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June 23, 2014
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Talent Garden: viaggio nel co-working che punta a New York

Lara LagobyLara Lago
Time: 5 mins read

Luca ha 24 anni, è un giovane virgulto della web agency Com.unica e sta lavorando ad un’app per il fitness. “Consiste nel riunire dei brevi tutorial semplici, ma dettagliati: diversi video di un personal trainer per principianti e sportivi di medio livello – spiega- dalla pesistica al running”.

Stefano invece di anni ne ha 46. Libero professionista, lavora anche di notte per coordinarsi con i colleghi in giro per il mondo che con lui hanno deciso di scommettere su un nuovo social network legato alla moda. “Da inizio anno, quando l’abbiamo lanciato, ha raccolto più di 10mila utenti”, racconta. Ci si dà consigli su come abbinare i diversi capi di vestiario. Basta postare la foto delle scarpe in questione ed ecco che i cyber consigliatori propongono pantaloni, camicia o vestito adatto. “Sto anche lavorando ad un’app sul fotovoltaico, ma quella è dedicata al pubblico italiano”.

Se chiedo che ne pensino della crisi, la ventinovenne Lisa, che segue i suoi clienti dalla grafica, al sito internet fino all’app, risponde: “L’importante è fare selezione”. Ma nel senso che è importante che il cliente selezioni bene chi lavora meglio per commissionare il compito? “No, no. Nel senso che noi prima di accettare un incarico dobbiamo capire bene chi abbiamo davanti. Ci sono capitati dei fornitori che non hanno pagato, ma ora va meglio. Abbiamo imparato a non dire sì a tutti”.

Luca, Stefano e Lisa, oltre alla passione per tutto ciò che è digital, condividono anche il luogo di lavoro: sono i volti di 3 delle 27 aziende che ogni giorno popolano il Talent Garden di Padova, lo spazio di co-working aperto 24 ore su 24 dove diverse realtà lavorano gomito a gomito. Poca formalità e tanta commistione: c’è l’angolo dove si può mangiare, c’è la cucina con frigo e forno a microonde, c’è il corner del gioco con il calcetto; tutto è arredato con materiali riciclati ed ecosostenibili, le riunioni si fanno seduti su comode e solide sedie di cartone, così come i tavoli.

BiliardinoLibertà per la creatività, ma con regole ben precise: Luca, Stefano e Lisa ogni mese pagano l’affitto della scrivania dove lavorano, 250 euro mensili (che scendono a 180 se si è in due della stessa azienda) che danno accesso ad un servizio di segreteria, a 100 Mega di Fastweb, a due sale riunioni che vanno prenotate e che servono per incontrare i clienti in loco e all’essere seguiti come silenziosi tutor dai founder, i soci, ovvero i “papà” del Talent Garden che però non fanno parte del capitale d’impresa.

“Perché in Italia la politica parla tanto di disoccupazione e poco di azienda, ma per fare impresa serve il capitale, la gestione della burocrazia, talento e passione”. A dirlo è uno dei “papà”, Gianni Potti, Presidente nazionale dei servizi tecnologici innovativi di Confindustria e founder del Talent Garden di Padova, uno degli 8 giardini dei talenti italiani. “In tutta Italia siamo in 20 founder, lavoriamo in team, ogni 6 mesi ricalibriamo il modello del Talent Garden che è in divenire, un vero learning by doing. I Tag (diminutivo di Talent Garden) sono uguali in tutta Italia: stesso arredamento, stesso format. Erano i primi mesi del 2012 quando a Brescia aprì quello che abbiamo definito l’ecosistema per la contaminazione delle menti brillanti. Poi arrivarono Bergamo e Padova. Ora il Tag è anche a Torino, Pisa, Cosenza, Genova e i ragazzi-talenti, che noi chiamiamo abitanti, sono 475 su tutto il territorio nazionale. Milano viene considerata la nostra casa madre, con il Tag più grande, che ospita 190 aziende e che ha anche dei posti letto”.

