“Gli americani concepiscono e seguono lo sport come intrattenimento puro, senza necessariamente eccedere nel tifo e comunque mai tifando contro qualcuno, al massimo solo per la propria squadra. Nella loro mentalità assistere ad un evento sportivo è come andare al cinema o a teatro, ci si diverte sempre e comunque; tutt'altro che le tensioni, le polemiche, i vittimismi del calcio nostrano. Purtroppo i media italiani spesso parlano di sport made in Usa nel modo sbagliato: sottolineano solo le bizzarrie o gli eccessi, senza far passare il messaggio corretto”. È netto Matteo Gandini, giornalista trentaseienne che segue e ama il football americano sin dai primi anni ’90. La sua passione l’ha portato ad essere il telecronista del Super Bowl dal vivo a Miami nel 2010 per Dahlia tv e nel 2012 e 2013 per Sportitalia. In questi giorni è a New York per assistere per la settima volta dal vivo al più grande evento sportivo americano.
Ma bizzarrie ed eccessi non sono poi così rari da vedere per gli occhi di un italiano poco avvezzo al football e ad eventi sportivi vissuti come festività nazionali: locali, pub e ristoranti che nella Grande Mela propongono menù per l’occasione, cup cakes take away aromatizzati al tuo long drink preferito, Macy’s che trasforma i manichini in giocatori con tanto di caschi e protezioni e su YouTube liste intere di tutorial per ragazze su come decorarsi le unghie con i colori delle due squadre finaliste. Per non parlare poi di Broadway, ribattezzata il boulevard del Super Bowl.
Tutto normale in piena febbre da Super Bowl, un contagio che fa impazzire gli americani e che lentamente sta infettando anche gli italiani. Ma per capire come un americano vive il Super Bowl bisogna chiedersi se e quanto saremmo disposti noi italiani a vestirci con il colore della nostra squadra, affollare in massa locali e pub fino a quasi paralizzare l’intero Paese e portarci appresso mogli e fidanzate senza che queste proferiscano una sola parola di dissenso. Dallo sport si entra nel terreno dell’evento sociale, dell’occasione per stare insieme, della festa nel senso genuino del termine.

Andrew Papoccia, head coach dei Parma Panthers
“Per noi è come poter ritrovarsi e festeggiare la finale dei mondiali di calcio però una volta all’anno”, spiega Andrew Papoccia, originario di Chicago ma residente a Parma ed head coach dei Parma Panthers da 4 anni campioni italiani di football americano. È a lui che John Grisham pensava quando scrisse il romanzo Il professionista (titolo originale Playing for Pizza), ambientato a Parma negli ambienti dei Panthers. Come protagonista c’è proprio un giocatore statunitense che si rimette in gioco accettando un contratto con la squadra locale. Quando gli chiediamo come sia vivere il Super Bowl a distanza ci risponde con un secco “Mi manca tanto. Mi manca la festa, l’atmosfera, non è più solo il gioco in sé ma tutto il corollario”. Se negli States non serve essere un appassionato sportivo per amare il Super Bowl, in Italia si tratta di un requisito ancora fondamentale. “Non gioca a vostro favore la differenza di orario – prosegue Papoccia – Domenica ogni americano si darà appuntamento alle 17 ed inizierà dal cibo tipico. Qui invece dovremo aspettare dopo la mezzanotte”. Ma Andrew ai ragazzi della sua squadra cercherà di trasmettere anche un po’ di quella cultura che tanto li affascina: “Cercherò di allestire il tutto proprio come farei in America. Saremo una cinquantina di persone in un locale di Parma, porteremo con noi anche le nostre famiglie. Sarà un modo per sentirsi a casa”.
Non sarà difficile né per loro né per qualunque altro italiano sintonizzarsi sulle frequenze del Super Bowl: diretta in chiaro su Italia Uno, visibile anche su Sky, un segnale che qualcosa forse sta cambiando.
