Mons. Milito Vescovo della Diocesi di Oppido dopo i fatti accaduti nei giorni scorsi durante la processione della Madonna delle Grazie ad Oppido Mamertina, ha cosi deciso: le processioni sono sospese.
Una decisione che divide certamente ma soprattutto lascia un po’ perplessi.
Ma davvero la ndrangheta ha sfidato la Chiesa?
Intanto contestualizziamo i fatti: ci troviamo in Calabria, nell’entroterra della Piana di Gioia Tauro esattamente ad Oppido Mamertina. C’è un boss pluriottantenne ergastolano in stato di semi incoscienza, per questo agli arresti domiciliari. Ci sono dei festeggiamenti ed una processione in corso. Ad un tratto c’è un cambio di percorso e la statua della Madonna delle Grazie viene fatta fermare per qualche minuto di fronte la casa dell’uomo, per poi riprende il cammino.
In netto contrasto con le interpretazioni totalmente deliranti di chi pensa di raccontare la Calabria senza conoscerla davvero, non si è trattato affatto di un inchino, in ogni senso.
Io non credo che la 'ndrangheta abbia sfidato nessuno: né la chiesa, né il Papa. Chi sostiene questo alimenta legende metropolitane, prive di riscontro, che hanno solamente un forte impatto giornalistico e amen. Queste frasi ad effetto, che servono solo a chi le pronuncia, oltremodo fanno breccia su un pubblico poco preparato in materia di mafie, che subisce certe suggestioni e crede ancora alle storie in stile “gattopardo”. La realtà è diversa, drammatica, ma diversa.
Ma la cosa più mi sconcerta è che mentre si indaga e si teorizza su eventi di natura pagana-folkoristica, la ndrangheta quella vera e non quella degli inchini, chiude affari e strozza la mia terra.
Storicamente la 'ndrangheta riconosce Dio come l’Onnipotente.
La storia, di cui non possiamo non tenere conto, invece ci insegna altro. La 'ndrangheta riconosce come unico potere superiore al suo quello divino. Alcuni boss, anticamente, si sentivano investiti come da un “mandato superiore” per cui era quasi un loro dovere mantenere l’ordine e la giustizia nei loro territori, specie tra gli ultimi. Molti uomini cosiddetti “di rispetto”, infatti, in certe zone dell’entroterra dove la presenza dello Stato era del tutto impercettibile, regolamentavano certe discordie tra famiglie, tra lavoranti. Tali boss non si macchiavano di reati di sangue. Ovviamente col passare degli anni queste figure mitologiche sono del tutto scomparse, lasciando posto a capibastone sempre più predominanti, spregiudicati e violenti.
Resta il dato certo che lo ndranghetista è prevalentemente un credente, che sfoggia a volte anche un certo timore di Dio. La fede nella cultura malavitosa è un elemento imprescindibile, presente e necessario.
Basti pensare che durante i riti di affiliazione si giura su Dio e sui santi: giuramento che proprio per questo assume un senso di indissolubilità e di sacralità. All’interno dell’organizzazione criminale i sacramenti come il battesimo, la cresima ed il matrimonio hanno anche loro un valore sacro perchè consentono di superare il legame di sangue e di allargare le famiglie, quindi le cosche, attraverso i “comparati” e le unioni coniugali. Tutto sempre “in nome di Dio Onnipotente”.
Il senso di quell’inchino: io sono il prescelto.
La sosta di fronte la casa del boss del paese è un rituale che fa ormai parte di una certa cultura calabrese. Lo abbiamo già detto, accade da sempre in certi territori, e chi dice di no lo fa solo per ipocrisia. L’episodio di Oppido, indicato dalla stampa italiana come un inchino non è altro che un solenne riconoscimento. Di potere? No, siamo ben oltre. La statua di Maria Santissima, Madre di Cristo che si ferma di fronte la casa del boss locale significa: lui è il mio prescelto,e la sua autorità su questa terra gli è accordata nei cieli. A conferma di quel rituale che prevede che ogni cosa accada “in nome di Dio”.
