Nell’agosto 2010 una cara amica, Anna, in vacanza a Londra con il compagno e le rispettive figlie, scopre nel telefonino dell’uomo dei messaggi indirizzati ad altre donne. Quelle parole, artificiali e ben articolate, le fanno intendere chiaramente che il suo rapporto è arrivato al capolinea. L’uomo era un habitué di chat online per single, nonostante frequentasse da circa 2 anni la mia amica, e tra un messaggio e l’altro reclutava nuove donne con cui spendere del tempo, all’insaputa della stessa compagna.
Quando lei chiese spiegazioni di quei messaggi, l’uomo rispose domandando soltanto la restituzione del telefono. Non disse altro. Ripetutamente.
Lei continuava ad interrogarlo, nervosa, delusa.
Lui chiese un’ultima volta il telefono. “Non te lo do nemmeno se mi ammazzi”- rispose lei.
Il “Don Giovanni” ebbe una reazione schizzofrenica – a detta della sua stessa terapista – si scagliò contro la giovane donna, sbattendola contro un comodino, facendo cadere un lume. Poi giù a terra. Prese a morsi le gambe della compagna per riprendersi quel maledetto telefono che lo inchiodava come uomo infedele e di dubbia moralità.
La figlia della compagna, di appena 14 anni aggrappata alle spalle dell’uomo cercava di tirarlo via dalla madre che gridava aiuto.
Arrivò la polizia, il campione venne arrestato, condotto in caserma, interrogato. Sua figlia venne affidata agli assistenti sociali inglesi.
Una volta in Italia la mia amica presentò regolare denuncia alla Procura della Repubblica di Roma, allegando ogni documento possibile, compresi i referti ospedalieri, il report già presentato alla polizia londinese, e delle fotografie che mostravano senza veli i lividi, e le lesioni procurate dal maschio in questione.
Dopo 3 anni la Procura della Repubblica è ancora in fase di indagine preliminare. Sono passati oltre 1000 giorni e ancora non si è avviato un processo che giudichi le eventuali responsabilità dell’uomo.
La mia amica sottoposta ad assistenza psicologica insieme alla giovane figlia, ha cambiato città. Vive in un altro luogo per timore che questi, per vendicarsi della denuncia presentata alle autorità, possa aspettarla sotto casa e completare il lavoro già avviato.
Le dottoresse del consultorio che hanno preso in carico la storia di Anna, le hanno detto: “Lei è una di quelle poche fortunate che è sopravvissuta alla furia di un uomo con evidenti problemi, mai risolti. Sua figlia, nonostante fosse giovane e non particolarmente forzuta, le ha salvato la vita. Ha distratto comunque l’accanimento criminale su di lei, rischiando in prima persona di prendersi un pugno o una testata”.
Oggi quest’uomo, professionista borghese insospettabile, che si guarda bene dal tenere all’oscuro questa vicenda vergognosa, ha picchiato altre due donne. È libero di fare del male ad altre povere malcapitate.
Quella di Anna è una delle migliaia di denunce di donne che restano inascoltate e che spesso finiscono in tragedia. Intanto nei Tg si assiste al trionfo del femminicidio italiano.
Le Procure tergiversano.
In un paese che produce reati, come abbiamo spesso detto, forse bisognerebbe offrire maggiore attenzione alle storie, accelerare certi procedimenti per evitare umilianti prescrizioni. Ma c’è invece chi continua a mandare foglietti da un piano all’altro, impiegando mesi perchè un atto arrivi da un ufficio all’altro. Cavilli, virgole ed accertamenti inutili.
Retorica e burocrazia. Mentre le donne italiane lì fuori ci lasciano la pelle!
n.b. Il nome Anna è puramente indicativo