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October 22, 2013
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Nel Nord dell’Irlanda tornano i “troubles”

Tommaso Della LongabyTommaso Della Longa
Time: 3 mins read

Alzi la mano chi considera il Nord Irlanda pacificato. Alzi la mano chi conosce il significato storico della parola “troubles”. E ancora, alzi la mano chi invece pensa che le Sei Contee irlandesi del nord vivano ancora un periodo di violenza.

Ecco, se si facesse una prova del genere in mezzo a gente comune, la grande maggioranza si chiederebbe, “perchè cosa succede da quelle parti?”. Qualcuno forse si ricorderebbe degli scontri tra filo-irlandesi cattolici e filo-inglesi protestanti negli anni '70-'80. In molti assocerebbero l'Irlanda alla famosa birra nera “Guinness”.

Eppure la situazione è tutt'altro che pacificata. Sì è vero, ci sono stati agli accordi di pace nel 1998 ed è partita la smilitarizzazione dei gruppi armati, Irish Repubblican Army (IRA) per la parte irlandese-repubblicana e Ulster Volunteer Force (UVF) per parte inglese-unionista. Ed è anche vero che la vita quotidiana odierna a Belfast e Derry non è lontanamente paragonabile a quello che si viveva vent'anni fa. Però, le promesse che erano state fatte dopo gli accordi, ovvero pace, prosperità, crescita e sviluppo, ancora non sono diventate realtà per tutta la popolazione.

In Nord Irlanda ancora esistono decine di muri che separano fisicamente le comunità. Ancora esistono ghetti che non dialogano tra di loro, dove basta attraversare una strada per cambiare mondo: visivamente lo si capisce solo perchè dal tricolore irlandese si passa a una Union Jack britannica. La percentuale di disoccupazione è ancora alta, le scuole biconfessionali si contano sulle punta delle dita, le due comunità fanno ancora vita a sé e l'essere cattolici ancora preclude molte posizioni di comando. Per non parlare della percentuale di suicidi nella generazione post-conflitto che fa a dir poco paura.

Quello che più stupisce è la grande operazione di comunicazione fatta, Belfast città del futuro, città degli MTV awards europei, città in movimento, che ha praticamente cancellato il racconto delle violenze, degli scontri che si moltiplicano, del ritorno alle armi, delle bombe disinnescate, degli attacchi settari. La notte tra il 13 e il 14 ottobre, tre uomini armati con il volto coperto dai passamontagna hanno  fatto irruzione in un pub Belfast, nella zona nord, leggendo un comunicato dove l'IRA ammette di aver giustiziato il capo di un'organizzazione di spacciatori di droga e avverte alcuni suoi “complici” di lasciare al più presto la città. L'IRA si sa non ammette l'uso e lo spaccio di droga. Per due notti consecutive, negli ultimi giorni, ci sono stati scontri tra unionisti e polizia per difendere una bandiera. A Belfast Ovest sono stati ritrovati due ordigni disinnescati dalle forze dell'ordine.

Sono solo esempi legati all'attualità degli ultimi giorni, ma che rendono chiara l'idea. In Nord Irlanda, grazie anche alla crisi, le giovani generazioni stanno tornando verso la lotta armata: la percentuale non è paragonabile agli anni dei troubles, ma è in crescita costante e preoccupante. Nelle carceri nordirlandesi esistono ancora repubblicani incarcerati solo per reati di opinione, i cosiddetti prigionieri politici: evidentemente la causa irlandese fa ancora paura agli inglesi. Strutture dove si moltiplicano le denunce delle organizzazioni dei famigliari dei prigionieri per le condizioni inumane in cui sono costretti a vivere.

Ecco, di tutto questo bisognerebbe ricominciare a parlarne in maniera più approfondita, ricordandosi che in Nord Irlanda c'è qualcosa di importante da raccontare: il nuovo che c'è in questo angolo di mondo, ma anche il ritorno al passato e alla contrapposizione tra chi si sente irlandese e chi è legato a Sua Maestà. Una “questione irlandese” ancora insoluta e che non può e non deve essere dimenticata da tutti noi.

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Tommaso Della Longa

Tommaso Della Longa

Giornalista, giramondo, romano e romanista, classe 1980. Scrittura e viaggio sono la mia vita. Per anni freelance in zone di crisi, poi nell’umanitario, prima nella Croce Rossa Italiana e poi in quella Internazionale. Ho tanti posti preferiti, tra cui Gerusalemme, Beirut, il Turkana e Belfast. Porto nel cuore le storie delle persone incontrate, dal Congo alla Siria, fino alle strade italiane. Il sorriso dei migranti, in Serbia come in Iraq o a Lampedusa, mi spinge ad andare avanti cercando di capire, imparare e raccontare sempre la verità, anche se scomoda. Ho denunciato gli abusi “in divisa”, come ho indagato sulle pagine buie degli anni di piombo. Dopo un anno a Beirut, sono tornato a Roma, perché ancora credo si possa costruire qualcosa in Italia. Sono un irriducibile idealista, lo so.

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