Il mondo del vino si è radunato a Verona per la 48ª volta, dal 22 al 25 marzo, trasformando l’intera città in un palcoscenico per eventi, degustazioni, ritrovi. Vinitaly (abbinata a Solagrifood ed Enolitech) è una manifestazione che dai padiglioni della Fiera ormai si è espansa a macchia d’olio su tutto il territorio, a testimoniare quanto il settore sia conosciuto, vivo ed apprezzato. Certo, la crisi non è un fattore ignoto, ma – è il caso di dirlo – qui si guarda al bicchiere mezzo pieno; i più recenti rilevamenti ISTAT fissano sopra i 5,11 miliardi di euro il numero definitivo relativo all’export 2014, contro i 5,04 miliardi del 2013; buono anche il dato sulle quantità, con oltre 20,54 milioni di ettolitri contro 20,32 dell’anno precedente. In tempi (lunghi) di recessione, va bene. Il salone di maggior riferimento al mondo sul settore enologico, nato nel 1967 e sviluppatosi esponenzialmente negli anni, lancia dunque segnali positivi.
Italiani con un occhio agli States
Raffaele Boscaini, direttore marketing Masi Agricola e figlio di Sandro (presidente e a.d.), racconta le dinamiche estere di un’azienda della Valpolicella veronese che ha dato da bere a Pavarotti, Bill Gates, Donald Trump, Quentin Tarantino e che vanta la produzione del vino italiano non DOC più venduto al mondo, il Campofiorin, incantevole rosso IGT di uve Corvina, Rondinella, Molinara. “Per noi gli Stati Uniti rappresentano il terzo mercato, dopo Canada e Svezia, ma il quadro aziendale è in grande crescita, riflettendo il trend del settore che vede gli USA tra le aree di maggior interesse, grazie ora al cambio favorevole. I vini veneti sono sotto i riflettori internazionali, Pinot grigio, Prosecco (per la precisione Conegliano Valdobbiadene) e Amarone; il primo con un mercato più limitato all’area nordamericana. Il nostro attuale obiettivo, dunque, è di rinforzare la presenza oltreoceano, nel rispetto delle regole locali, ma cercando di snellire la catena distributiva, per far arrivare più direttamente al consumatore finale il messaggio del vino, la sua identità”. E quale può essere il modo? “Il potenziamento dell’impatto del marchio: lo vedo in vetrina o sullo scaffale e lo riconosco immediatamente come un prodotto d’eccellenza, una garanzia di qualità, senza passaggi intermedi. Questo è quanto è successo al Campofiorin, ad esempio”. Masi Agricola firma una trentina di prodotti, per gli Stati Uniti ne ha selezionati 7/8 fra i più rappresentativi, i più identitari, vedi l’Amarone Costasera, il Brolo Campofiorin, il Masianco o la Rosa dei Masi: “li distribuiamo attraverso la ristorazione e i negozi specializzati, puntiamo nel futuro prossimo ad ampliare la gamma delle proposte”.
Lo stand dell’azienda Masi
Anche numerose aziende minori rispetto al colosso Masi comprovano i movimenti transcontinentali: Flavio Tezza, della società agricola omonima con i cugini Vanio e Federico, situata nella Valpantena veronese, spiega che il suo fatturato proviene per il 98% dal commercio export verso gli USA, “la nostra è un’azienda virata sull’estero, con gli Stati Uniti abbiamo un rapporto consolidato dal 2000 e sei importatori, per ristorazione ed enoteche. Anni addietro erano pochi e grandi i nomi esportati, ma con i primi segnali di crisi, dopo il 2000, numerosi distributori americani sono venuti al Vinitaly in cerca di nuovi marchi, c’è stata l’esplosione dell’Amarone e si è vissuto un momento d’oro per questo grande vino veneto. Ora il mercato è più fermo, ma attivo”. Si è passati da un fiume in piena ad un corso d’acqua più placido, ma comunque corrente. I produttori sono propositivi, forti anche della qualità che vanno a offrire; il vino in Italia è un affare di famiglia, come si legge dalle genealogie legate alle aziende, e come tale è trattato con cura, amore, passione e rispetto, “allevato”.
