A due anni dalla grande invasione di migranti, Lampedusa, l’isola siciliana al centro del Mediterraneo, è tornata nell’occhio del ciclone. Questa volta, però, con maggiore clamore. Non per una questione morale ma, molto più semplicemente, per un fatto di ipocrisia ‘aritmetica’: perché, questa volta, i morti sono tanti e sono stati inghiottiti dal mare in un colpo solo, sotto gli occhi del mondo. E allora, visto che sono morti in diretta tv, e, per l’appunto, sono tanti, bisogna indignarsi!
Perché un conto è morire in dosi omeopatiche, piano piano, con i corpi pescati nel silenzio dalle reti dei tanti pescherecci che solcano il Mediterraneo, altra e ben diversa cosa è morire sotto i riflettori, con un barcone di 500 migranti che si capovolge, gettando in mare gente che non sa nemmeno nuotare.
Allora ci si indigna: a comando, prendendosela non si capisce bene con chi: contro i ritardi nei soccorsi, contro l’Unione Europea, contro la sorte maligna e, magari, anche contro l’Italia. Contro tutti e contro nessuno. L’importante è adirarsi.
Ci sono tante cose strane in questa ormai eterna storia dei migranti. Tutti sappiamo tutto quello che c’è da sapere. Sappiamo che questa gente arriva flotte dai Paesi poveri dell’Africa e del Medio Oriente. Sappiamo che questa gente sfugge alla fame e alla morte. Sappiamo che in alcuni di questi Paesi governano regimi simili alla Germania di Hitler. Si conoscono anche i nomi di questi Paesi, ma non gliene frega niente a nessuno, se non altro perché l’Europa, in fatto di ritorno di regimi fascisti, non si sta facendo mancare nulla (vedere coma l’Unione Europea sta trattando la Grecia: gli abitanti sono stati privati dei medicinali antitumorali perché costano troppo e questo paese è troppo indebitato…).
Sappiamo che, attorno ai barconi che trasportano carne umana da una sponda all’altra del Mare Nostrum c’è un vorticoso giro di affari. Sappiamo che un disgraziato per trovare posto sulle traballanti carrette del mare paga mille e 200, mille e 500 euro o forse più. Quando in Europa un volo low cost, per distanze anche maggiori, costa meno di 100 euro con tutte le tasse aeroportuali.
Pensate per un attimo che business se questa gente potesse atterrare in un qualunque Paese d’Europa con un volo low cost: pagando, ad esempio, 300 euro, ognuno di loro risparmierebbe un sacco di soldi e le compagnie aeree guadagnerebbero tre.quattro volte in più di quanto guadagnano oggi in Europa. Per ora, però, non tocca a loro fare affari con i disgraziati che cercano fortuna emigrando. Per ora tocca alle mafie dei barconi. Uno alla volta, per carità…
Ecco, piano piano stiamo arrivando al cuore di questo problema: le leggi che impediscono a questa gente di passare da un Continente all’altro Continente. Leggi che valgono per alcuni Paesi e non valgono per altri Paesi.
Fateci caso: il flusso migratorio, chissà perché, investe, nella stragrande maggioranza dei casi, l’Italia. Come se ad essere bagnata dal Mediterraneo fosse solo il Belpaese. E negli altri Paesi? Perché negli altri Paesi i migranti vengono respinti e nessuno, nemmeno la Chiesa cattolica, si pone il problema? Questo punto non solo non è chiaro, ma non è stato mai chiarito. Si sa solo che l’Italia è la porta aperta d’Europa per questi infelici. Tutte le altre porte è come se non ci fossero. Anzi, sono chiuse. Per andare in Europa si passa dall’Italia. Punto.
Un altro punto rimane oscuro. Tutto il modo è rimasto impietrito di fronte ai 200, forse 300, forse ancora di più che galleggiavano al largo dell’isola dei Conigli di Lampedusa. Ma quanti sono, ogni anno, i migranti che pagano una barca di soldi per ottenere un posto nelle traballanti ed insicure carrette del mare?
