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February 20, 2015
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Hooligan, luoghi comuni e potere

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 3 mins read

Perché gli hooligan sono hooligan, e solo di passata inglesi oppure olandesi? E invece il corrotto o il mafioso è italiano e quasi mai, semplicemente, corrotto o mafioso? Perché rispettare una fila è attributo che qualifica e devastare cose e persone no? Perché esistono i luoghi comuni, gli stereotipi? E, soprattutto: che cosa sono e a che servono?

Proviamo a capire cos’è, intanto. Il luogo comune non è una semplificazione: è una manipolazione. La semplificazione è un’approssimazione, che però rispetta i rapporti di proporzione fra le grandezze considerate. La manipolazione, no. Dire che gli hooligan sono gruppi di persone dedite alla violenza presenti anche nel Regno Unito e in Olanda, è una semplificazione: perché non dice, cioè approssima, il fatto che sono presenti anche altrove, e non specifica che agiscono in un’area di contiguità equivoca con le società sportive. Però la descrizione, nel suo nucleo essenziale, rimane veritiera. Perciò è una semplificazione. Sarebbe stata una manipolazione, cioè un luogo comune, se si fosse detto: gli inglesi e gli olandesi sono hooligan. Sembra facile.

Vediamo. Gli italiani sono un popolo di mafiosi e corrotti. E’ una manipolazione. Però è generalmente accettata come fosse una semplificazione, magari un po' rude, ma pur sempre veritiera. Così siamo al Perché dei luoghi comuni. 

Questi esistono perchè il governo delle parole è il Potere. Ma le parole non sono materia inerte, sono vive: per questo si possono alterare o manipolare. Una parola manipolata è un’arma micidiale. Lo sapeva bene Tucidide che, per fissare, con un’immagine che spiccasse più di altre, quale grado di degenerazione avesse raggiunto la grecità durante la Guerra del Peloponneso (e il conflitto fra Atene e Sparta è il modello insuperato della civiltà che si imbarbarisce) non sceglie stragi, razzie, sangue. Sceglie la parola e la sua manipolazione. Metonomasìa, cioè lo stravolgimento “dell’ordinario rapporto fra i nomi e le azioni”. Così la dissennatezza divenne slancio eroico; la prudenza fu spregiata come paura; lo studio attento degli eventi chiamato inettitudine all’azione; la furia selvaggia, virilità; il ringhio dell’illazione malevola, salutato come acume cui affidarsi. Insomma il vizio prese il nome di virtù, e viceversa.

E non parliamo di Cristo e Dottori della Legge. “La Legge” erano parole e il suo “completamento” fu una dissezione di nuclei verbali, manipolati da quei potenti opinion maker. E la dissezione ebbe le cadenze di una battaglia campale.

Perciò sulle parole nasce e muore il Potere. Questo è l’uso del luogo comune, il suo “a che serve”.

Ora, le parole non si formano e, soprattutto, non si deformano da sole: per questo Tucidide, che era un Generale, denunciò il fenomeno nel contesto di una guerra; e la Nuova Parola di Cristo fu considerata un attentato alla costituzione vigente. C’è sempre qualcuno che custodisce le Chiavi del Potere: il nucleo manipolato delle parole. E lo fa in modo subliminale e incessante. Presidiando ogni possibile alternativa.

Università, i maggiori media, centri di ricerca. I Dottori della Legge.

Il luogo comune è peggio del rogo dei libri, delle persecuzione delle idee. Perchè roghi e persecuzioni implicano un’esposizione. Certo una forza transitoria la può sostenere e non fa temere il persecutore: però ciò che rimane in superficie, può sempre passare. Ma alterare “l’ordinario rapporto fra i nomi e le azioni” è come avvelenare i pozzi: uno versa un bel bicchiere d’acqua a suo figlio e lo uccide.

C’è poi un modo per rendere un luogo comune inossidabile. Costruirlo come manifestazione di raffinatezza, di buon gusto, di intelletto levigato dai libri. Se dicendo una scempiaggine come “gli italiani sono mafiosi e corrotti” uno passa per colto, per acuto, per stoico latore di verità sgradite, quella scempiaggine vivrà di piena salute. Perchè potrà contare sulla timidezza, sul timore di non dire le cose che dicono “quelli che sanno”.

E se mai, anche solo per un momento, un italiano comune e anonimo, si sognasse di enumerare a voce alta Compagnie delle Indie (olandesi e inglesi) e Conquistadores, Algeria e Indocina, miniere congolesi e rwandesi, Uber Alles e Holodomor, ci sarebbe sempre pronto qualcuno, senza precisare cifre, causali, contesti, effetti, sempre pronto ad alzare il suo ditino saccente a tempo indeterminato per gracidare: e la macchina in doppia fila? 

 

 

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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