Sostenibilità nel bicchiere
Una che ormai non è più tendenza passeggera, ma orientamento radicato e scientemente voluto è l’ecosostenibilità delle tecnologie agricole; un esempio – perchè il Vinitaly ha una portata, un carico troppo imponente per poter citare tutto e tutti – è Torraccia del Piantavigna, azienda da sempre impegnata nella viticoltura a basso impatto e nel recupero delle energie rinnovabili; qui ha presentato ufficialmente le nuove annate da uve storiche delle colline novaresi: Nebbiolo, Vespolina ed Erbaluce; Ghemme e Gattinara in particolare luce, in quanto pluripremiate eccellenze enologiche dell'Alto Piemonte. E il Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore ha proposto una serie di degustazioni per conoscere le diverse espressioni di questo vino ormai famoso a livello planetario; sono stati organizzati appuntamenti per raccontarne la genesi, dalla vigna al bicchiere, e lezioni sull’assemblaggio delle cuvée, a sottolineare l’importanza del lavoro dell’enologo nell’assemblare le basi, in modo da bilanciare le diverse espressioni territoriali (la scuola enologica di Conegliano è la più antica d’Italia). Le colline del Prosecco Superiore – candidate a patrimonio UNESCO – contano molteplici specie di flora selvatica; grazie all’innovativo progetto Biodivigna, il consorzio ha potuto tutelare la biodiversità della varietà Glera, attraverso la salvaguardia del materiale genetico di vecchi ceppi di viti. Il progetto ha portato alla creazione di alcuni vigneti sperimentali e alla costituzione di un erbario di specie vegetali spontanee presenti nei vigneti e che oggi è conservato nella sede di Biologia a Padova, per un totale di circa 850 schede botaniche.
Rispetto di territorio e natura è pure la filosofia di Lison Classico Mazzolada, azienda di Portogruaro, nel cuore della denominazione Lison Pramaggiore, in provincia di Venezia. La famiglia Genovese ha investito con decisione nel vitigno autoctono per eccellenza, il Tocai, dall’inizio del 2000, epoca in cui la diatriba con l’Ungheria era in atto e la perdita del nome ormai sicura; per questo nel Lison Pramaggiore la varietà rischiava l’espianto, ma la vocazione del territorio per il Tocai era tale da indurre Mazzolada a recuperare un vigneto del 1963, individuato dall’Renzo Gaiata. L’esame del materiale genetico ai Vivai Cooperativi Rauscedo rivelò che questo biotipo di Tocai era diverso dagli altri conosciuti. Mazzolada è diventata così l’artefice del recupero di una varietà straordinaria, conosciuta localmente con il nome Sauvignonasse, celebrando l’evento con la produzione del vino L’Ultimo Tocai. Oggi le uve Tocai dei vigneti di proprietà diventano il Lison Classico Mazzolada, vino bianco di struttura e carattere.
Piccoli ma preziosi
Guardando oltre i grandi attori come il Prosecco e l’Amarone, si scoprono altre preziose gemme; dal Friuli Venezia Giulia ecco tre scelte, per rappresentare in maniera straordinaria il valore dei vini locali. La tenuta Villanova di Farra d’Isonzo (Gorizia) è la più antica della regione, risale al 1499, quando il Patriarca di Aquileia cede il luogo ai conti di Strassoldo, che lo coltivano per trecento anni; dopo altri passaggi, dal 1932 la proprietà è della famiglia Bennati e condivide non casualmente con le Terre dei Grandi Vini del pianeta la disposizione sul 46° parallelo. Tra le curiosità storiche, il possesso di una licenza di distillazione interna unica in Europa, concessa da Maria Teresa d’Austria.
Il responsabile Italy Sales, Ezio Toneatto, spiega appassionatamente l’impegno produttivo e non solo: “le scelte tecniche sono compiute nel nome della qualità: se il disciplinare impone un massimo produttivo di 90 quintali per ettaro, noi non oltrepassiamo i 60”. Vini e distillati nel “menu”: citazione per il pinot 3, spumante brut da pinot nero, grigio e bianco, per il merlot e per la gamma dei classici bianchi friulani. L’attività di export comprende tutti i prodotti, “abbiamo un importatore negli Stati Uniti, uno in Canada e siamo all’opera per aumentare i volumi. Siamo forti della nostra qualità in Italia e questo ci permette di affrontare anche il mercato internazionale con convinzione”. Non solo il vino è tra le cure della tenuta: sorgendo su un’area massacrata, cent’anni fa, dalle ingiurie della Prima guerra mondiale, si è deciso di salvaguardare anche la memoria storica: “la collina alle nostre spalle, di proprietà, conta nove buche cannoniere: le abbiamo messe in sicurezza e il prossimo 23 maggio organizzeremo qui una giornata per ufficializzare pubblicamente il lavoro e per commemorare chi ha perso la vita nell’orrore bellico”. L’Italia entrò in guerra in quella data.