Qualche giorno fa il Corriere della Sera titolava in prima pagina: "Due milioni ogni anno. La bomba demografica che preme sull'Europa". Poi, però, scopriamo, sempre con un articolo pubblicato dallo stesso Corriere della Sera (per la precisione, intervista al demografo Dalla Zuanna) che quest’anno “sono arrivati in Italia via mare 30.100 cittadini di Paesi africani, un numero non particolarmente preoccupante e comunque molto lontano da quei due milioni sparati nel titolo”.E scopriamo, anche, che è in atto “una netta diminuzione di arrivi…” e, contestualmente, “un aumento di ritorni volontari verso un'Africa che cresce a livelli più elevati di quelli recessivi europei”.
Insomma, che cosa ci raccontano questi grandi ‘commentatori’? I numeri, spesso, giocano brutti scherzi. Però alcune domande vanno poste. Abbiamo già detto che l’Italia è la meta prescelta dai migranti. Ma anche le imbarcazioni che salvano i migranti, chissà perché, sono tutte italiane.
Va precisato che, ormai da anni, nelle acque internazionali del Mediterraneo pescano imbarcazioni di mezzo mondo. Soprattutto da quando il mercato giapponese acquista a prezzi stratosferici gli esemplari di Tonno Rosso del Mediterraneo (le cui carni sono considerate le migliori del mondo per le particolari caratteristiche organolettiche), il Mare Nostrum è letteralmente invaso da imbarcazioni da pesca giapponesi (le ‘Navi fattoria’), coreane, thailandesi, spagnole, africane, francesi, turche, cipriote e via continuando). Possibile che, con tutte le imbarcazioni da pesca che circolano nel Mediterraneo – un numero impressionante – a soccorrere i migranti in difficoltà siano sempre e solo quelle italiane e, segnatamente, siciliane? C’è o non c’è, in questa storia, qualche cosa che non quadra?
Proviamo adesso a capire, anche a costo di attirarci addosso l’ira funesta dei professionisti dell’accoglienza, che cosa c’è dietro il mondo dei soccorsi ai migranti.
Abbiamo detto all’inizio che, attorno ai barconi, è nato ed è in corso un grande business. Ma il giro di affari che sta dietro i soccorsi non scherza. Proviamo a descriverlo, per grandi linee.
Tutti noi, quando vediamo un barcone pieno di migranti, siamo portati a dire: bisogna soccorrerli. Giustissimo. Quando poi un barcone si rovescia in mare e si contano i morti a centinaia, come è successo in questi giorni, gridiamo allo scandalo. Alla “Vergogna”, come ha affermato Papa Francesco.
Però bisogna anche guardare dietro l’orrore, oltre la pietà, al di là degli scandali. Perché le tragedie alle quali abbiamo spesso assistito in questi anni nascondono interessi non sempre cristallini.
Intanto va detto che non è vero che l’Unione Europea non interviene finanziariamente in favore dei migranti. L’Unione Europea non ha una politica per affrontare il problema dell’emigrazione. Ma, ogni anno, co-finanzia all’Italia tanti interventi. E lo fa a suon di decine e decine di milioni di euro.
Prima di andare avanti in questa nostra ricognizione che farà indignare i professionisti del soccorso, ricordiamoci tutti che per ogni euro speso dall’Unione Europea e dall’Italia per il problema dei migranti c’è, dall’altra parte, qualcuno che incassa. Detto in parole nude e crude, con i soccorsi non mancano le figure che ci guadagnano. E molto. Chi?
Onlus, patronati, cooperative, esperti nel settore dell’emergenza. E, ancora, chi noleggia aerei e traghetti. Per finire agli operatori turistici di Lampedusa che non disdegnano di lavorare con volontari, giornalisti, agenti, personale delle organizzazioni non governative, personale della Protezione civile, della Croce rossa e via continuando.
Nel 2011, l’anno più drammatico, l’anno della ‘Primavera araba’, gli sbarchi in Italia conseguenza delle sanguinose rivolte nordafricane sono costati al nostro Paese un miliardo di euro.
Sempre nel 2011, le carrette del mare che arrivavano dalla Libia e dalla Tunisia sbarcavano, in media, 1.500 persone circa.
Ricordiamo che il Governo ha aumentato le accise sui carburanti per coprire una parte di queste spese. Tutti soldi pagati dagli italiani che, l’anno successivo, sarebbero stati ‘premiati’ da quella cosa inutile del Governo Monti con l’introduzione dell’Imu.
