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July 7, 2014
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Quel risaputo “benedetto inchino” al boss e la pretesa dello scandalo

Rosy CanalebyRosy Canale
Time: 6 mins read

In Calabria, la mia terra, esistono credenze ed atteggiamenti sedimentati e cristallizzati nel tempo che fanno parte ormai della stessa identità delle cose, dei luoghi, e della gente. In una dimensione in cui l’esistenza risulta essere distante dalle dinamiche di emancipazione culturale e sociale, certe azioni vengono compiute con estrema naturalezza, seppur scandalizzando profondamente chi non vuole leggerle come il retaggio di tutta una vita di oppressioni ed asservimento in cambio di quelle opportunità e di quella “protezione” che alla gente di Calabria, da sempre, solo certi “personaggi” hanno offerto e garantito.

Il Boss e quel benedetto inchino…

Accade che in un paesino nell’entroterra della Piana di Gioia Tauro, Oppido Mamertina, la statua della Madonna portata in processione ad un certo punto viene fatta fermare di fronte la casa di un boss. 

Il malavitoso è Giuseppe Mazzagatti ergastolano di 82 anni, ormai a fine carriera, che vive in paese agli arresti domiciliari per motivi di salute.

I carabinieri che partecipano come di consueto a questi eventi, testimoni oculari dell’accaduto, si allontanano e disertano il seguito della processione.

Si diffonde la notizia e si scatena l’inferno. Chilometri di parole di indignazione per quello che viene definito “l’inchino della Madonna” al boss, ed altrettante lodi per il Maresciallo Marino che portando via i suoi uomini ha dato prova di integrità. 

Ognuno dice la sua: vengono addirittura scomodati i professionisti dell’antimafia ed i grandi supereroi del contrasto alla malavita, che prospettano scenari da romanzo, suggestivi si, ma un po’ lontani dalla realtà delle cose. 

Una storia che si ripete

Mi torna in mente la mia infanzia, trascorsa a Fiumara di Muro, il paese di mia madre. Nel mese di agosto si festeggiava la Madonna del Carmine. Io aspettavo la processione sulla porta di casa di mia nonna Maria che stendeva dalle finestre coperte di seta ricamate al passaggio della Vergine. 

Quando la statua, portata a spalle dai paesani, arrivava di fronte una certa abitazione, veniva fatta voltare verso l’uscio, posata in terra e li si fermava per qualche minuto insieme al resto della processione. Era la casa del boss. E lo sapevano tutti: sacerdote, fedeli, cristiani e paesani. Andava così, ogni anno, e nessuno reclamava.

L’ipocrisia di non voler chiamare le cose con il loro nome. Tutti scandalizzati: ma di cosa?

Questo in Calabria accade da sempre, da tutta la vita. Va ben oltre la percezione comune di normalità, questo è ormai parte di un’identità radicata, di una cultura conficcata nelle viscere dei calabresi. Bisognerebbe ammetterlo ed accettarlo, e già tutti faremmo un passo avanti nel famoso processo di contrasto alla malavita che non può non tenere conto dell’aspetto antropologico e culturale dei luoghi in cui questi episodi hanno scena. 

Per quanto questi fatti siano profondamente scandalosi hanno acquisito nel tempo una sorta di “uso capione” appropriandosi della quotidianità della gente, ed oggi è difficile di punto in bianco scardinarli, perché sono oramai strutturati nel modo di essere dei calabresi. Sono diventati consuetudine perché direttamente o indirettamente sono atteggiamenti che appartengono ad un popolo intero. Dopo l’interruzione, le tante persone che partecipavano a quella processione non hanno scelto di allontanarsi come i carabinieri; per molti di loro quell’inchino non solo era normale, ma addirittura giusto. È tutta la vita che lo fanno e che lo vedono fare: perché cambiare? Questo è ciò che dovrebbe veramente scandalizzare gli “emancipati”. Il senso di normalità e di appartenenza con cui molti calabresi, uomini e donne, vivono il fenomeno mafioso. 

