Da qualche settimana sono disponibili i dati dell’Istituto nazionale di statistica, Istat, sul rapporto tra italiani e tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Quei numeri non ci fanno onore, rendendo la dimensione della crescente distanza che il paese accumula al suo interno tra ceti colti e incolti, e all’esterno tra la media nazionale e quella espressa dai partner europei. A riassumere il quadro d’insieme sta un dato: per più di 1/3 dei connazionali il sistema Internet è come se non esistesse. Nel 2014, quasi 22 milioni di italiani di almeno sei anni, pari al 38,3% della popolazione, non hanno avuto alcun accesso alla rete.
Andando a qualche dettaglio, si scopre che l’arretratezza riguarda soprattutto le fasce di nati in epoca non digitale: i ragazzi tra 14 e 24 anni risultano connessi per l’84%, quelli tra 65 e 74 solo per il 26%. Oltre si precipita al 6,6%. L’isolamento dei “disconnessi” non è solo culturale e professionale, ma anche umano, se si tiene conto che le famiglie con accesso internet, da casa, sono il 64% del totale e il 62,7% quelle dotate di connessione a banda larga. Convivono sotto lo stesso tetto e condividono la comune vita famigliare i nativi digitali e gli incapaci digitali: le conseguenze in termini di relazioni e scambio umani possono risultare pesanti.
Né la questione dell’isolamento digitale riguarda i soli anziani, visto che, in parte ne sono protagonisti anche i bambini: usa il pc solo il 54,7% della popolazione sopra i 3 anni, e naviga in internet il 57,3% di quella con più di 6 anni. Comunque, le famiglie con almeno un minore risultano quelle più equipaggiate sotto il profilo tecnologico: più dell’87% possiede almeno un pc, e l’89% ha accesso ad internet da casa. Anche il genere conta: usa il pc il 59,3% degli uomini ma solo il 50,2% delle donne, su internet va il 62,3% degli uomini e solo il 52,7% delle donne. Il digital divide si esprime anche nella spaccatura nord-sud: nel centro nord il 66% e il 66,6% delle famiglie hanno rispettivamente pc e accesso a internet, a sud e nelle isole 57,3% e 58,3%. La diffusione della banda larga conferma il solco: 65,4% nel centro nord, 56,4% nel Mezzogiorno.
Visto nel confronto con le altre nazioni dell’Ue, il quadro italiano appare complessivamente deficitario: ci ritroviamo in fondo alla classifica con Grecia Bulgaria e Romania e, come in tanti altri indici nazionali, mostriamo la pervicace volontà di arretramento relativo. Nel 2006 la media Ue di non utilizzatori di internet era il 43% e noi eravamo al 59%; oggi l’Ue ha ridotto al 18% e noi arranchiamo ancora a quota 32%. Nel 2006 la percentuale di utilizzatori quotidiani di internet era nell’Ue del 31% e in Italia del 29%, oggi siamo rispettivamente al 65% e al 58%!
Gli antitaliani che si sciacquano la bocca con il progetto suicida di staccare l’Italia dall’Ue, ovvero dall’unica possibilità di curare i nostri endemici vizi, che includono le tradizionali aree di analfabetizzazione (secondo Tullio De Mauro ci spetta il primato negativo in Europa per l’ “analfabetismo di ritorno” e solo il 30% degli adulti è “sufficiente” in lettura scrittura e calcolo) e quelle nuove dell’analfabetizzazione informatica, dovrebbero unirsi a chi spera che i fondi strutturali del budget finanziario Ue 2014-2020 facciano quello che governi e regioni italiani non hanno saputo fare: colmare il nostro digital divide. Tra le priorità degli stanziamenti Ue da spendere nei prossimi anni, c’è infatti l’agenda digitale. Se Renzi manterrà l’attenzione all’istruzione che ha mostrato nei primi mesi di governo, utilizzando in modo appropriato i fondi Ue potremmo farcela.