Ha stravinto Renzi. Ha perso Grillo. Berlusconi sta scomparendo. Questi i verdetti delle recenti elezioni europee. E anche se non vogliamo addentrarci in analisi politico-elettorali, mi pare che ci sia un altro verdetto, già evidenziatosi durante la campagna elettorale: l’inconsistenza e l’impalpabilità dell’Europa. Non tanto e non solo politica, ma come mancanza di un senso di appartenenza ad un destino europeo condiviso.
Il giorno successivo alle votazioni, sfogliando alcuni giornali italiani tra i più diffusi, ho dovuto aspettare tra le otto e le dieci pagine per capire chi potrebbe essere il vincitore europeo: il PSE o il PPE? O comunque avere le idee più chiare sulla sfida in atto per il prossimo presidente della Commissione europea: Martin Schulz o Jean-Claude Juncker? Si farà una “Grosse Koalition” o uno di loro troverà appoggi anche in altri gruppi?
Siamo consapevoli che il risultato ha conseguenze politiche enormi negli assetti politici interni, ma è evidente che a nessuno gliene importi molto dell’Europa. E non stiamo dando la colpa al cittadino inconsapevole della portata europea del suo voto, perché magari non conosce quali siano le istituzioni europee: la Commissione europea, il Parlamento, il Consiglio europeo, ecc… Il problema sta, innanzitutto, nelle stesse istituzioni europee, per non parlare dei partiti nella loro dimensione europea, che non fanno niente per farsi conoscere, per far capire la loro importanza nella vita pubblica europea. Partiamo proprio dai candidati alla Commissione europea. Volete un voto europeo fortemente legittimante anche sul piano personale? Allora, andate a fare campagna elettorale in tutti i paesi europei. Incontrate i cittadini, fate comizi (così imparate qualche lingua in più), partecipate a qualche trasmissione televisiva. Fate sapere chi siete e cosa volete per l’Europa. Fate sentire che vi rivolgete agli italiani, considerandoli europei. Fate sentire che l’Europa esiste, anche e soprattutto nelle persone che la rappresentano.
Martin Schulz è venuto in Italia solo il 1º marzo 2014 al congresso del PSE a Roma quando è stato ufficialmente candidato. Jean-Claude Juncker non mi risulta si sia mai fatto vedere.
Sono certo che se chiedessi a dieci italiani chi vanno ad eleggere con il loro voto, Schulz o Juncker, solo uno o due mi saprebbero rispondere.
Fare l’Europa è una bella frase, ma chi dovrebbe farla mi sembra confuso o strategicamente inefficace. Queste elezioni erano l’occasione giusta. E invece, come è sempre stato, la politica nazionale ha ammazzato ogni orizzonte europeo. Non dico di ribaltare lo scenario, ma almeno di rendere quello di casa meno imperante. Siamo consapevoli che seppur da più di un decennio esiste la moneta unica, alle spalle non c’è un vero governo, né un'unità politica, né un esercito; però c'è una Banca Centrale che la fa da padrona. E non esiste neanche un canale serio di informazione europea, un telegiornale europeo, una fiction europea, un quotidiano europeo.
L’Europa la si fa anche con questo. La stampa, che potrebbe avere un grande ruolo in questo senso, è assolutamente schiava dei condizionamenti di politica interna. Non ho letto un editoriale, che sia uno, dal respiro veramente europeo. Tutti incentrati sulle conseguenze politiche italiane.
L’Europa mi pare sempre di più macchietta di sé stessa. Se non ci credono neanche i suoi rappresentanti come fanno a crederci gli elettori.
Essa appare, allora, come un apparato burocratico incartato su se stesso, privo di identità, di una direzione, della capacità di coinvolgere anche chi si sente fortemente europeo ed europeista, come tantissimi giovani che scoprono l’Europa vera, tramite i programmi Erasmus, i voli low cost, il lavoro. E sono loro, piuttosto che altri a farla. Perché la vivono, colgono le differenze e le somiglianze. Colgono quello spirito europeo che, invece, l’élite amministrativa europea non è in grado di comunicare, far respirare e vivere anche a casa nostra, attraverso una presenza politica che non sia lasciata solo alla dirigenza nazionale.
Per una persona come me che non crede nello Stato europeo, nell’idea di Stato degli stati, ma in una visione glocalista, che privilegia gli enti sovranazionali e subnazionali, questa assenza dell’Europa mi è sembrata figlia della mancanza di idee, progettualità e chiarezza, innanzitutto, politica.
La riforma del lavoro, come quella delle pensioni, fa parte di quel “capitolo”, spesso strumentalizzato politicamente a livello nazionale, denominato: “Ce lo chiede l’Europa”. Io, però, come cittadino europeo, voglio sapere i nomi. Non l’astratto, distante, inconcludente e paralizzante: “Ce lo chiede l’Europa”. Voglio che siano le stesse istituzioni europee a chiedercelo direttamente. Avete mai visto in questi anni Barroso o Herman Von Rompuy (presidente del Consiglio Europeo) dire qualcosa in questo senso agli italiani?
Stiamo assistendo ad un fenomeno che in Italia abbiamo già conosciuto. Stiamo facendo l’Europa dall’alto, attraverso una gabbia amministrativa in mano ad “alieni”. Invece c’è un’altra Europa fatta “bottom up” più vera, attraente, dalle potenziali straordinarie, fatta da giovani studenti, imprenditori, manager capaci, ricercatori, medici, che si muove parallelamente, spesso nell’ombra.
È per questo che non dobbiamo cadere nell’errore di nostrana memoria: “Abbiamo fatto l’Europa, adesso facciamo gli Europei”. No, al di là di ogni euroscetticismo: “Gli europei ci sono. È l’Europa che manca ancora”. Su forza Europa, alza la voce.