“Ingiustizia” è la parola che si legge sui cartelli di alcuni manifestanti fotografati la settimana scorsa a Pechino, davanti al tribunale in cui aveva luogo il processo contro Ji Zhongxing. Ex tassista trentaquatrenne paralizzato alle gambe, Ji è sotto accusa per aver fatto esplodere un piccolo ordigno nell’aeroporto della capitale cinese lo scorso 20 Luglio.
La bomba, di fabbricazione rudimentale, non aveva causato nessun ferito al di fuori del suo autore. Gli era scoppiata in mano inavvertitamente, ha dichiarato Ji di fronte ai giudici, non aveva intenzione di far male a nessuno, voleva solo attirare l’attenzione delle autorità sulla sua richiesta di giustizia nei confronti di un gruppo di poliziotti che l’avrebbero picchiato nel 2005, causando quei danni fisici che lo costringono da allora su una sedia a rotelle. Ji ha chiesto perdono per il suo gesto; ora attende il verdetto.
Come lui, anche quelli che gli manifestano il loro sostegno fuori dal tribunale hanno dei casi personali di giustizia da difendere e approfittano della presenza mediatica per portarli sotto i riflettori dell’attenzione pubblica. Si tratta spesso di dispute con le autorità locali, di casi criminali irrisolti o di espropriazioni di terreni attuate dallo Stato con la forza o senza appropriata compensazione per i proprietari.
Per tutto ciò esiste in Cina l’“Ufficio delle lettere e degli appelli”, al quale i cittadini possono rivolgersi come ultima spiaggia quando tutte le possibilità di ottenere giustizia a livello locale sono state esaurite. Un’ufficio che dà voce al cittadino, permettendogli di scavalcare i gradi della gerarchia statale laddove i suoi rappresentanti locali si rivelino parte del problema in questione, o perché coinvolti direttamente nella faccenda o perché corrotti o professionalmente incapaci. Un sistema che può avere i suoi vantaggi insomma, o almeno così pare in teoria.
Peccato che in pratica — poco importa il numero di giorni, mesi o anni spesi davanti alle sue porte — l’ufficio dia ben poca soddisfazione agli innumerevoli casi che gli sono sottoposti. La percentuale di appelli cui viene data effettivamente risposta sembra si aggiri sullo 0,2%. E allora l’attesa può diventare un viaggio verso un castello di Kafka, carico delle memorie dell’antico sistema della Cina imperiale che permetteva ai sudditi di rivolgere le loro lamentele agli alti funzionari.
Nell’odierna Pechino, pur di ottenere giustizia, abitanti di regioni distanti centinaia di chilometri dalla capitale si ritrovano a dormire in alloggi d’occasione, nel peggiore dei casi per strada, sostenendo notevoli spese di soldi, tempo ed energie fisiche ed emotive e correndo addirittura il rischio di essere rinchiusi in una delle ‘prigioni nere’ nei dintorni della città.
Alcuni funzionari locali infatti inviano i loro scagnozzi a Pechino, a intercettare i portatori di lamentele e bloccarli prima che possano interpellare l’ufficio centrale. Quest’ultimo, fino a poco tempo fa, stilava una classifica delle province in base al numero di lamentele che da esse raggiungeva la capitale. Maggiore la quantità di lamentele, minore la performance delle autorità provinciali nel risolvere le dispute. Con l’intento originario d’incoraggiare i funzionari locali a farsi carico dei loro doveri, le classifiche li hanno portati invece a fare di tutto perché i cittadini non presentino i loro casi all’attenzione di Pechino, trattenendoli, ad esempio, in una prigione irregolare, cosiddetta ‘nera’, per poi rispedirli a casa.
Non c’è da stupirsi se una situazione del genere porta alcuni a dei gesti estremi, come quello di Ji Zhongxing, o come quello di 21 persone che lo scorso agosto hanno tentato il suicidio di gruppo per manifestare contro la promessa mancata del dipartimento delle ferrovie di dare un posto di lavoro ai loro figli in cambio del loro arruolamento nell’esercito.
Hanno invece tentato una via meno tragica, ma non necessariamente più efficace, i numerosi cinesi che lo scorso maggio hanno inondato di petizioni lo spazio online dedicato della Casa Bianca, riponendo la loro speranza nel governo americano dopo averla persa nei confronti di quello cinese.
Nel frattempo, qualcosa sembra muoversi tra i lenti ingranaggi del sistema degli appelli. A marzo è stato dismesso l’uso delle classifiche provinciali e da inizio luglio è attivo un servizio di appelli su internet, che potrebbe risparmiare a molti i viaggi della speranza nella capitale. Ma il sistema di registrazione obbligatoria degli utenti sul servizio online, con tanto di nome, cognome e indirizzo, è già oggetto di critiche e diffidenza. Piuttosto che tentare di rendere più efficace un meccanismo di rimpiazzo delle normali procedure legali, non sarebbe forse più auspicabile fornire ai cittadini un sistema giudiziario trasparente in grado di guadagnarsi la loro fiducia e di ridurre il ricorso agli appelli solamente a un numero ristretto di casi veramente eccezionali?