Oggi non ci va di parlare di politica italiana. Della politica italiana che soffoca, paralizza, umilia la Nazione. Della politica italiana che è sempre più “teatro”, ma teatro grigio, freddo, dietro lo scintillìo dei “nuovi ricchi” e di quasi tutti i personaggi miracolati dal crollo del Muro di Berlino, dalla scomparsa dell’Unione Sovietica e degli altri Paesi del Patto di Varsavia, perciò dalla fine, perniciosa, dei due Blocchi, il blocco occidentale e il blocco, appunto, delle alleanze guidate da Mosca.
C’è gente, gente anche abbastanza istruita (professori di Liceo, alti funzionari), la quale spesso mi dice: “Che bellezza oggigiorno! Che bello che le ideologie siano sparite”! Io allora reagisco così: “Ma il problema è proprio quello”! Il concetto, però, nella loro testa non entra…
Oggi, nel balletto lanciato da Matteo Renzi, ci va di fare quattro passi nel passato. Prendiamo allora il 1964, riavviciniamoci all’Italia di mezzo secolo fa.
Il Millenovecentosessantaquattro. Il 6 dicembre, per ragioni di salute, il Presidente della Repubblica Antonio Segni, democristiano, dà le dimissioni; era stato eletto Capo dello Stato il 6 maggio del 1962. Un bel sardo, un bell’italiano, un gran signore al quale verranno più tardi indirizzate critiche fuori luogo. Accuse senza fondamento.
1964. A sorpresa, Gigliola Cinquetti, eterea, dolcissima adolescente veronese, vince il Festival di Sanremo con un motivo subito celebre: “Non ho l’età”… Il Sanremo di allora, una rassegna di buon gusto, buona la musica, in alcuni casi bellissima, ma oggi ridotto a fiera della vanità, a passerella di egocentrici ed egocentriche; il pessimo gusto a palate. La sua musica? Piatta, inascoltabile, senza nessuno spessore.
1964. Il Bologna Football Club nello spareggio con l’Inter all’Olimpico conquista lo scudetto. Schiera due soli stranieri due: il tedesco Haller e il danese Nielsen. Lo allena un romano, Fulvio Bernardini; a suo tempo campione eccelso, un colto che non intende affatto sfoggiare la propria erudizione. Oggi, invece, il Calcio ci dà dieci stranieri per squadra dieci… Ci dà Conte, Mourinho e così via…
1964. Nell’ottobre di due anni prima è morto il presidente dell’ENI Enrico Mattei, fondatore dell’ENI, uno che creava lavoro e trovava indispensabile la soluzione della Questione Meridionale. Un uomo proiettato nel futuro, ma con le gambe ben piantate sulle basi della Tradizione. Eppure l’ENI nel 1964, con la Snam-Progetti, avvia la costruzione di una raffineria poco fuori Calcutta. L’ENI non è affatto morto con Mattei; è il colosso di sempre e, anzi, si presenta in ulteriore espansione. Questo, a dimostrazione della perizia, della competenza singola e collettiva che nel 1964, pur fra le non poche disfunzioni, i non pochi squilibri sociali, faceva dell’Italia un Paese invidiabile.
Di quell’Italia oggi non resta che il ricordo. Per assassinarla ci si sono ingegnati in parecchi. Tutti, nessuno escluso: comunisti, neofascisti, democristiani, procacciatori di voti e imprenditori “d’assalto”, quelli formatisi negli anni Settanta e che oggi dettano ancora legge in politica. Figli dello sciocco, artificioso ‘giovanilismo’ degli anni Settanta.
Questo articolo viene pubblicato anche da America Oggi-Oggi7