Le mafie raccontate a chi, oltreoceano, vive dinamiche quotidiane drammatiche e riesce, con la semplicità dei suoi giovani anni, a fare proprio un messaggio che valica confini territoriali e temporali: si è conclusa venerdì l’avventura palermitana di otto studenti della Columbia Heights Educational Campus di Washington D.C., protagonisti di un Viaggio della Legalità lungo una settimana. Un viaggio che è al contempo scoperta e consapevolezza, un percorso tra i luoghi che hanno segnato la cruenta fine delle vittime di Cosa Nostra ma anche il trascorso dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e di quanti come loro si sono posti in antitesi al sistema.
“Ci siamo sentiti travolti da tutto il calore con cui siamo stati accolti al nostro arrivo, qualcosa di assolutamente inaspettato” ha raccontato Libia, sintetizzando una sensazione comune ai suoi compagni di scuola, atterrati in compagnia di due docenti lo scorso 23 maggio all’aeroporto Falcone e Borsellino, a bordo di un volo di linea New York-Palermo ribattezzato Aereo della Legalità. “Unione e condivisione”, i termini più ricorrenti nelle loro descrizioni della giornata in memoria di Giovanni Falcone cui hanno preso parte, una giornata pervasa da un sentimento di appartenenza che sin dal primo momento li ha “simbolicamente connessi con la tragedia e con un’esperienza profonda” secondo le parole di Anely, che nell’evento dall’innegabile potere evocativo ha colto delle similitudini con quel che l’attentato alle Twin Towers rappresenta per gli americani. “Il messaggio che è emerso, chiaro e forte, è un invito alla condivisione” le hanno fatto eco Clarissa e Astrid, la quale ha sottolineato: “Noi siamo qui perché vogliamo essere diversi. Nella nostra scuola viviamo ogni giorno il dramma delle gang: raccontare la storia di Falcone è la nostra migliore ragione, il senso di questa esperienza. Ci da forza e motivazione”.
Ai vissuti difficili degli studenti di D.C. ha fatto riferimento anche Alessandra Pukall, docente di italiano che ha accompagnato i suoi allievi a Palermo in un viaggio estemporaneo e intenso: “La nostra è una scuola multiculturale, frequentata per la maggior parte da latino e afro-americani. Molti di loro sono ragazzi in affido, vengono da Paesi in conflitto. Tra le studentesse vi è un’alta percentuale di ragazze madri e non mancano le gang – ha spiegato a La Voce – Cerchiamo di essere un esempio di accoglienza per quanti vivono la criminalità nel quotidiano, pertanto il Viaggio della Legalità è un’occasione unica di confronto e apprendimento. L’invito è arrivato dopo la visita del Presidente del Senato, Piero Grasso, e della moglie Maria Fedele alla Columbia Heights, accompagnati da Lucia Dalla Montà, direttrice dell’Education Office dell’Ambasciata d’Italia a Washington. Sin da subito abbiamo instaurato un bel legame con loro e quando ci è stata proposta l’esperienza a Palermo con la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone siamo stati entusiasti di partire, sebbene non avessimo effettuato un percorso preparatorio”.
Dopo le manifestazioni del 23 maggio, con la partecipazione in Aula Bunker e al corteo confluito all’Albero Falcone, per i ragazzi sono seguite le visite al Giardino della Memoria di Palermo, a Ciaculli, sito confiscato alla mafia e gestito dal gruppo siciliano dell’Unione dei Cronisti e dai magistrati dell’Anm, nonché quella a San Giuseppe Jato, nei luoghi in cui venne tenuto prigioniero il piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso e sciolto nell’acido nel 1993 a soli tredici anni su ordine dei boss di Cosa Nostra. Un’esperienza di forte impatto per gli studenti americani. “Loro sono i deboli – è il pensiero di Khyle, altro studente della Columbia Heights, in Italia per la prima volta – è vero quel che ci hanno detto in questi giorni: la mafia uccide due volte, fisicamente e culturalmente”. Altre tappe obbligate per il gruppo di Washington sono poi state la Fondazione Falcone, gestita dalla sorella del giudice, Maria Falcone, e Cinisi, città di Peppino Impastato, altro esempio di rigore morale nella lotta alla mafia. Il Viaggio della Legalità è stato inoltre occasione per un contatto diretto con il Bel Paese per i ragazzi che studiano l’italiano, una delle tante lingue offerte dalla Columbia Heights Educational Campus, come ha precisato Wendy Pugh, altra docente accompagnatrice e coordinatrice del progetto di scambi internazionali dell’istituto, diretto dalla preside Maria Tukeva: “Oltre all’italiano, i ragazzi studiano anche l’arabo, il francese, lo spagnolo e a breve impareranno anche il mandarino. Nostro principale obiettivo è, infatti, la focalizzazione sull’educazione globale, affinché i nostri studenti possano avere successo in una società in continuo mutamento”.
Sebbene calati in un contesto per loro inconsueto, i ragazzi hanno mostrato grande capacità di discernimento, acquisendo punti di vista ben definiti sul fenomeno mafioso, presentato loro attraverso incontri istituzionali, convegni, sopralluoghi. Soprattutto, hanno dimostrato di avere afferrato quel principio di continuità che in fondo è il senso più vero di tutto il percorso che ogni anno viene dettagliatamente tracciato dalla Fondazione Falcone, una continuità nelle azioni di un passato che si fa presente e che è eredità per un futuro migliore, come ha commentato Kierra. “Falcone, Borsellino… loro non si sono fermati. Mai. Quando tornerò in America, dirò agli altri che uniti si è più forti” sono state le parole di Kimoni. “Io vengo dalla Colombia – è intervenuta ancora Libia – anche lì c’è la mafia. E anche se non sono italiana, mi sono sentita orgogliosa. Ho compreso che la comunità può cambiare la storia. Non chi è al potere, ma chi è capace di fare un passo avanti”. Romale ne è sicuro: “Ogni storia ha un cattivo, ma alla fine prevale l’eroe”.