Fra i molteplici crimini che vengono commessi in Italia da almeno vent’anni a questa parte, ce n’è uno che in noi suscita anch’esso indignazione: lo stupro quotidiano, serrato, della lingua italiana. Di una fra le lingue più belle che ci siano. La lingua della Serao, della Deledda, della Negri; di Pirandello, Rosso di San Secondo, Longanesi, Buzzati, Berto, Bianciardi. Oggi, sì, offesa, storpiata, presa a calci. E questo nell’indifferenza della stampa, della tv, degli accademici.
All’interno dell’Altare alla Patria, fra il Campidoglio e Piazza Venezia, si svolge in questi giorni una mostra sulla persecuzione degli ebrei scattata a Roma il 16 ottobre 1943 per mano della Repubblica Sociale Italiana e delle autorità militari tedesche. La mostra è intitolata così: “La razzia degli ebrei a Roma”. Attenzione a quest’espressione, attenzione! Detto così, gli ebrei avrebbero razziato; di questo si sarebbero macchiati… Appunto, “la razzia” di paternità ebraica… Ma ci rendiamo conto dell’inammissibile, ingiustificabile sfondone? Si è pagato qualcuno, di certo anche bene, per vergare quelle parole, quel titolo che racchiudono tutta la povertà linguistica che ormai ci circonda, ci rattrista, ci sciupa la vita. E appiattisce questa nazione un tempo splendida officina di idee, idee eleganti, magari rese ancor più vivaci da una certa eccentricità: si pensi al Futurismo, ecco, basta fare l’esempio del Futurismo e, “on the spur of the moment”, aggiungere quello ugualmente fresco della Scapigliatura milanese di parecchio antecedente il movimento lanciato da Marinetti.
Ora va di moda usare un verbo, un verbo che suona a meraviglia, una delizia, una melodia: “scegliere”. Verbo, oggigiorno, impiegato a sproposito: “Ho scelto d’andare a Positano e non a Viareggio […] Ho scelto di leggere questo quotidiano e non quella rivista […] Ho scelto d’iscrivermi all’Università”. Nossignori: ho deciso d’andare a Positano… Ho deciso di leggere questo quotidiano… Ho deciso d’scrivermi all’Università! Scegliere: si sceglie fra paia di scarpe, fra marche di dentifrici, si sceglie fra carte da gioco!
Ci sentiamo anche dire: “In Rai circola voce”… “In” Rai?? Alla Rai, perdio! Oppure: ENI considera la possibilità”… “ENI”?? No: l’Eni, “l”, apostrofo, ENI! Peggio ancora quando udiamo il ragazzotto telecronista calcistico esclamare: “Pirlo porta palla”… “Porta palla”? Ma è cacofonico, ‘impastato’, colloso: un altro obbrobrio. L’ennesimo esempio della sciatteria che accompagna la vita grigia d’un popolo che ha smarrito numerose virtù. “Porta palla”… Carosio, Martellini, Ameri di sicuro si rivoltano esasperati nella tomba!
Insomma, siamo riusciti a sporcare, a banalizzare, quindi a corrompere, “anche” l’Italiano.
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