Mentre i founder puntano a fornire un luogo fisico dove i talenti del mondo del digitale possano incontrarsi e contaminarsi, grossi partners, come Microsoft, Ibm, Redbull e Fiat, iniziano a credere al progetto. Imprese che chiamano altre imprese. Ma per far parte dei Talent Garden serve un contratto: “Accettiamo solo liberi professionisti o aziende. Attualmente ospitiamo programmatori, digital designer, giornalisti, società che lavorano sulla sicurezza, sull’ambiente, creatori di app”.

Ma come dice il nome, ciò che si cerca è il talento. “Ultimamente è una parola inflazionata – prosegue Gianni Potti – ma crediamo davvero che sia il talento a fare la differenza. La nostra asticella di selezione è abbastanza alta: nel dicembre del 2012, mese di apertura della realtà padovana, ricevemmo 110 richieste. Di queste ne abbiamo accolte 18 di giovani imprenditori under 40. Chiediamo una vera e propria vocazione per il web e per il mondo digitale, ma non vogliamo sedi di multinazionali. Poi ognuno è libero non solo di incrociarsi con gli altri settori, ma anche di girare e lavorare nei diversi Tag di tutta Italia”.

Finché Gianni racconta è l’ora di pranzo, i ragazzi pian piano si alzano dalle loro scrivanie cool e funzionali e raggiungono il biliardino.

Potti

Il founder del Talent Garden di Padova, Gianni Potti.

“Qui transitano occasioni, idee, spunti, dalla semplice chiacchierata fino all’incontro che provochiamo noi. Il menu degli eventi è ricco: ogni 20 giorni organizziamo degli appuntamenti aperti alla cittadinanza dal titolo Guten-tag. È qui che molte aziende vengono a scegliersi i propri fornitori, a fare rete”. Gli incontri servono soprattutto a chi di digitale dovrebbe sapere e invece non sa. “In Italia c’è un grande problema di digital divide della classe dirigente. Per questo dal 23 al 26 ottobre i Talent Garden organizzano un Digital Meet, un evento nazionale che arriverà anche in Slovenia, Croazia e Corinzia e che punta all’alfabetizzazione digitale”.

Se per i cervelli che ci lavorano affrontare la crisi è una pratica strettamente collegata alla selezione dei clienti, come la percepiscono invece i founder?

“C’è stato un piccolo turnover ad un anno dall’apertura, abbiamo perso e recuperato cinque imprese. Il Tag di Padova, l’unico nel Veneto, è costato poco più di 100mila euro e dopo un anno siamo riusciti a pareggiare il nostro investimento iniziale. Per il futuro non prevediamo lauti guadagni, ma se ne ricaveremo qualcosa lo reinvestiremo nei prossimi progetti”.

Il futuro si chiama Fab Lab ed è la sfida che prevede di collegare il mondo digitale alla manifattura. Servono stampanti 3D, torni, frese, diverso materiale fisico. “È quella che consideriamo la nostra evoluzione naturale – racconta il signor Potti già indicando con l’indice il muro che si potrebbe abbattere per prevedere l’ampliamento – Non vogliamo morire digitali e il digitale non ci basta. Io sono per la fabbrica intelligente con una coesione forte tra manifatturiero e servizi digitali. Ci credo molto”.

Un credo, quello condiviso con tutti gli altri founder, che viene ripagato dalle nuove imminenti aperture: Roma entro la fine del 2014 e la prima inaugurazione estera in Lussemburgo, un obiettivo-internazionalizzazione che, assicurano, arriverà presto anche a New York e San Francisco.

“Io spero che i giovani che sceglieranno di lavorare in strutture di co-working possano essere sostenuti dall’Unione Europea. È vero, la nostra prima parola d’ordine è la passione, ma servono anche incentivi e conoscenza. Il Tag non è l’affittacamere di una volta, non è uno spazio. È una filosofia, un nuovo modo di fare impresa: ogni giovane mette in incubatrice la propria giovane azienda e rischia con la sua pelle. Se non ha un grande progetto, grandi idee e una forte motivazione è meglio che nella vita si dedichi a fare altro”.

 

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Lara Lago

Lara Lago

Lara Lago, nata a Bassano del Grappa, giornalista collaboratrice de La Voce di New York fin dal 2013, dopo aver vissuto in Albania e ad Amsterdam, ora si divide tra Milano, dove lavora per Sky, e il Veneto, scrivendo di diritti e Bodypositivity.

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