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October 21, 2013
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Speranze naufragate

Marcello CristobyMarcello Cristo
Time: 3 mins read

Qualche anno fa sul periodico Limes, apparve un sondaggio in cui era stato chiesto ad un gruppo di italiani di spiegare che cosa distinguesse il nostro, dagli altri popoli europei.

La maggioranza degli intervistati rispose che un tratto distintivo dell' “italianità” consiste nella nostra caratteristica “arte di arrangiarsi” e nella “creatività delle nostre arti e mestieri”. Solo al terzo posto comparvero “il nostro comune senso dello stato e di identità nazionale”.

Non é un mistero che questo senso di identità nazionale non sia mai stato particolarmente forte nel nostro paese dove, storicamente, in uno spazio geografico relativamente limitato, si sono sviluppate culture locali di una diversità tale da risultare quasi incomprensibili per un americano.

L'Italia quindi, si potrebbe definire un paese “cosmopolita” ma nel senso di un cosmopolitismo antico, nato dalla graduale sovrapposizione e interazione di culture diversissime che vi si sono alternate nel corso dei secoli: dalle tribú germaniche ai normanni, ai francesi, spagnoli, arabi e cosí via.

Se l'Italia é un paese cosmopolita nel senso antico del termine, l’America è sempre stata, per definizione, la patria del cosmopolitismo moderno.

Gli Stati Uniti sono nati su un sostrato etnico-culturale estremamente omogeneo (la matrice anglo-sassone e puritana dei primi coloni) ma su queste fondamenta unitarie il paese ha poi aperto le sue porte alle successive ondate di immigrazione che si sono susseguite nel diciannovesimo e ventesimo secolo. Con l'arrivo di tedeschi, italiani, irlandesi, polacchi, l’epoca della grande immigrazione ha rappresentato anche un'apertura ad influenze etniche diverse dal ceppo originario anglo-sassone e protestante, ma pur sempre europeo.

Negli ultimi decenni tuttavia, l'America si é lasciata alle spalle anche questa impronta “europea” e i nuovi arrivati rappresentano quanto di più vario ed eterogeneo ci si possa attendere. I nuovi americani provengono dai più disparati angoli del globo; parlano mille dialetti differenti; praticano religioni diverse e portano con sè culture e tradizioni che poco hanno a che fare con quella matrice originale europea.

Piú di recente, questa nuova immigrazione extraeuropea é arrivata anche in Italia inserendosi peró in un contesto culturale ed istituzionale molto diverso da quello che esiste negli Stati Uniti.

Il “cosmopolitismo centenario” dell’Italia infatti ha, paradossalmente, creato anche tradizionali risentimenti tra le varie parti del paese, malumori ai quali la Lega Nord ha dato voce arrivando addirittura a minacciare l’integrità politica nazionale con i suoi latrati seccessionisti. In America invece, è piú raro sentire commenti denigratori tra texani e newyorchesi perchè qui esiste un più forte senso di appartenenza nazionale: si è americani prima di tutto.

Questa caratteristica culturale inoltre, si appoggia su una struttura istituzionale molto più forte che agisce come una forza di coesione e di aggregazione per le migliaia e migliaia di immigrati che ogni anno sbarcano negli Usa provenienti dagli angoli piú remoti del globo. A costoro, l’America offre opportunità economiche spesso impensabili nei loro Paesi di origine ma riesce anche e soprattutto a trasmettere i valori della propria cultura e delle proprie tradizioni. La forza e la stabilitá delle sue strutture istituzionali, garantiscono che, a prescindere dai paesi di provenienza e dalle tradizioni che si sono lasciati alle spalle, i “nuovi americani” diventino effettivamente tali nel giro di una generazione o poco piú.

In Italia invece, il fenomeno dell'immigrazione é piú difficile da affrontare perché, se da una parte l'arrivo di nuovi immigrati é necessario dal punto di vista demografico (l'Italia é uno dei paesi con un tasso negativo di natalitá) esso si sovrappone a squilibri economici e risentimenti tradizionali locali non ancora risolti e, soprattutto, deve fare i conti con l’endemica debolezza delle nostre istituzioni. Con il governo centrale ed intere aree del territorio nazionale afflitte da cronici problemi di disfunzione, corruzione o, peggio ancora, completamente abbandonate nelle mani della criminalitá organizzata, é chiaro che l'arrivo incontrollato di masse di disperati e diseredati implica sfide molto piú ardue di inserimento ed integrazione.

Ma il problema forse ancora piú grave é che lo stesso dibattito sull'immigrazione é soggetto, in Italia come in America, a distorsioni e strumentalizzazioni che trasformano chiunque osi avanzare l'ipotesi di un controllo razionale dei flussi migratori in un “razzista” o uno “xenofobo”.

L'America esercita, quanto piú é possibile, un controllo ferreo sugli arrivi di stranieri e sui permessi di lavoro concessi loro ma offre anche, a coloro che vengono ammessi, concrete opportunità di emancipazione sociale fondate su quei valori culurali che ne hanno assicurato il successo.

Ma un paese come l’Italia, che non ha ancora saputo risolvere il suo secolare problema di identità nazionale, che cosa riuscirà a trasmettere di “italiano” ai nuovi ospiti dei quali abbiamo tanto bisogno?

 

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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