“Se superi le medie in Toscana, dopo puoi affrontare ogni cosa”, così mi disse un amico durante una discussione. Il riferimento implicito era a quel periodo fatto di prese in giro, scherni, primi atti di vera crudeltà verso il compagno cicciottello, o con il naso grosso, o con i brufoli, oppure perché semplicemente aveva l’aria, per usare i termini più diffusi, di “sfigato”, soprattutto in Toscana, regione dove tutto questo è all’ordine del giorno. Ricordo, durante quegli anni, un ragazzo che prima di entrare a scuola montò sopra un chiodo infilandoselo nel piede attraverso la scarpa. Pianse dal dolore, le sue urla attirarono l’attenzione di tutti i ragazzi. Qualcuno era stupito, altri, molti, se la ridevano. Lo presero in giro per molto tempo, per quelle grida piene anche di paura, e paradossalmente proprio per la sfortuna che gli era capitata. Ce ne volle altro, di tempo, affinché il fatto venisse dimenticato.
Fu uno dei primi episodi di vera crudeltà tra pari ai quali avevo assistito. Se fosse capitato oggi, cosa sarebbe potuto accadere? Video, foto, condivisione sui social, sulle app di messaggeria istantanea; una gogna mediatica che avrebbe superato i confini della scuola. E poi sarebbe rimasta lì, negli archivi, nella memoria, da riproporre in qualsiasi momento.
Scrivo questo perché il bullismo, oggi sempre più cyberbullismo, mi pare avere una deriva, nelle scuole italiane, ma naturalmente non solo, di una violenza inaudita. E proprio mentre scrivo di questo, al Festival di Sanremo, va in scena una battuta da bullo, contro un ragazzo in sovrappeso. È il comico Alessandro Siani, che salendo sul palco dice al ragazzo: "Ce la fai a entrare nella poltrona? Pensavo fosse una comitiva invece sta da solo”.
Quanto accaduto è sintomo della diffusa insensibilità e stupidità che pervadono certe persone con i loro comportamenti. Sembra una battuta per far ridere, ma non lo è. Se qualcuno se lo può permettere in prima serata, ad uno degli eventi televisivi italiani più visti, si sdogana come normale ogni forma di emulazione in classe, nel gruppo di pari, tra amici, nei gruppi sportivi, ecco… La battuta del comico giullare, se è tale, deve andare contro il potente, quello è il soggetto della satira, perché è normalmente intoccabile. E poi non si tratta di una battuta ma di un insulto, che oramai non viene più chiamato tale, ma gaffe, scivolone o battuta sbagliata.
È il sentimento diffuso di una normalità declinata nel “sono ragazzate”, del “tanto è così”, del “tutti ci siamo passati”. Non è così, molti non sono sopravvissuti. Ne siamo come assuefatti, così come per la corruzione, secondo le parole, proprio di questi giorni, della Corte dei Conti. Sembrano non esserci alternative, va solo superata con il tempo.
Eppure qualcosa si può fare, lo sta a dimostrare la levata di scudi, proprio sui social, a favore di quel ragazzino, e le critiche, anche feroci al comico napoletano, che si è scusato pubblicamente, aggiungendo che devolverà il compenso per la partecipazione al festival proprio a dei bambini malati. Bene, potremmo dire, la storia si è conclusa per il meglio. Ma purtroppo in tante scuole, quotidianamente, tra vessazioni e piccole crudeltà, la storia continua.
In molte di queste sono state prese iniziative drastiche: cellulari sequestrati, punizioni esemplari, ma tutto questo non basta se accanto non c’è una capacità di comunicare bene ai ragazzi digitali rischi e conseguenze di quello che è ormai il nuovo orizzonte del bullismo: il cyberbullismo.
Tutti ne possono essere vittime o carnefici, basta una foto, un video per umiliare qualcuno. Non solo colui che non viene visto all’“altezza”, ma anche chi sta troppo in alto: ragazze considerate troppo belle che generano il confronto invidioso, ragazzi/e che vanno molto bene a scuola e rischiano per questo l’emarginazione (il cosiddetto secchione). I più bravi devono imparare presto a far finta di non esserlo.
Il confronto invidioso con le sue emozioni difficilmente incontrollabili, nasce e cresce soprattutto in quella fascia critica di età tra i 10 e i 14 anni, quando la personalità si sta formando, quando la fiducia nel mondo può subire drastici colpi, quando la disuguaglianza tra ragazzi appare senza più veli. Tutto passa sulla rete, sui social, e poi quando si arriva al faccia a faccia, invece dei chiarimenti partono pugni e calci.
Molti genitori si trovano in difficoltà, non comprendono cosa accada ai loro figli anche perché non comprendono le nuove tecnologie con cui hanno a che fare. C’è un digital divide, molto spesso, tra generazioni, in particolar modo sull’uso differente che se ne fa.
L’atteggiamento paternalista, dire cosa si deve fare e non, non porta vantaggi. Spesso fonti più autorevoli, agli occhi dei ragazzi, possono far arrivare i messaggi con maggior effetto. Ci sono canzoni, come quella dei Placebo, Too many friends, che raccontano i rischi di un’esposizione eccessiva ai social o film ottimi come il recente Disconnected. Oppure cortometraggi fatti dagli stessi ragazzi o video di ottima produzione che possono far arrestare, o almeno far riflettere per un attimo, sulla normale assuefazione da bullismo e collegamento.
Non esistono soluzioni ad hoc. Scuola, famiglia, politica, i ragazzi stessi devono collaborare insieme, giorno dopo giorno, passo dopo passo affinché certi atteggiamenti siano visti come alieni, straordinari, riassorbili facilmente nella quotidianità.
È la possibilità di avere altri orizzonti che può dare la forza di superare barriere che in quel periodo di vita possono sembrare insormontabili. Sapere che quella quotidianità umiliante è solo una parte minoritaria della propria vita, perché c’è altro, ci può essere altro. E tutto questo si può trovare insieme, con la famiglia innanzitutto, viaggiando, facendo sport, praticando musica, imparando a desiderare ciò che sta oltre la normale consuetudine.