A tutto Friuli
Flavio Schiratti e Tania Princic producono il Ronc Soreli
In dialetto friulano il ronc è il frutteto o vigneto a scaglioni sul pendio di un colle, il sorèli è il sole. Da qui il nome Ronc Soreli scelto dall’azienda di Flavio Schiratti di Prepotto (Udine) che può vantare un Friulano (ex-Tocai) di rara eleganza, un dandy nella sua categoria, un Dorian Gray che risplende di bellezza e finezza. Tania Princic, responsabile clienti, ne ripercorre la storia: “avevamo un vigneto Friulano di 48 anni, una vite dunque vecchia, pronta per l’eliminazione, ma l’enologo ci ha bloccato, ricordando come una pianta del genere ha anche radici molto profonde, che la nutrono bene. La produzione certamente è inferiore ad una vite più giovane, ma la qualità superiore. Dunque abbiamo seguito questa strada e gli esiti ci hanno premiato. Ora stiamo puntando proprio al mercato americano, stiamo costruendo rapporti, proponendo come prodotti apripista il Pinot ramato e la Ribolla nera”. Consueti i canali: ristorazione ed enoteche. Ma oltre al Friulano, altro fiore all’occhiello è lo Schioppettino: “siamo l’azienda che ha più Schioppettino di Prepotto al mondo, 5 ettari di cru autoctono; produciamo il vino base e la riserva; il disciplinare prevede 12 mesi di legno, che facciamo fare ad entrambi, oltre ad una Ribolla nera – vino analogo – che lasciamo invece in acciaio, una nostra interpretazione. Inoltre è prossima la conversione biologica di una parte di appezzamento, per la vendemmia dell’anno a venire”.
Coerentemente col pensiero diffuso, il made in Italy viene considerato il miglior biglietto da visita per la promozione all’estero, “il vitigno autoctono garantisce l’esclusività territoriale, la qualità. Sappiamo di avere ottimi numeri per entrare sul mercato straniero, portando prodotti non ancora noti come lo Schioppettino o Ribolla nera. I tempi sono brevi: siamo già sulla soglia dell’America e siamo entusiasti”.
Terza segnalazione dal Friuli, il Sauvignon di Giacomo Fedele: una produzione di nicchia, per gustarlo, bisogna andare a trovarlo nella sua bella azienda del Collio, a Corno di Rosazzo, oppure approfittare della locale Fiera dei Vini, alla 46° edizione dall’8 al 12 maggio 2015, arricchita quest’anno dall’esportazione dalla Francia del concorso mondiale di Sauvignon.
Ambasciatori nel mondo
L’internazionalità della manifestazione veronese è sottolineata anche da eventi collaterali, come la nomina di cinque Italian Wine Ambassador da parte della Vinitaly International Academy, il 21 marzo al palazzo della Gran Guardia, nel centro storico di Verona, durante la prestigiosa première di Vinitaly. I nuovi IWA sono stati selezionati tra i 55 partecipanti – provenienti da 17 nazioni – al primo corso di specializzazione sul vino italiano, realizzato da Vinitaly Internatonal Academy (VIA), sotto la direzione scientifica di Ian D’Agata. La canadese Micaela Morris, co-proprietaria della House Wine, ha superato la prova per la certificazione ottenendo il voto più alto. Gli altri Italian Wine Ambassador: Lingzi He, dalla Cina, giornalista specializzata e insegnante; Sarah K. Heller da Hong Kong, proprietaria della Heller Beverage Advisory, e, entrambi provenienti dagli Stati Uniti, Luiz Alberto, fondatore del sito di e-learning The Wine Hub e Tony Polzer proprietario e insegnante per 3 Millennia Tour.
“È stato per noi un onore nominare i primi IWA, Italian Wine Ambassador proclamati dalla nostra Academy – ha affermato Stevie Kim, direttore generale di Vinitaly International – e siamo piacevolmente stupiti dell’alto livello di preparazione e per la grande passione nei confronti del nostro vinoo dimostrati dai 5 top candidates. Inoltre, nel corso di quest’anno offriremo più di un’occasione di formazione anche per i partecipanti che desiderano accrescere la loro conoscenza e poter riaffrontare le prove per ottenere le certificazioni di IWA e anche di IWE, Italian Wine Expert”.