Questo nel 2011. E ordinariamente? C’è da gestire la cosiddetta prima accoglienza: acqua, cibo, vestiti, coperte, farmaci e ricoveri. E, naturalmente, i trasferimenti.
Piccola riflessione: che cosa succederebbe se a Lampedusa chiudesse l’aeroporto? Con molta probabilità, i migranti non arriverebbero più. Perché chi arriva – o meglio, chi gestisce il business dei barconi – ‘vende’ il posto-barcone per Lampedusa spiegando che lì c’è l’aeroporto. I trasferimenti, dunque. In Sicilia o nei centri di accoglienza sparsi per il resto d’Italia. E gli eventuali rimpatri. Tutti in aereo. Per quelli che restano in Italia ci sono le spese legali, l’ordine pubblico, l’assistenza (medici, psicologi, interpreti, mediatori culturali).
Tanti rifugiati chiedono asilo all’Italia. E il nostro Paese, com’è giusto che sia, li accoglie. A differenza di altri Paesi europei che se ne fottono (non troviamo un’altra parola diversa).
Poi c’è l’integrazione. In tre anni – dal 2011 a quest’anno – l’Italia ha stanziato circa 50 milioni di euro per integrare 3000 persone attraverso il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati. In pratica, 5 mila euro l’anno per ogni rifugiato.
L’Europa interviene finanziariamente, anche se in parte. C’è il Fondo europeo per le frontiere esterne. Soldi destinati alle forze di sicurezza di confine (Capitanerie di porto, Marina militare, Guardia di finanza). In totale sono circa 30 milioni di euro all’anno.
Altri 14,7 milioni del Fondo per l’integrazione. E altri 7 milioni di euro dal Fondo per i rimpatri. Quindi il Fondo per i rifugiati: 7 milioni l’anno scorso più altri 5 milioni per l’emergenza.
Tutti questi soldi tirati fuori dall’Unione Europea sono il co-finanziamento: risorse che si aggiungono a quelli stanziati dallo Stato italiano, che sono altrettanti, se non di più.
Storia a sé fa il fondo per i rifugiati: 12 milioni di euro (20 milioni di euro nel 2011) destinati a Onlus, Ong, cooperative, patronati sindacali e le varie associazioni umanitarie che si muovono nel settore dell’immigrazione. Una babele di sigle ch opera in questo settore. Anche a questi soldi si aggiunge il co-finanziamento da parte del nostro Paese.
Le organizzazioni che operano in questo settore sono autorizzate dal ministero dell’Interno che approva i progetti che vengono selezionati attraverso concorsi pubblici. Questi soldi finiscono in fondi spese destinati non ai migranti, ma ai volontari e ai professionisti impegnati in questo settore. Indirettamente finiscono agli albergatori e ai fornitori di altri servizi.
Poi ci sono gli operatori sociali. Sono quelli che illustrano ai migranti i loro diritti. E li mettono in contatto con altro personale: interpreti, avvocati e altre figure, naturalmente da retribuire. Sono questi che organizzano la permanenza dei migranti nel nostro Paese. O li aiutano a proseguire il loro viaggio della speranza verso altre mete.
Sono tutti lì a pigliare soldi nel nome dei migranti? Non tutti. Terre des hommes e Medici senza frontiere operano con fondi privati. Gli altri, invece, lavorano con fondi pubblici pagati con le tasse gli italiani e con i fondi europei che sono pagati sempre dalle tasse degli italiani (l’Italia, nel finanziare l’Unione Europea ci rimettere un sacco di soldi: ma questa è un’altra storia: anzi, un altro raggiro ai danni degli ignari contribuenti).
Nessuno lo vuole ammettere, ma dietro l’ ‘assistenza’ ai migranti si è già stratificata un’organizzazione fatta di apparati con avvocati, operatori sociali, uffici stampa, attivisti per i diritti umani. Ce n’è abbastanza, insomma, per esercitare pressioni sui governi per chiedere risorse. E magari costruire pure qualche carriera politica.
Nei giorni scorsi, una voce controcorrente ha detto che in Italia gli immigrati, oltre che riceverli, si vanno a cercare in mezzo al mare. Subito gli sono saliti addosso. A pensarci bene, tutta questa sarabanda andrebbe rivista. Da cima a fondo. Soprattutto se poi, in tanti, ci lasciano la pelle.