“In Italia il Super Bowl attira l'interesse della gente spesso più per il contorno che per la partita in sé: sui giornali si legge del concerto dell'intervallo o del denaro speso per le pubblicità tv – è l’analisi dell’esperto Matteo Gandini – Negli ultimi anni fortunatamente l'interesse per il football è nuovamente aumentato, quasi come in occasione del boom che c'era stato negli anni '80: furono più di 30.000 gli spettatori che l’anno scorso seguirono il Super Bowl su Sportitalia, risultato ottimo se si considerano gli orari della messa in onda della partita”.

Matteo Gandini, giornalista sportivo e appassionato di football americano
Ma cosa rende così speciale il football rispetto agli altri sport? “È lo sport americano più popolare – prosegue Gandini – negli ultimi anni ha staccato nettamente baseball e basket, soprattutto in termini di seguito televisivo. Il motivo sta anche nella formula della National Football League: per baseball e basket per decidere chi vince il titolo si giocano delle serie di partite, mentre nel football tutti i turni di playoff, Super Bowl compreso, sono una partita secca. E questo rende il tutto molto emozionante”. Emozionante sarà anche il rituale di domenica ad East Rutherford in New Jersey: “Come sempre prima dell’inizio della partita verranno cantati l'inno americano e un'altra canzone patriottica, America the Beautiful, da interpreti di fama mondiale. Alla fine dell'inno toccherà al flyover, ovvero il passaggio sopra lo stadio di una flotta di aerei da guerra. La presentazione delle squadre avverrà in grande stile, come anche il lancio della monetina, determinante per stabilire a chi toccherà per primo il pallone”. All'intervallo, poi, dopo Madonna nel 2012 e Beyoncè l’anno scorso, quest’anno ci sarà la star del pop Bruno Mars che, come effetto sorpresa, potrebbe farsi accompagnare sul palco dai Red Hot Chili Peppers, un interrogativo che verrà svelato solo domenica di fronte a 110 milioni di spettatori. “Si tratterà di un miniconcerto della durata di circa 15 minuti: negli anni si sono alternati gli U2, i Rolling Stones, Prince e tanti altri. Impressionante dagli spalti vedere la rapidità con cui il palco viene montato e poi smontato nel giro di 2/3 minuti da centinaia di volontari”.
Contorno, lustrini, business con pubblicità costosissime che andranno in onda una sola volta. Fumo. Ma chi segue il Super Bowl in Italia esige anche l’arrosto, la sostanza, lo sport. “Credo che il football americano sia l’unico sport che valorizza totalmente il concetto di squadra. Lo amo per questo – approfondisce Stefano Orrù, capitano difensore dei Parma Panthers – La nostra società sportiva fa di tutto per valorizzarci in quanto singoli giocatori e questo ci dà la giusta spinta per dare il meglio. Cerchiamo anche noi di seguire il modello di sport come viene vissuto negli Usa, senza gli eccessi del tifo nostrano ma semplicemente come spettacolo. La parola in più può esserci, la presa in giro scherzosa anche, ma non andiamo mai oltre il limite. Il modello americano funziona e ci permette di rendere lo sport a portata delle famiglie, lontano dal clima teso degli stadi, un evento di aggregazione senza una violenza per nulla necessaria”.
E mentre sul Boulevard del Super Bowl chiunque può avvicinarsi ai fondamentali del football come lanciare e calciare, oltre a farsi fotografare vicino al trofeo, Matteo Gandini ripassa mentalmente il suo programma per la giornata di domenica: “Sveglia intorno alle 7, poi trasferimento dall'hotel al Media Center, da cui intorno alle 11 cominciano a partire i primi pullman che portano i giornalisti allo stadio. Bisognerà passare dai tunnel sotto il fiume Hudson, visto che lo stadio dove si disputa la partita è nel New Jersey; il problema sarà il traffico, che promette di essere a livelli record. La partita inizierà alle 18.30 locali e finirà intorno alle 22.30. Poi io andrò negli spogliatoi, sempre accessibili ai giornalisti, e nella sala interviste a sentire le conferenze stampa dei giocatori”. Per tutti gli altri, italiani e americani, sarà ancora una volta festa. Ciò che per lo sport dovrebbe essere normalità e non eccezione.