Agricoltori 2.0
L’esterno del padiglione Expo al Vinitaly
Il ristorante dell’associazione nazionale Le donne del vino, interno alla fiera, ha ospitato la presentazione del libro Il Trust in agricoltura, di Massimo Gazzani (commercialista, consulente, docente e autore di testi, componente della commissione Expo 2015): il primo contributo dottrinale in materia di trust italiano, applicato specificamente all’impresa agricola. “Questo testo – ha spiegato Gazzani – è indirizzato all’imprenditore agricolo 2.0, figura che deve saper innovare, consapevole che l’istituto del trust può essere un validissimo supporto. In Italia ha vita da circa 7 anni, ma la sua storia è millenaria, trova radici nel 'federcommercio' degli antichi romani e ha la sua prima documentazione al tempo delle crociate: il soldato andava in guerra senza sapere se e quando sarebbe tornato, diventava dunque disponente, affidando i propri beni ad un fiduciario, il “trustee”, amministratore in vacanza del proprietario originale e a favore dei beneficiari nominati. Tre soggetti, dunque, in gioco: l’applicazione in agricoltura mira a tenere unito un patrimonio, ad evitare il rischio di frammentazione; va dimenticato il concetto di spossessamento: qui si opera per il mantenimento dell’unità aziendale”.
Grande interesse da parte dei presenti, tra cui Elena Martusciello, presidentessa delle Donne del vino, associazione che raccoglie oltre 700 iscritte tra produttrici, ristoratrici, enologhe e tutta la filiera rosa che opera nel mondo del vino. “Sul piano dei rapporti esteri, posso dire che moltissime socie produttrici esportano verso gli USA e abbiamo anche parecchie socie tra le ristoratrici americane; anzi: ci interessa incrementare le sinergie, trovare supporti e radicare maggiormente gli scambi. La nostra mission non ha scopi di lucro, desideriamo diffondere la cultura enogastronomica, nel segno del prodotto d’eccellenza”.
Vegan, reality e innovazione
Altro? Molto, moltissimo! Ecco i primi produttori di vini vegan, ottenuti senza sostanze di origine animale, proposti da 35 cantine e destinati a una nicchia di mercato di 800.000 vegani in Italia, ma che può arrivare a coinvolgere 4 milioni di vegetariani.
Mastri birrai umbri al Vinitaly
Negli USA i talent show enoici sono già da tempo realtà (vedi Wine Warriors), in Italia è in arrivo quello per aspiranti sommelier dal titolo Un’ottima annata.
Riedel ha inventato il decanter musicale. Per mescere senza stappare la bottiglia Coravin è l’innovativo sistema che, oltre a non togliere il tappo, preserva l’invecchiamento del vino che rimane in bottiglia: visto ad Enolitech, il Salone delle attrezzature per la filiera vinicola e olearia che si svolge in contemporanea con Vinitaly. Dagli USA la camicia di jeans tinta con il vino e firmata Robert Mondavi Winery, azienda leader della Napa Valley. Colore dell’anno 2015 è il Marsala scelto dalla Pantone, codice identificativo 18-1438.
Vinitaly non è solo vino, ma anche distillati, selezioni gastronomiche, olio e birre al Solagrifood concomitante: una per tutte, senza voler deprezzare nessuna: la cruda (non pastorizzata, non filtrata) dei Mastri Birrai Umbri, famiglia Farchioni, preparata con malti speciali, frumenti e legumi del posto, dal ridotto contenuto alcolico e alto valore nutrizionale.
Appuntamento a New York
Il prossimo appuntamento enologico per tanti degli espositori presenti a Verona sarà negli USA il primo giugno, a New York, con 2015 Vinitaly International, che si presenta in veste educational, più adeguata all’ormai maturo mercato statunitense. In quella data, la Vinitaly International Academy presenterà A study in Sangiovese, un executive wine seminar privato (già sold out) al New York Vintners di Tribeca dove verranno descritte tre etichette di cinque aziende, per un’analisi di Sangiovese proveniente da terreni e annate diverse, con uno speciale set di 15 vini.