“Tu non puoi reggere la verità”, grida Jack Nicholson in una famosa scena di “A Few Good Men”. Aveva ragione lui? Ci sono circostanze e momenti nella storia delle nazioni, anche quelle democratiche, i cui popoli non sarebbero in grado di reggere, o meglio, accettare la verità?
Quando si guarda al periodo negli Stati Uniti tra il 1963-68, e poi anche al 1992-93 in Italia, la “regola” di “A Few Good Men” sembra calzante. La verità su chi uccise con impunità il presidente della piú potente nazione della terra, e poi forse anche suo fratello quando si apprestava a diventarlo, era difficile da digerire allora, il cosidetto “contratto sociale” poteva sfaldarsi. Il governo sa chi ha ucciso il tuo presidente ma invece di perseguirlo, aiuta l’insabbiamento della veritá per evitare guai peggiori.
Come del resto, anche in Italia, chi avrebbe retto alla verità su come sia stato possibile uccidere due magistrati simbolo della lotta dello Stato alla mafia, a meno di due mesi di distanza l’uno dall’altro insieme agli uomini e donne dello Stato che gli facevano da scorta.
Proprio cosí, per molti anni, sia gli americani che gli italiani, non sono stati in grado di “reggere la verità” e quindi è più conveniente pensare che è un pazzo a uccidere il presidente Kennedy ed è solo la vendetta feroce di un mafioso impazzito che uccide due magistrati siciliani.
Ma quanto tempo le democrazie possono reggere alla copertura della verità? Non è una prerogativa democratica, pretendere che ad essa si arrivi?
In democrazia, verità è un altro modo di chiamare la giustizia. Non ci puó essere democrazia senza giustizia. Di conseguenza, non si vive in democrazia senza verità.
Quindi il Colonnello dei Marines Nathan R. Jessup, il personaggio interpretato in quel film da Jack Nicholson, ha torto marcio: quando si é in democrazia, il popolo non solo deve pretenderla, ma deve essere sempre in grado di “poter reggere” la verità.
Una società dove il cittadino non è in grado di reggere la verità, ha perso ogni suo diritto a pretenderla. E non avendo piú la giustizia, perde la democrazia e quindi anche la libertà.
Nel caso dell’assassinio di JFK a Dallas il 22 Novembre 1963, la verità e la giustizia non sono state cercate. E la ragione è perché si è trattato di un delitto tipicamente mafioso. Un delitto nel quale chi lo commette – in questo caso Carlos Marcello, il super boss di New Orleans che uccideva JFK per fermare il fratello Robert Kennedy, ministro della gustizia, dall'espellerlo dagli USA – deve sentirsi prima sicuro dell’impunitá a prescindere da quanto sia alto l’obiettivo. La Mafia, dopotutto, é proprio questo: avere il potere e l’abilitá di commettere i crimini piú gravi con la certezza di non doverne affrontare le conseguenze davanti alla legge. La Mafia é la negazione della giustizia di Stato, perché con lo Stato gode di uno status di “immunità”. La Mafia é quel potere criminale in grado di ottenere la negazione della veritá con l’imposizione della menzogna di Stato.
Identificare il ruolo di Carlos Marcello sulla creazione dei cadaveri eccellenti negli Stati Uniti degli anni Sessanta, o quello di Totó Riina su quelli in Sicilia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, risulta alla fine essere il diritto alla conoscenza democratica. Che è anche un dovere al quale ogni uomo libero non si puó rifiutare.
* Estratto dall’intervento dell’autore tenuto alla conferenza internazionale "To Die for Justice: Giovanni Falcone, Italian Hero" tenuto alla State University of New York at Stony Brook il 1 dicembre 2012.
Stefano Vaccara é l'autore di Carlos Marcello. The Man Behind the JFK Assassination Enigma Books, 2013. (L'edizione italiana Carlos Marcello: il boss che odiava i Kennedy, Editori Riuniti 2013)