Paolo De Stefano, uno dei boss storici e tra i più potenti del mandamento di Reggio Calabria, amava farsi chiamare “il braccio armato della Madonna della Montagna”. E non perchè lui si sostituisse a Dio, ma perché ne era il “garante della sua legge”. Questo ritorna al concetto precedente. I Boss si riconoscevano come “un’estrazione divina” tale da garantire l’equità. E nonostante alcuni di loro si fossero macchiati durante gli anni di crimini di sangue atroci, continuavano e continuano a presentarsi al cospetto di Dio Padre con sentimenti di fede. È agghiacciante ed incomprensibile immaginare da cosa sia composto e sostenuto quel senso di fede.
Le processioni e l’ostentazione del potere mafioso.
Si dice che in certi paesi solo ad alcuni individui è consentito di portare in processione il santo o la Madonna del luogo. Perché? Non solo per ostentare il proprio potere, che non è superiore a quello di Dio, ma che da Egli deriva, ma come palese affermazione del loro prestigio. Facciamo un esempio…
Polsi, è la località in Aspromonte in cui vi è il Santuario di Maria della Montagna. Il territorio si divide tra due comuni: Bagnara Calabra e San Luca. Polsi, sulla carta, fa parte del territorio comunale di quest’ultimo che oltremodo ne rivendica una forte appartenenza.
La famigerata Madonna della Montagna che si festeggia ogni anno il primo di settembre, viene portata in processione solo dai sanluchesi. È un atto prettamente autoreferenziale, che ricopre grande importanza all’interno delle dinamiche del culto mafioso e di chi lo subisce. Per cui oltre all’ostentazione del potere, ci sta anche un profondo senso di orgoglio ed il prestigio per aver portato in spalla la Madre di Cristo, che in teoria non è da tutti.
I “bagnaroti”, invece, devono accontentarsi di portare in processione il 14 settembre la Croce di ferro, ritrovata dal pastore Italico dopo l’apparizione di Maria Vergine, così come racconta la leggenda.
Sono status che si tramandano: atteggiamenti strettamente necessari forse un tempo, cento anni fa. Adesso solo atti sedimentati e consolidati in “normali” rituali.
In certi minuscoli paesi in cui si sa tutto di tutto, (ma dove ovviamente nessuno sa niente) non è necessaria una processione per capire chi è il “prescelto del posto”. Già cento anni fa, con o senza la processione, si sapeva ugualmente chi teneva le file del paese, e a chi si doveva “l’inchino”. Chiediamoci piuttosto che cosa è cambiato in questi 100 anni…Quale alternativa, quale giustizia, quale controllo del territorio, quale opportunità è stata offerta a questa gente oltre l’onorata società? O vogliamo portare ancora avanti l’ipocrita retorica del gene calabrese della malavita?
Sospese le processioni: a spese di chi?
La sospensione delle processioni è l’unico vero inchino fatto alla ndrangheta! È l’ennesima prova della palese sconfitta dello Stato (e della società civile) che in certi territori non riesce nemmeno a garantire la “pulizia” in una processione.
I sacerdoti non sono poliziotti, ne investigatori e fanno quello che possono, lasciati soli in territori ad alto rischio.
Non è solo sopprimendo, reprimendo, che si combatte il perpetuarsi della tradizione della malavita in Calabria, ma trovando ed offrendo a queste popolazioni valide alternative culturali e di vita. Se la ndrangheta strumentalizza la religione l’antimafia non fa di meno…
E farsi la guerra non serve a nessuno se non alla malavita stessa.
Di questo passo non avremo più madrine o padrini ai battesimi, ne madrine o padrini di cresima, ne compari d’anello ai matrimoni. Questa limitazione della libertà di culto la trovo spaventosa, specie se dettata da seria un’incapacità di affrontare e risolvere i problemi.