La Chiesa NON cammina a “braccetto” con la malavita

Inutile e svantaggioso puntare il dito esclusivamente sulla Chiesa affibbiando responsabilità ai sacerdoti che già affrontano il disagio e le difficoltà di chi vive e rimane sul territorio anche quando i riflettori si spengono. Troppo facile parlare da dietro le scrivanie e con le scorte blindate. Questi uomini a mani nude servono Cristo, ogni giorno, in contesti disperati e molto spesso a rischio della loro stessa pelle. Quando le mafie li massacrano li vogliamo santi, ma invece quando facendo acrobazie cercano di mantenere in piedi equilibri labili e pericolosi, che facciamo? Li accusiamo di complicità? 

Se avessero abbandonato la processione anche i sacerdoti, avrebbero lasciato campo libero a chi non desidera altro. Non è soltanto andando via che si manifesta il dissenso. Vediamo cosa succede adesso, aspettiamo di conoscere le motivazioni, prima di avviare la solita atroce lapidazione mediatica. 

Certo è che in Calabria bisogna pensare a soluzioni diverse… La Chiesa ha il delicato compito di formare le coscienze ma in certi territori, in Calabria appunto, non gli si può delegare l’intero incarico di costruire sensibilità e consapevolezza sui temi del vivere etico e cristiano. C’è bisogno di più e che non siano slogan o promesse, ma atti concreti.

Identificare e punire

I carabinieri che per coerenza, giustamente, hanno abbandonato la processione avrebbero fatto bene, a fine corteo, ad identificare fisicamente e personalmente gli artefici dell’inchino, e chi lo ha “comandato”, per segnalarli direttamente alla Procura, che sta comunque lavorando per verificare se esistono eventuali ipotesi di reato. È stato anche girato un video, dagli stessi carabinieri, già fornito all'Autorità Giudiziaria. Ma vogliamo immaginare l'affronto dell'identificazione? Dello Stato che interviene e chiede conto di tale riverenza? Sarebbe stato un atto storico quanto coraggioso. Sarebbe significativo se chi ha fisicamente interrotto la processione, fermando la statua della madonna di fronte la casa del boss, venisse in qualche modo punito, cosi da creare una nuova consapevolezza tra i paesani: nessuna riverenza è concessa alla malavita!

L’impunità di un gesto del genere sarebbe l’ennesima prova che in certi posti si fa come vogliono loro.

 

La politica parla anche quando dovrebbe tacere.

In queste circostanze la retorica dell’indignazione gioca sempre un ruolo chiave. Si cavalcano concetti da “bar dei qualunquisti”, che potrebbero essere applicati universalmente ad ogni azione ed ad ogni professione: la fede ed il vivere da cristiano. 

La politica per prima, quella che da destra a sinistra stringe patti con i capibastone, si è affannata in queste ore a diffondere note stampa e comunicati. 

Il ministro Angelino Alfano ha dichiarato che si tratta di “atti incommentabili”, però dimentica di aver candidato poche settimane fa alle elezioni europee l’ex governatore Scopelliti, condannato a sei anni di reclusione (e tutt’oggi a piede libero…). 

Il PD che gioca il ruolo della “parte sana della politica italiana” conduce una finta lotta allo scambio politico-mafioso, addirittura diminuendo le pene previste. E non solo, mi pare doveroso sottolineare il chiaro NO espresso in Parlamento alla proposta di eliminare i vitalizi ai politici condannati per reati di affiliazione mafiosa. Ma su questi temi nessuno pare scandalizzato. 

Infine trovo comico l’atteggiamento del Sindaco di Oppido Mamertina che adesso, dopo tanto clamore, prende le distanze dall’accaduto. Perché, non si è accorto di nulla? A quale processione partecipava?

Liberi dal bisogno e dall’ignoranza

Fin quando i calabresi saranno schiavi del bisogno e della necessità, del non diritto ma della “grazia ricevuta”, dell’ignoranza gretta e primitiva, la mia terra sarà palcoscenico di questi orrori e di molti altri ancora. In Calabria la totale assenza di qualità della vita crea dei mostri orrendi.

Ma attenzione signori, la Calabria serve così com’è. E non solo ai cattivi… Non deve e non può cambiare.

Questi episodi sono cibo quotidiano per chi li trasformerà, capitalizzandoli, in favole metropolitane da sfoggiare in libri stagionali e durante le solite tavole rotonde di aria fritta che servono solo a chi le fa. L’ho imparato a mie spese…da qualche tempo.

E tutto questo lo ritengo scandaloso come l’inchino di Oppido Mamertina.

 

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Rosy Canale

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