"Gli Stati Uniti d'America ribadiscono il loro impegno all'eliminazione totale della tortura e continuano questa battaglia dando il buon esempio. Voglio rivolgere quindi un appello agli altri governi mondiali affinché si uniscano a quello americano e al gruppo di nazioni rispettose delle leggi nel proibire, indagare e perseguire legalmente ogni atto di tortura e nel prevenire l'uso di questi metodi dovunque essi esistano".
Con queste parole, nel giugno del 2003 il presidente americano George W. Bush si rivolse ai rappresentanti delle Nazioni Unite riuniti per la celebrazione della Giornata Internazionale a sostegno delle Vittime della Tortura nel Mondo.
Qualche giorno dopo questo discorso, il consulente legale della CIA, si affrettò a contattare uno degli avvocati della Casa Bianca per esprimere la "sorpresa e preoccupazione" dei responsabili dei servizi d'informazione per la pubblica presa di posizione da parte dell'esecutivo che contraddiceva palesemente l'atteggiamento "privato" della Casa Bianca sui metodi di trattamento dei prigionieri.
Proprio questa ambiguità dell'amministrazione Bush, spinse l'allora direttore della CIA, George Tenet, a scrivere al Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Condoleeza Rice, per ribadire il sostegno dell'amministrazione stessa riguardo alle tecniche utilizzate dai servizi di sicurezza per ottenere informazioni.
Questo e altri interessantissimi risvolti sono parte dei dettagli venuti alla luce dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione d'Indagine del Senato americano sulla Tortura anzi, per meglio dire, dopo la pubblicazione delle 488 pagine del riepilogo, dal momento che il resto delle 6.000 pagine del rapporto stesso continuano ad essere considerate "riservate" e quindi inaccessibili.
La Commissione del Senato incaricata di indagare sui fatti immediatamente seguenti agli attentati dell'11 settembre 2001 ha impiegato più di quattro anni per la stesura di questo rapporto che contiene anche la smentita ad una replica fornita alla commissione stessa dalla CIA nel 2013 e che, dopo un'attenta analisi, è stata considerata inattendibile.
La replica del 2013 che costituisce il contributo della CIA al dibattito, verte sul fatto che, secondo l'agenzia di Langley, molte potenziali azioni terroristiche seguite all'11 settembre sarebbero state neutralizzate grazie alle informazioni raccolte con i metodi coercitivi di quegli anni.
In particolare, secondo l'agenzia, i metodi "duri" utilizzati nei confronti di Abu Zubaydah, uno dei primi terroristi di un certo calibro catturati dagli americani dopo gli attentati, avrebbe condotto all'arresto dell'ideatore degli attentati stessi, Khalid Sheikh Mohammed e avrebbero sventato altre azioni terroristiche contro obiettivi di alto profilo come il London Canary Wharf e l'aereoporto di Heathrow a Londra e contro il palazzo del governo di Washington.
Questa teoria ha costituito per molto tempo la chiave di volta nell'edificio etico e giuridico con il quale l'America ha voluto fornire una giustificazione razionale e morale a metodi che, se da una parte rasentavano la tortura, dall'altra avevano avuto, teoricamente, il merito di aver salvato centinaia di vite.
Ma, da quanto emerge nel rapporto del Senato, nulla di tutto questo era vero. La correlazione tra l'uso della tortura e i risultati ottenuti in termini di sicurezza nazionale sarebbe estremamente tenue.
Dalla lettura di alcuni dei passi salienti del rapporto stesso, è difficile ignorare la sensazione che, malgrado gli sforzi della CIA di fuorviare la commissione di vigilanza, l'opinione pubblica e la Casa Bianca, l'amministrazione Bush abbia fatto la parte del "sordo che non vuole veramente sentire". Il carattere riservato del resto del rapporto non consente di arrivare ad una conclusione definitiva su questo punto anche perché l'amministrazione Bush ha esercitato il suo potere esecutivo di censura sui documenti della Casa Bianca e, ciò che emerge nel rapporto sono solo le interazioni che la CIA ha documentato con l'esecutivo.
Quando Barack Obama si è insediato alla Casa Bianca, nel gennaio del 2009, una delle prime azioni politiche da lui intraprese è stata quella di porre fine a questi metodi di "interrogatori forzati" perpetrati dalla CIA e che si ponevano in una zona giuridicamente e moralmente grigia.
Ma, a dispetto di qualche tentennamento successivo, il presidente Obama ha anche dichiarato apertamente di "voler guardare al futuro piuttosto che al passato" facendo intendere, in altre parole, di non voler perseguire legalmente i responsabili dell'amministrazione Bush per le loro azioni.
Questo è stato quindi l'intento di Obama sin dall'inizio. D'altronde, malgrado i dettagli venuti alla luce con la pubblicazione del rapporto stesso, i fatti salienti in esso contenuti erano giá per lo piú noti ed ampiamente dibattuti.
Come come mai la Casa Bianca ha ora insistito per la pubblicazione di questo rapporto malgrado le molte voci contrarie alcune delle quali interne allo stesso Partito Democratico?
Al di là dei contenuti rivelati, a sembrare particolarmente significativi sono i tempi e le coincidenze che circondano la pubblicazione del rapporto. Dopo la pesante sconfitta elettorale di novembre che è costata al partito del presidente la maggioranza al Senato, l'atteggiamento politico di Barack Obama è divenuto, paradossalmente, molto più deciso e aggressivo.
Dagli accordi bilaterali con la Cina per la riduzione di emissioni inquinanti alla chiara presa di posizione della Casa Bianca in favore della cosiddetta "Net neutrality" fino alla clamorosa azione esecutiva in materia di immigrazione, Obama sembra essersi finalmente convinto che, vista l'impossibilità di cooperare con l'opposizione repubblicana votata ad un ostruzionismo totale, senza più niente da perdere che non sia giáàstato perso, tanto vale fare sfoggio di un "decisionismo" politico di alto profilo piuttosto che insistere nella ricerca di improbabili azioni concilianti. E, vista in quest'ottica, la pubblicazione del rapporto in questo momento sembra svolgere un ruolo puramente politico: quello di ribadire le malefatte dei repubblicani durante l'amministrazione Bush proprio quando il candidato del GOP alle elezioni presidenziali del 2016 potrebbe essere un altro Bush: l'ex governatore della Florida Jeb, fratello di George.
Non sembra un caso a questo proposito, il fatto che il rapporto stesso sia stato pubblicato proprio alla vigilia della Giornata Mondiale dell'ONU sui Diritti Umani.
Questo danno di immagine inflitto al Partito Repubblicano potrebbe anche essere una sorta di "attacco preventivo" rispetto alle possibili contromosse che lo stesso GOP starebbe preparando per contrastare l'effetto della recente decisione presidenziale a tutela degli immigrati.
Che sia dovuta ad una ragione o ad un'altra quindi, la pubblicazione di questo rapporto sembra avere un chiaro carattere politico. Ma, a parte questo, non guasta il fatto di aver riaperto il dibattito su un aspetto fondamentale dell'equilibrio democratico della nazione: quello dei controlli esercitati dagli organi legislativi, cioè dai rappresentanti del popolo, sui servizi di informazione.
Dopotutto i contribuenti finanziano le proprie spie affinché mentano per loro, non a loro.