuovo processo, bensì dall’avvio di una nuova inchiesta da parte del pubblico ministero, che dovrà poi passare il testimone al giudice per l’udienza preliminare per predisporre l’eventuale rinvio a giudizio. Si riparte di nuovo da zero, ed è comunque prevedibile che tutto finirà in gloria, cioè in prescrizione.
Ho citato un paio di casi, ne potrei fare molti altri. Ecco perché sono facilmente caduto nella “trappola” del novantasettenne con la causa rimandata al 2018. Una “bufala”, d’accordo; ma credibilissima, vivendo in un paese dove “in nome del popolo italiano” accade di tutto e il suo opposto. La notizia di partenza era falsa, e mi cospargo il capo di cenere. Ma le considerazioni che se ne ricavavano, purtroppo, sono tutte valide; ed è di questo, che da italiano che ama il suo paese, maggiormente mi vergogno.